Angelo Del Boca non nasconde la sua delusione. Altro che "giornata della memoria" per le vittime delle imprese imperiali fasciste, come lo storico più importante del colonialismo italiano propone da decenni: nel trattato con la Libia non c’è nemmeno il riconoscimento dei crimini commessi in Africa.
Professor Del Boca, come giudica il trattato di amicizia con Tripoli?
«Ho studiato molto bene il trattato, anche con l’amico Nicola Labanca. Non discuto la parte economica, né quella politica, discuto quella "storica". Ho scoperto che c’è appena un accenno di sfuggita al passato. Insomma, l’Italia versa 5 miliardi di dollari, sostanzialmente come indennizzo per i crimini compiuti in trent’anni di presenza in Libia e per i centomila morti provocati, ma nel Trattato non se ne fa riferimento».
Come mai?
«Non so se sia stata una specifica richiesta di Berlusconi o di chi ha discusso la formulazione del trattato, o piuttosto una dimenticanza. Ma quest’ultima ipotesi è davvero improbabile. Gheddafi ha sempre voluto sottolineare l’esigenza di conservare la memoria delle vittime dei massacri italiani. Se però è solo un’operazione economica, per il gas, cinque miliardi mi sembrano davvero molti, anzi troppi. Se non c’è la richiesta di perdono, che cos’è tutta questa premura, con i regali personali a Gheddafi?».
Professore, lei vorrebbe da Berlusconi un gesto come quello di Willy Brandt al ghetto di Varsavia?
«Figuriamoci! Non lo credo proprio adatto a gesti del genere. Berlusconi non festeggia il 25 aprile, parla della condanna al confino per i dissidenti come di una vacanza... Non mi meraviglio di questa assenza».
Non crede che un obiettivo importante di questo trattato sia l’intesa sull’immigrazione?
«Potrebbe servire ad accontentare i leghisti, che pensano a come fermare i clandestini. Ma per la verità negli ultimi tempi i libici stanno già mettendo le mani avanti, sostengono - ma è una bugia - di avere sul loro territorio sei milioni di migranti, dicono apertamente che sarà difficile per loro riuscire a controllare confini così vasti».
Gli accordi prevedono anche una partecipazione italiana.
«I due paesi dovrebbero organizzare una flottiglia mista per pattugliare le coste libiche e impedire le partenze, si parla anche di radar volti verso il deserto per controllare gli arrivi. Ma ho molti dubbi sull’operazione».
Che cosa pensa dei centri di detenzione in territorio libico, su cui si sono rivolte le critiche durissime di Amnesty International?
«Sono completamente d’accordo con Amnesty. Da quanto si riesce a sapere sono in realtà campi di concentramento. Nel mio ultimo libro (Il mio Novecento, edito da Neri Pozza, ndr) ho riportato diverse testimonianze di chi li ha visitati: Jas Gawronski parla di "inumanità", il prefetto Mori racconta di 650 persone rinchiuse in condizioni terribili dove ne erano previste 100, e così via. Ora mi chiedo: come può l’Italia partecipare alla costruzione di opere del genere?».