Qualche frustata in più contro l'ipocrisia con cui si depreca oggi ciò che si è tollerato ieri non è di troppo. Soprattutto quando è sorretta dal puntuale elenco degli eventi. il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2017
«Italia in macerie. Il ministro Delrio promette ‘basta sanatorie’ e pensa, si suppone, al pulviscolo di leggine che le Regioni hanno emanato all’insegna del Piano Casa Saranno in contrasto con le leggi dello Stato? O, Dio non voglia, con la Costituzione? »
È bello che il ministro Delrio si sia accorto che l’Italia è il Paese dei condoni facili, degli scempi edilizi, delle coste devastate, delle leggine regionali che riconoscono gli “abusi di necessità” per raccattare cinicamente voti e clientele. Tutte le norme regionali difformi dall’ordinamento statale e dall’interesse nazionale verranno implacabilmente impugnate e sconfitte, dice il ministro. Ma a cosa pensa Delrio, parlando di contrasto tra norme statali e regionali? Non al condono tombale di Craxi (1985), vero esordio del condonismo all’italiana, né a quelli di Berlusconi (1994, 2003): norme criminogene, che però sono leggi dello Stato. Forse non pensa nemmeno a leggi regionali, come quella della Campania (2014), che riaprono i termini per i vecchi condoni statali. Delrio pensa, si suppone, al pulviscolo di leggine che le Regioni hanno emanato all’insegna del Piano Casa. Saranno in contrasto con le leggi dello Stato? O, Dio non voglia, con la Costituzione? A tal proposito gioverà, a uso del governo e del Parlamento, un veloce ripasso di storia patria (attenti alle date!).
Nella “manovra d’estate” 2008 (L. 133, 6 agosto), Berlusconi riprende un’idea del II governo Prodi lanciando un Piano Casa, inteso come social housing per categorie svantaggiate, con finanziamenti pubblici (550 milioni) e privati. Dopo sette mesi (6 marzo 2009) Berlusconi annuncia l’imminente approvazione del Piano Casa, che con agile giravolta ha totalmente cambiato faccia. Zero capitali pubblici, zero social housing: la norma è concepita solo per chi la casa ce l’ha già, e ha anche i soldi per ampliarla. Sospendendo la validità delle regole in vigore, ogni edificio potrà essere ampliato dal 20 al 35%, e anche più per chi acquisti diritti dai vicini di casa. Il tutto “in deroga alle disposizioni legislative, agli strumenti urbanistici vigenti o adottati e ai regolamenti edilizi”: un vero e proprio condono preventivo che non solo depenalizza, ma incoraggia ciò che fino a ieri era reato, consegnando città e paesaggio al partito del cemento. Mentre, secondo l’art. 117 della Costituzione, la legge dello Stato deve “determinare i principi fondamentali” delle leggi regionali, in questo caso si inverte la procedura, scavalcando il Parlamento e stipulando (31 marzo) un’intesa preventiva tra governo e Regioni, poi ratificata dalla Conferenza unificata Stato-Regioni il 1 aprile. Secondo l’intesa, il governo emanerà entro 10 giorni una legge-quadro; seguiranno le Regioni, che faranno entro tre mesi i loro vari Piani-Casa, s’intende in conformità alla legge-quadro statale.
La bozza ufficiale che circola quel 1° aprile (la data non è uno scherzo) prevede “semplificazioni normative” che sono in realtà una selvaggia deregulation, sospendendo perfino le norme di prevenzione antisismica, sostituite da “controlli successivi alla costruzione, anche con metodi a campione”; vengono depenalizzate finanche le false dichiarazioni tecniche dei progettisti. Peccato che il 6 aprile 2009 il terremoto d’Abruzzo riveli quanto siano irresponsabili norme come queste. Il governo si blocca, e la legge-quadro non viene approvata, né allora né mai. L’accordo informale del 31 marzo non ha valore di legge: eppure, più realiste del re, le Regioni si affrettano a fare “come se”, legiferando pur in assenza di una legge nazionale di riferimento, cioè senza rispettare l’art. 117 della Costituzione. Prima della classe, la Toscana (centro-sinistra), che già l’8 maggio approva il proprio Piano Casa; seguono la Provincia autonoma di Bolzano (15 giugno), l’Umbria (26 giugno), l’Emilia-Romagna (6 luglio), e così via (ultima la Calabria, 4 agosto 2010).
Di regione in regione, in mancanza di principi-guida nazionali, il bricolage del fai-da-te. Un labirinto di varianti, l’unità d’Italia dello sfascio: non appena il Veneto regala ampliamenti fino al 50%, viene prontamente copiato dalla Sicilia, ma sorpassato dal Lazio (60%), e così via; per non dire di codicilli via via introdotti negli anni dal 2009 a oggi. Non bastava scavalcare il Parlamento e ignorare l’art. 117 Cost. con l’accordo del 31 marzo: la totale assenza di una legge-quadro dello Stato fu e resta ignorata da tutti (Stato e Regioni, destre e “sinistre”). In piena e concordata illegalità, il Piano Casa dilaga per l’Italia, con leggi regionali un po’ più restrittive (Toscana, Umbria, Puglia) o più sbracate (Lombardia, Veneto, Sicilia). Tutti d’accordo a “semplificare” drasticamente le norme, calpestando l’art. 9 della Costituzione, il Codice dei Beni Culturali, il T.U. per l’edilizia e quant’altro. Con colpevole complicità, a “sinistra” come a destra si è fatto come se si trattasse soltanto di una misura anticongiunturale, anziché di incidere permanentemente e irreparabilmente sulla facies del Paese.
Se davvero il governo in carica vuol porre rimedio alle discrepanze tra legge dello Stato e leggine regionali, dunque, dovrebbe accorgersi, per cominciare, che i centomila abusi dell’ex-Belpaese sono figli non solo dei condoni Craxi-Berlusconi, ma anche, anzi ormai soprattutto, dell’abortito Piano Casa nazionale, che ha generato i mostriciattoli dei piani-casa regionali. Che, in mancanza della legge-quadro dello Stato, le leggi regionali sul Piano Casa sono tutte illegittime, e dunque andrebbero denunciate in blocco alla Corte Costituzionale. Che, dopo otto anni di connivenza, lo Stato potrebbe finalmente svegliarsi (come non ha fatto coi governi Monti, Letta, Renzi).