«La crisi infinita fa aumentare il divario tra il nord da una parte, il sud e l’est dall’altra. Le politiche dei Piigs aggravano la situazione: tagli a istruzione e ricerca, nessuna garanzia per chi rimane senza lavoro. La soluzione è inventare un modello sociale continentale, sottraendolo alle nazioni».
Il manifesto, 4 aprile 2014
Allo stesso tempo, il ruolo assunto dall’Unione Europea nel dettare le regole per affrontare la crisi ha ulteriormente indebolito lo spazio che hanno le politiche sociali e la costruzione di un modello sociale europeo nella costruzione della Unione.
Ovviamente, sia l’intensità di ciascuna di queste tre crisi distinte, il grado della loro interdipendenza, le risorse per affrontarli variano da paese a paese sulla base non solo della salute delle loro economie e del potere negoziale che hanno all’interno dell’Unione Europea, ma anche della lungimiranza che hanno avuto nel recente passato nell’affrontare la prima crisi. I paesi, infatti, che da più tempo si sono attrezzati per rispondere all’aumento nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro, alla richiesta di maggiore eguaglianza tra uomini e donne, ai bisogni provocati dall’invecchiamento, alla necessità di non sprecare le proprie risorse umane creando condizioni di pari opportunità tra i bambini per correggere le disuguaglianze nell’origine famigliare, che hanno capito che un mercato del lavoro mobile e flessibile aveva bisogno di rafforzare e modificare le proprie reti di protezione, sono stati colti meno impreparati dalla crisi, con strumenti più adeguati. Anche se in tutti i paesi vi sono tensioni attorno a se e come ridefinire gli strumenti di welfare.
In questo contesto, non solo le politiche di austerità, ma il discorso con cui sono state argomentate a livello Ue, il diverso uso delle sanzioni e dei richiami che vengono fatti se si sfora il patto di stabilità piuttosto che se non si realizzano gli obiettivi sociali ha fortemente indebolito i welfare state già in partenza più deboli e più bisognosi di riforma, come quello italiano, facendo passare l’idea che il welfare state sia la causa, se non della crisi tout court, del debito pubblico.
Gli occhi di Bruxelles sono tutti per il deficit di bilancio. Il deficit sociale di alcuni paesi, tra cui l’Italia, con i tassi di povertà assoluta e deprivazione che aumentano, la disoccupazione che cresce, le politiche di conciliazione che non vengono neppure più nominate – benché vistosamente lontani dagli obiettivi di Europa 2020 – non produce né richiami, né ripensamenti della politica di austerità