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Mauro Lissia
«Soru tutelava l’interesse pubblico»
1 Febbraio 2010
Sardegna
Nuove interessanti rivelazioni sull’affare (per alcuni personaggi) Tuvixeddu nel documento della Procura della Repubblica. La Nuova Sardegna, 1° febbraio 2010

La Procura rivaluta le iniziative della Regione nella battaglia in difesa del colle punico di Tuvixeddu - Vincoli giustificati dai ritrovamenti di nuove tombe e dal Codice Urbani

CAGLIARI. Forse è una vittoria di Pirro, ma il contenuto della richiesta di archiviazione per l’inchiesta penale su Tuvixeddu firmata dal pm Daniele Caria riabilita l’azione della giunta Soru in difesa del colle punico e getta un’ombra sulle decisioni dei giudici amministrativi.

Caria ricostruisce attraverso atti, testimonianze e intercettazioni telefoniche le fasi infuocate del conflitto tra Nuova Iniziative Coimpresa del gruppo Cualbu e la Regione. Per arrivare a conclusioni che fanno riflettere: il Tar e il Consiglio di Stato hanno sbagliato le valutazioni sulla legittimità della commissione regionale per il paesaggio che aveva imposto nuovi vincoli sull’area privata del colle. Quella commissione poteva operare ed era composta da persone qualificatissime, reclutate regolarmente. Non solo: i giudici non hanno potuto tener conto di quanto ha deciso la Corte Costituzionale il 27 giugno 2008 e hanno sostanzialmente ignorato il contenuto della Convenzione europea del paesaggio e del Codice Urbani: la tutela del paesaggio è competenza esclusiva dello Stato e in presenza di situazioni nuove l’accordo di programma per Tuvixeddu, con le autorizzazioni concesse al gruppo Cualbu, poteva essere cancellato. Il Tar però, bocciato il ricorso della Regione per la questione formale legata alla legittimità della commissione, ha deciso solo in base alle dichiarazioni dell’ex sovrintendente archeologico Vincenzo Santoni: nessun ritrovamento significativo dopo il vincolo del 1997. Per il pm Caria sono false, come risulta dalle note della funzionaria Donatella Salvi: oltre mille tombe ritrovate negli anni successivi, alcune sotto vincolo diretto, altre indiretto, altre ancora fuori dall’area vincolata. Santoni - così sostiene il magistrato penale - ha mentito («ha maliziosamente taciuto» sulla nuova realtà del sito archeologico) per favorire la figlia Valeria, ingegnere, che lavorava per Cualbu dal 1995 e operava proprio sui lavori del colle punico. L’imprenditore l’aveva assunta malgrado non avesse alcuna esperienza - sostiene il pm e risulta dalle testimonianze - ma il fatto che lavorasse a Coimpresa prima ancora che partisse il piano Tuvixeddu ha salvato Gualtiero e Vincenzo Santoni dall’accusa ipotizzata all’avvio dell’inchiesta: corruzione. D’altronde quella di assumere figli qualificati sembrerebbe un’abitudine consolidata di Cualbu: il Corriere del Mezzogiorno di Napoli scrive - la data è 19 febbraio 2009 - che la Mediacom, altra società del gruppo sardo, ha assunto la figlia del vicesindaco di Napoli Marella Santangelo appena prima di aggiudicarsi il piano di recupero dell’area ex birreria Peroni di Miano. Dodici mesi fa l’opposizione ha chiesto le dimissioni dell’amministratore ma nessuno si è rivolto alla Procura. Mentre nel caso cagliaritano è stato il pm Caria a ricostruire i rapporti e le vicende della guerra su Tuvixeddu - che definisce «opache» - partendo dall’esposto presentato dallo stesso Cualbu: l’imprenditore sospettava che Soru agisse contro di lui, lo stesso Tar attribuisce in sentenza all’ex governatore un presunto «sviamento di potere». Ma per Caria non c’è nulla di fondato: Soru si muoveva solo per interesse pubblico. Così come si è mosso, insieme all’assessore ai lavori pubblico Carlo Mannoni, quando ha affidato all’architetto francese Gilles Clement un progetto alternativo per Tuvixeddu. A spese pubbliche e senza gara, accusavano gli oppositori. Falso anche questo: i soldi erano privati, i 50 mila euro dello sponsor Banco di Sardegna. E il rapporto è naufragato proprio perchè il dirigente Franco Sardi - l’ha riferito lui stesso al pm - ha messo il veto sull’affidamento diretto. Peraltro risulta agli atti - e il pm Caria lo scrive - che il progetto attuale del parco archeologico urbano, quello bloccato per gli abusi rilevati dalla Procura (quattro indagati, presto probabilmente cinque o sei) era stato affidato dal Comune allo studio Masoero-De Carlo senza selezione pubblica.

Ma per Caria il punto centrale della vicenda è un altro: «La Regione - scrive nell’atto notificato ai legali degli indagati Soru, Mannoni, Salvi e Cualbu, tutti prosciolti ma non Santoni - aveva il potere sia di disporre la sospensione cautelare dei lavori pur legittimamente autorizzati, sia di rideterminare il contenuto e l’estensione dei vincoli sul territorio attraverso una nuova valutazione paesaggistico-ambientale, anche se ciò avrebbe reso inattuabili in quanto incompatibili gli interventi autorizzati in precedenza». Insomma: la Regione poteva fermare il piano Coimpresa.

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