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Gian Antonio Stella
Spazio a hotel e negozi Venezia solo per turisti
25 Gennaio 2014
Venezia e la Laguna
Attento titolista: La legge bocciata non riguardo solo Venezia, ma il Veneto, quindi anche Verona e Padova, Vicenza e Belluno, Rovigo e Asolo, e così via.

Attento titolista: La legge bocciata non riguardo solo Venezia, ma il Veneto, quindi anche Verona e Padova, Vicenza e Belluno, Rovigo e Asolo, e così via. Corriere della Sera, 25 gennaio 2014

Vale la pena di rischiare lo sfascio del paesaggio, delle città d’arte e della stessa Venezia in nome di un rilancio economico basato sul calcestruzzo? Dopo aver spaccato i veneti (di qua i sindaci, leghisti compresi, di là la Regione governata dalla Lega), il dubbio ha diviso ieri il Consiglio dei ministri. Fino alla decisione: il «piano casa» del Veneto, salvo ritocchi, va impugnato. Perché rischierebbe, tra l’altro, di ridurre definitivamente la città serenissima a un «turistificio».

Per settimane, mentre divampavano le polemiche degli ambientalisti, il vicepresidente di rito alfaniano Marino Zorzato, deciso a lanciare un messaggio ai suoi elettori a dispetto dell’appoggio assai tiepido da parte del governatore Luca Zaia, si è affannato a spiegare che, per carità, con la sua legge, il Terzo piano casa valido fino al 2017 per rilanciare l’edilizia non ci sarebbe alcun pericolo per il paesaggio e men che meno per i centri storici. Sintesi: «Gli altri piani hanno funzionato fino a un certo punto perché molti sindaci si sono messi di traverso. Noi vogliamo che tutti i cittadini siano sullo stesso piano. Quindi le nuove regole devono valere per tutti, al di là del consenso dei comuni».

Obiezioni istantanee e corali: si possono mettere sullo stesso piano certi brutti paesotti industriali traboccanti di aree produttive e i borghi medievali unici al mondo e assolutamente da proteggere? Per non dire dei mal di pancia dei sindaci, compresi quelli della stessa destra e della stessa Lega che governa la regione, decisi a contestare la filosofia di base: che coerenza c’è tra lo sbandieramento di parole come federalismo, sussidiarietà, democrazia dal basso e la scelta di tagliar fuori i sindaci da ogni possibilità di opporsi alla cementificazione del loro territorio? Quali devastazioni può creare alle aree verdi la possibilità concessa di ampliare la propria casa spostando la cubatura in un terreno il cui confine stia nel raggio di 200 metri dall’abitazione di partenza?

Cosa sia il Veneto oggi, nei numeri, lo spiega un breve saggio di Tiziano Tempesta, docente di economia territoriale: migliaia di aree industriali sparpagliate spesso a casaccio (1.077 nella sola provincia di Treviso, 23 ai piedi di Asolo, 28 a Crocetta del Montello, cioè una ogni 204 abitanti) nel culto dello spontaneismo. Il 20% della pianura centrale occupato da suoli edificati. Anni di sviluppo forsennato che hanno accatastato fino al 2006 una quantità di metri quadri per chilometro quadrato di nuove abitazioni «doppia rispetto alla media nazionale». Un aumento dal 2001 al 2011 di 88.000 abitazioni non occupate, diventate ormai un sesto del patrimonio edilizio. Un’esagerazione di spazi: «Il 64,9% della popolazione vive in abitazioni sottoutilizzate contro il 54,1% dell’Italia». Di più: «Il 62% abita in ville e villini (rispetto al 43% nazionale), tipologie edilizie che per loro natura si prestano maggiormente ad interventi di ampliamento». A farla corta, val la pena di insistere sul cemento, se «a livello nazionale il numero di compravendite immobiliari si è ridotto dal quinquennio 2004-2008 al quinquennio 2009-2013 del 33,5% mentre nel Veneto questa percentuale è stata del 39,2%»?

Non sarà una ricetta vecchia e stravecchia in un mondo in cui, dice l’ultimo rapporto di «MMOne Group» su dati Eurostat, la quota di fatturato che le imprese europee ricavano dall’«ecommerce» è salita al 15% (le nostre stanno al 6%) con punte del 20% in Svezia, 21% in Irlanda, 23% in Lussemburgo e addirittura 24% nella Repubblica ceca? Gli altri sono proiettati nel futuro e noi continuiamo col mattone?

A queste obiezioni sollevate da più parti e in prima fila dai sindaci (di tutti i colori, compreso il leghista Flavio Tosi) dei capoluoghi, si è sommata la preoccupazione di Venezia di ritrovarsi con una miriade di case, uffici e magazzini trasformati in alberghi e alberghetti, bar e trattorie e negozi di maschere senza che il Comune possa minimamente opporsi alla definitiva cessione della città, che è stata una grande potenza navale, militare, storica, culturale e universitaria, ai teorici di un «turistificio» destinato a vivere solo di locande, locandine, bar, baretti, botteghe di borsette e di souvenir di falso «vetro di Murano» prodotto in Cina.

«L’indiscriminata applicazione delle deroghe ammesse dalle Legge Regionale, in particolare per gli ampliamenti volumetrici, gli aumenti di superficie utile e i cambi di destinazione d’uso per gli edifici della Città Antica e delle isole», si legge nell’appello al governo del sindaco Giorgio Orsoni e della sua giunta perché bocci il «piano casa», «porterebbe a uno snaturamento dei contenuti» del Piano di gestione Unesco e al «rischio di irreversibile compromissione del sistema ambientale».

Tutte obiezioni accolte, nonostante la posizione più disponibile di Maurizio Lupi, dai ministri dell’Ambiente, della Cultura, del Turismo e degli Affari regionali Andrea Orlando, Massimo Bray e Graziano Delrio con l’aggiunta del ministro per lo sviluppo economico Flavio Zanonato. I quali, nella loro proposta di impugnare la legge veneta sono partiti contestando un po’ tutto. Dall’eccesso di «deroghe generalizzate» alla «automaticità delle misure premiali esautorando sostanzialmente i comuni dalla fondamentale funzione di pianificazione urbanistica», dal «contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza» di queste cubature-premio fino al rischio che le misure, anziché «tendere al recupero e al miglioramento del patrimonio edilizio esistente, possano determinare un ulteriore consumo del suolo». Le stesse rassicurazioni sul fatto che sarebbero esclusi da ogni pericolo i centri storici ha convinto affatto il governo. Insomma «la norma mina in radice i presupposti stessi della tutela paesaggistica» e «deve ritenersi viziata da illegittimità costituzionale».

Sintesi finale: la Regione Veneto ha qualche giorno di tempo per modificare una serie di punti. Ma sulla esautorazione dei sindaci, le deroghe sulle aree a rischio idrogeologico e le procedure facili sul cambio di destinazione d’uso, nessuna trattativa. Tutto bocciato.

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