1. Introduzione
L’attesa riforma della legge urbanistica sembra essere tornata di attualità nel nostro Paese, in un clima di innovazione di pratiche, strumenti e dispositivi di legge che, da almeno un ventennio, hanno espresso un approccio molto debole nel mobilitare e rilanciare processi di sviluppo sociale ed economico su base territoriale e urbana.
Infatti, la proposta di legge Lupi si colloca entro una stagione molto attiva – sebbene non sempre fertile – di redazione di provvedimenti normativi di natura o con effetti urbanistici (consumo di suolo, riorganizzazione degli EE.LL. e istituzione delle città metropolitane, rigenerazione urbana, etc.).
Tuttavia, a fronte dell’ampio auspicio che la legge sul contenimento del consumo di suolo, la legge Delrio e la legge Urbanistica Nazionale (LUN) potessero costituire, in forma integrata, l’avvio di un generale e complessivo processo di riforma della disciplina del governo del territorio, attualmente sembra che le tre iniziative continuino a procedere separate, non solo nella procedura, ma soprattutto nei contenuti.
Naturale evoluzione e necessaria conseguenza di tali iniziative legislative dovrebbe quindi essere l’avvio di un processo di riforma della LUN, che, però, nella proposta di legge oggetto di queste note, si configura ancora come un tassello piuttosto che come la necessaria cornice di coerenza generale.
Pertanto, pur seguendo con molta attenzione la ripresa di un certo interesse istituzionale per l’urbanistica e il governo del territorio (anche per la possibilità di riallineare le diverse leggi regionali in un telaio normativo unitario), sembra che questa proposta di legge sia sbilanciata su aspetti tecnico procedurali piuttosto che sostantivi: su aspetti legati al regime di proprietà e alla fiscalità, con l’effetto di un trattamento debole e sfocato dei valori del territorio e dei contenuti propri di un progetto urbanistico che interessi il futuro del Paese, dei suoi territori e delle sue città.
In questo quadro, come Società Italiana degli Urbanisti (SIU), ci preme sottolineare la centralità della città e del territorio, stigmatizzando nell’attuale versione del disegno di legge l’assenza di alcune distinzioni (tra città grandi e piccole, ma anche tra capacità amministrative regionali1) e di alcuni problemi e valori caratterizzanti ciascun territorio a fronte di una supposta competenza nazionale a stabilire priorità e orientamenti.
Pertanto, la SIU si propone di collaborare attivamente alla definizione di proposte di miglioramento a
partire da critiche competenti, costruttive ed interagenti, immaginando e coordinando un processo di
confronto pubblico, di riflessione e di elaborazione, che vede la nostra ampia disponibilità a una
collaborazione istituzionale che consenta di far interagire e dialogare, su questi temi, le competenze e le professionalità dei docenti e dei ricercatori delle 30 strutture Universitarie e di Ricerca che aderiscono e trovano rappresentanza nella nostra Società Scientifica, con l’intenzione di mettere in rete ricerche specifiche sui diversi temi sollevati e di porre in evidenza le carenze o i temi che ci appaiono sottovalutati dalla proposta.
2. Punti chiave
La SIU ha sviluppato, negli anni, importanti riflessioni teoriche riferite al nuovo assetto degli strumenti di pianificazione e alle trasformazioni del territorio e della società italiana, che rendono possibile indicare alcuni punti chiave rilevanti che possono rappresentare i contenuti su cui la SIU potrà sviluppare un ruolo di affiancamento nella revisione dell’attuale testo di legge.
· Incrementare l’integrazione e l’intersettorialità tra piani, strumenti di gestione e pianificazione
urbanistica e territoriale, misure di conservazione, di tutela e di valorizzazione dei patrimoni storici e
paesaggistici, programmi infrastrutturali, piani e misure di salvaguardia ambientale e idrogeologica e di sicurezza del territorio nel Paese;
· Ripensare complessivamente la riforma urbanistica nazionale come sfida per una reale revisione delle responsabilità, dei protocolli e degli strumenti per un governo del territorio più intelligente, sostenibile e solidale ma, anche, capace di sostenere un efficace “federalismo urbanistico”, senza tentazioni vetero centraliste e senza derive regionaliste frammentarie.
· Invertire la scarsa rilevanza dei temi della vivibilità delle città, della qualità del paesaggio, della coesione delle aree interne, della sostenibilità ambientale e dell’efficienza energetica nell'agenda politica e sociale dell’Italia, rifiutando il “piano per le città” e prediligendo un “patto per le città” che produca maggiore innovazione dei processi e non solo l’accelerazione dei finanziamenti o degli investimenti. La qualità del territorio e del paesaggio e la conservazione dell’ambiente e delle energie devono essere la matrice di politiche attive di creazione di nuovo valore urbano. Serve un nuovo paradigma territoriale da “risorsa” a “patrimonio”, il quale passando dal valore di scambio al valore d’uso concorrerebbe alla messa a punto di una strumentazione e normazione urbanistica efficacemente orientate alla limitazione del consumo di suolo.
· Interpretare e sostenere i processi di metropolizzazione determinati dalle nuove condizioni
economiche e sociali che generano spinte a una “diversa crescita” della città e della popolazione
urbana in una rinnovata dimensione transcomunale cooperativa e non più semplicemente ancillare. Le
poche metropoli italiane e le tante “protometropoli” insieme agli “arcipelaghi urbani” pongono alla
pianificazione alcune sfide ineludibili: inquinamento e congestione prodotti dalla mobilità, compulsivo consumo di suolo, fragilità del patrimonio edilizio, dispersione energetica, mancanza di reticoli di spazio pubblico ed interruzione delle reti ecologiche; ed impongono di mutare radicalmente i contenuti principali della pianificazione urbana e territoriale e di innovare gli strumenti regolativi e progettuali.
1 Se si prova a contare quante nuove funzioni vengono demandate all’attività regionale sottoposta alla proposta di nuova normativa nazionale ci si chiede, inevitabilmente, se alle regioni resterà il tempo di fare altro…
· Internalizzare nei processi urbanistici i temi rilevanti per ridefinire il modello di sviluppo come l’urban recycle, in termini di riuso creativo della dismissione; il progetto di suolo non esclusivamente in termini di consumo; la smartness per la revisione dei cicli di acquaenergiarifiuti e per la gestione delle reti digitali e di mobilità verso una reale sostenibilità; l’urban retrofitting come modalità di intervento sulla città esistente non efficiente.
· Revisionare il rapporto pubblicoprivato verso una maggiore corresponsabilità e concorrenza verso lo
sviluppo sostenibile, mettendo a regime il rapporto tra regolazione e incentivazione, tra facilitazione e
redditività. In particolare decisiva sarà la sostenibilità delle risorse finanziarie per la “città pubblica”, per la realizzazione dei servizi, per la dotazione di pertinenze di qualità, per le infrastrutture di mobilità pubblica, per la qualità dello spazio pubblico, per l’incentivazione del social housing. A tal fine dovrà essere rivista la fiscalità locale e di scopo per l’incentivazione della pianificazione operativa, nonché dovrà essere innovata la fiscalizzazione generale della rendita, al fine di una sua più equa distribuzione sociale. Alle incentivazioni fiscali dovranno essere affiancate quelle autorizzative, gestionali e amministrative, le quali, intervenendo sul fattore tempo, possono concorrere alla agevolazione dell’investimento privato.
2.1 Paradigmi e ruoli del progetto urbanistico
Sembra indispensabile che vengano affrontate e trattate dalla proposta di legge alcune questioni che oggi appaiono centrali nel ridefinire paradigmi e ruoli del progetto urbanistico del territorio contemporaneo e delle politiche volte alla sua trasformazione.
Innanzitutto andrebbe declinato con maggiore chiarezza il tema della qualità urbana (del resto la proposta di riforma adotta lo slogan “le città vivibili”), focalizzando i temi cardine per una città vivibile, i criteri e i dispositivi che possono garantire qualità e vivibilità all’ambiente urbano. In relazione a questi temi è centrale la considerazione secondo cui attualmente i processi di trasformazione territoriale (come tutti i processi di produzione e consumo) generano scarti e rifiuti (aree dismesse, paesaggi abbandonati, drosscape, rifiuti e macerie) che hanno la necessità di essere ripensati all’interno di nuovi cicli di vita della città e del territorio; ciò reclama un nuovo progetto politico e culturale che sia in grado di assumere la centralità della nozione del riciclo estesa ai territori urbani e rurali, agli ambienti e ai paesaggi, al di fuori delle derive esteticoespressive o di una banalizzazione delle pratiche di recupero edilizio ed urbano intese settorialmente.
In questo quadro, appare evidente come il tema della fragilità geoambientale (tradizionalmente trattato in maniera settoriale) vada assunto, al contrario, in una prospettiva ecosistemica e vada considerato come progetto della città nel suo insieme. Si tratta di lavorare sulle relazioni e sulle connessioni che migliorano la resilienza urbana. Non è solo un problema di corretta ingegneria ambientale e strutturale. Anche tenendo presente che, soprattutto nelle aree interne del nostro Paese, il tema della sicurezza ambientale si associa a quello del rinnovo urbano e del rilancio socioeconomico di interi territori.
Così come, allo stesso tempo, appare necessaria una riflessione e un approfondimento sull’evoluzione e trasformazione: a) del concetto di sussidiarietà, presupposto ed esito di una condizione che ci vede
comunque dipendenti dagli indirizzi comunitari; b) dei nuovi lemmi e slittamenti semantici, derivanti per lo più da esperienze nazionali e internazionali anche avanzate (dibattiti pubblici2, housing sociale, dotazioni territoriali3, o procedure di evidenza pubblica) ma ricollocate entro modalità piuttosto tradizionali nei confronti degli interventi dei privati senza alcun apprendimento da pratiche negoziali confuse e, spesso, perdenti per il pubblico.
2.2 Questioni ineludibili
Di seguito si riporta una sintetica elencazione di alcune argomentazioni essenziali che non è possibile
eludere:
1) Sarebbe un arretramento che la materia del governo del territorio fosse ricondotta esclusivamente alla competenza dello Stato. Dovrebbe avvenire il contrario, ovvero, che sia di competenza delle Regioni,
2 Vedi art. 16 “da disciplinarsi con LR senza specificare che succede in assenza di riferimento nelle LR di competenza.
3 Positivo, invece, a questo proposito la declinazione di dotazioni territoriali essenziali al punto g) che sembrerebbe dare il via alla realizzazione, ad esempio di moschee/centri culturali, quando, come è noto già la 1444/68 non specifica che si debba trattare solo di “chiese”… riservando allo Stato la predisposizione di quadri di orientamenti normativi di riferimento per le legislazioni regionali. Così si potrà porre argine a ridondanti declinazioni locali nella DGT su cui le Regioni si sono banalmente esercitate, e lasciare alle specificità locali la responsabilità delle scelte concrete di assetto del territorio, unificate in appositi strumenti di pianificazione. Utile, in questa direzione, l’esperienza dei codici (edilizia, ambiente, beni culturali), dannosa la sovrapposizione e intersezione su medesimi ambiti spaziali di piani generali e settoriali, urbanistici e territoriali, di competenza di enti diversi (statali, regionali, provinciali e comunali).
2) La nuova DGT dovrà portare immediati benefici ed essere direttamente operativa nella prassi
pianificatoria, salvo le precisazioni che le Regioni potranno apportare; si dovranno prevedere poteri
sostitutivi per le Regioni inerti; dovrà essere condotta una capillare, anche se difficile, operazione di
abrogazione di norme preesistenti per evitare una impossibile gestione di qualsiasi innovazione innanzi alla giustizia amministrativa, civile e penale.
3) I nuovi atti di governo del territorio, mediante strumenti di pianificazione di diverso livello e
competenze, dovranno essere strettamente integrati alle politiche di bilancio degli enti locali e ne
dovranno costituire effettivamente il motore e l’elemento di verifica; la fiscalità locale deve essere alla base dell’intervento urbanistico, nel rapporto fra generazione di risorse finanziarie prelevate dal
territorio e redistribuzione delle stesse, attivando una nuova fiscalità urbanistica; in tale contesto, vanno chiariti e stabilizzati, nella prassi corrente, le modalità perequative e compensative quali modifiche al diritto di proprietà.
4) L’edilizia residenziale sociale va intesa quale dotazione territoriale, superando l’equivoco che
inizialmente l’ha equiparata agli standard tradizionali, in quanto deve costituire un’ulteriore dotazione, indicata dagli standard previsti dalle normative statali e regionali.
5) È necessario introdurre nella DGT il regolamento urbanistico edilizio comunale, come già le discipline regionali hanno provveduto a fare, chiarendone il ruolo di strumento di governo spaziale stabile e permanente, esteso all’intero territorio comunale.
6) I piani urbanistici attuativi devono rimanere uno strumento urbanistico unificato e di iniziativa pubblica, privata o mista; tali piani, inoltre, vanno approvati con rigore e trasparenza ma, anche, attraverso uno snellimento delle procedure, verificando anche possibili e controllati elementi di flessibilità rispetto alla pianificazione comunale generale.
7) La valutazione ambientale strategica deve diventare un momento di approfondimento tecnico e di
verifica e confronto sociale, integrato alla costruzione delle strategie di governo del territorio, puntando su trasparenza e partecipazione e dimostrando come tale strumento sia in grado di sostenere
l’individuazione di scelte e obiettivi, di verificare l’efficacia delle soluzioni, nonché delle progressive
implementazioni.
8) Le politiche urbane devono diventare azione corrente di governo del territorio da parte degli enti locali, indipendentemente dal sostegno finanziario statale e, solo in casi eccezionali, devono ricorrere a finanza derivata se non nei termini conclamati di insostenibilità dell’azione locale e con verifiche concrete di ritorno dell’intervento aggiuntivo, corredato da forme di penalizzazione expost.
9) Le forme di tutela del territorio e delle città, sia attiva che passiva, devono essere integrate nei cicli di sviluppo economico e sociale, e le politiche urbane le devono sostanziare con trasparenza e in termini di efficacia.
3. Interpretazione critica e proposte
La nuova proposta di legge redatta dal gruppo di lavoro “rinnovo urbano” facente capo alla segreteria
tecnica del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, pur proponendosi di fissare nuovi principi in
materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana con l’esplicito obiettivo di migliorare l’efficacia attuativa del piano, si concentra prevalentemente ed essenzialmente sulle modalità e sugli strumenti, con un’attenzione sbilanciata per gli aspetti procedurali legati al regime di proprietà e alla fiscalità. Per queste ragioni tale proposta appare oltremodo debole, se non addirittura “omissiva”, sugli aspetti urbanistici regolativi, progettuali e spaziali.
La proposta di legge contiene alcune intenzioni che ci paiono importanti e condivisibili, da mantenere con alcune precisazioni e miglioramenti:
si parla di rigenerazione, accogliendo implicitamente che l’idea di approvazione delle operazioni di
rinnovo funzionale e di rigenerazione urbana comporti “la dichiarazione di pubblica utilità delle opere e l’urgenza e indifferibilità dei lavori”;
si danno i contorni della perequazione e della trasferibilità dei diritti edificatori, pur senza tener conto
delle difficoltà che l’applicazione di tali principi ha riscontrato nelle regione dove sono stati previsti
dalle norme regionali;
si chiariscono gli oneri dovuti dalle trasformazioni e si fa riferimento al metodo del plusvalore, come
avviene in altri paese europei, si fornisce un importante chiarimento sulla fiscalità immobiliare, sebbene dettato da una eccessiva attenzione al regime della proprietà privata;
reinterpreta, seppur parzialmente, la materia degli standard urbanistici ponendo in evidenza la
necessità di procedere ad approcci e modalità di calcolo diversi da quelli tradizionalmente delineati
nell’ambito di una nuova idea di città in trasformazione;
si cerca di sciogliere alcuni importanti nodi riguardanti il regime dei suoli , il ruolo della proprietà
privata, la commerciabilità dei diritti edificatori, la perequazione, la fiscalità urbana che hanno la
possibilità di essere utilizzati come strumenti di efficacia del progetto urbanistico contemporaneo.
A questo livello di elaborazione, la proposta di legge appare prevalentemente finalizzata a trovare risorse per il settore immobiliare in crisi. Ma la soluzione ancora una volta sembra limitarsi ad agire esclusivamente sulla rendita fondiaria ed edilizia. La proposta, infatti, mira a rendere virtualmente edificabile l’intero territorio nazionale per rafforzare la rendita fondiaria attraverso l’istituzione di diritti edificatori trasferibili e utilizzabili tra aree di proprietà pubblica e privata, e liberamente commerciabili.
Non si tratta solo di una critica sul piano dell’etica, ma anche su quello altrettanto rilevante della pratica concreta: oggi la rendita fondiaria e immobiliare è esaurita, se non in dosi marginali, ed è, quindi, incapace di far ripartire il sistema generativo di valori urbani sui quali si regge la compartecipazione tra pubblico e privato. Servono nuovi valori, nuovi “capitali urbani”, come la rigenerazione paesaggistica e ambientale, la valorizzazione del patrimonio storico, la qualità, l’attrattività, la riattivazione manifatturiera, la produzione di energia, l’efficienza del metabolismo, etc.
3.1 Integrazione e contestualizzazione dei piani e dei progetti urbanistici
La proposta legislativa, nel tentativo di proporsi come “legge di principi”, sfugge ai contenuti legati ai valori spaziali, culturali e sociali del territorio, del paesaggio e dell’ambiente urbano; valori di cui oggi, la disciplina e la cultura internazionale, hanno piena consapevolezza maturata attraverso studi, ricerche e riflessioni ampie e interdisciplinari.
Questo slittamento dall’oggetto della pianificazione (le città, i territori produttivi e rurali, i paesaggi) alle procedure operative, genera alcune semplificazioni che non consentono ad alcuni temi importanti di andare oltre enunciati di principio.
Manca qualsiasi riferimento ai valori che definiscono l’identità dei contesti e dei territori urbani, dunque alle invarianti e alle condizionanti territoriali, alla valutazione ambientale strategica dei piani come costruzione di contenuti degli strumenti di pianificazione e non solo come mero congegno procedurale, al paesaggio come risorsa generatrice e al patrimonio culturale come attivatore di sviluppo, alla presenza resiliente dell’agricoltura urbana e alle identità urbano/rurali dei nostri centri interni, al contrasto al dissesto idrogeologico, alla mitigazione della fragilità del territorio e all’efficienza energetica degli insediamenti, sempre più oggetto attivo del progetto urbanistico.
Poco o nulla si dice sulle invarianti territoriali, sulle forme di integrazione degli strumenti di governo del territorio e della copianificazione, sul consumo di suolo nonché sui temi urgenti del dissesto idrogeologico e della vulnerabilità e fragilità del territorio, della tutela del paesaggio, della compatibilità ambientale dei piani nelle aree sismiche, dell’apporto recente delle conoscenze in campo informatico applicate al territorio al suo monitoraggio e alla sua rappresentazione con i prevedibili effetti di economia delle risorse, di maggiore trasparenza e di potenziale flessibilità delle scelte urbanistiche.
3.2 Debole considerazione dell’area vasta
La proposta appare complessivamente carente nella gestione della dimensione di area vasta, indispensabile per risolvere numerose criticità territoriali e per cogliere le opportunità offerte dalla nuova programmazione europea (si va verso le macroregioni per molte iniziative di sviluppo, soprattutto quelle con forte rilevanza infrastrutturale e insediativa). A fronte di questa evidente omissione della dimensione interscalare della pianificazione e, in particolare, di quella intermedia (da intendersi come la più efficace per orientare politiche policentriche e reticolari) la proposta introduce una Direttiva Quadro Territoriale (DQT), quinquennale e direttamente approvata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che riesuma in altra veste i piani infrastrutturali e le grandi opere della “legge obiettivo” o del “piano città”, subordinando il paesaggio al governo del territorio, non solo in contrasto col “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, ma anche con il dettato Costituzionale dell’art. 9.
Nel suo insieme, l’architettura istituzionale e normativa contenuta nella proposta non risolve e, talvolta, nemmeno affronta, il complesso sistema dei ruoli e delle competenze, esclusive o concorrenti, autonome o associate, nel rapporto tra lo Stato, le Regioni, le Province (in corso di profonda riforma), le Città Metropolitane (in corso di definizione) e i Comuni (paralizzati della profonda crisi della finanza pubblica), derivato dall’interazione o dall’interferenza tra il vigente Titolo V della Costituzione e le riforme in campo. In questo denunciando un mancato riconoscimento dei processi di trasformazione in atto in cui prendono forma inedite conurbazioni multiscalari e reticolari: unioni e intese tra formazioni insorgenti e spesso nuove che vedono l’interazione tra comuni, “metropoli piccole”, aggregazioni territoriali estese, “coalescenze territoriali”, “arcipelaghi urbani”, geocittà.
La proposta appare, in qualche modo, indifferente alla contemporanea riflessione politica e disciplinare, oltre che alla diffusa critica alla complessità e farraginosità dell’apparato pianificatorio urbanistico. Essa sembra riproporre il doppio livello del piano comunale strutturale e operativo (ormai acquisito dalle leggi urbanistiche regionali) attingendo a modelli forse efficaci ma, in parte, obsoleti e senza distinzione tra le conurbazioni metropolitane, le città medie e il reticolo di piccolissimi comuni che invece andrebbero incentivati verso forme di composizione comprensoriale.
A tal fine sarebbe necessario agevolare la predisposizione di “quadri di coerenza territoriale” capaci di individuare le potenziali scelte “invarianti” e “condizionanti” in grado di integrare ed orientare i successivi livelli di pianificazione.
3.4 Altre criticità
Infine, appare opportuno citare alcuni ulteriori elementi problematici:
- la mancata integrazione tra alcune politiche di settore (in particolare paesaggistiche e infrastrutturali) e politiche urbanistiche: questioni da sempre irrisolte che attengono alla separazione (culturale ed operativa) tra strumentazioni, competenze e giurisdizioni, che non sembrano chiarite, in termini di contenuti, ambiti di applicazione, cogenza e rapporto tra DQT, DQR, Piano Piani di Area Vasta, Piano Comunale, dagli artt. 5 e 7 a proposito del coordinamento delle politiche in materia di governo del territorio;
- la perdita di efficacia di alcune parte del d.m.1444/68 non sostituite né garantite dall’introduzione delle “dotazioni territoriali”;
- la determinazione del fabbisogno pregresso e futuro per le “dotazioni territoriali” a fronte di una oramai larga indifferenza al calcolo del fabbisogno nella definizione dello sviluppo urbano futuro e, quindi, lo scollamento tra fabbisogno abitativo e fabbisogno di dotazioni territoriali essenziali, ossia i vecchi standard minimi;
- il calcolo degli oneri di urbanizzazione rischia di rendere impraticabili alcune azioni di rigenerazione urbana, tenendo conto che, ad esempio, il 30% del plusvalore può essere eccessivo, soprattutto nel caso di recupero con bonifica delle aree;
- la definizione di zone urbanistiche “omogenee” – quando viene meno l’omogeneità degli usi da sostituire con una nuova mixité funzionale – appare anacronistica e smentita dalla totale liberalizzazione del cambio di destinazione d’uso in caso di non necessità di reperire ulteriori dotazioni di servizi;
- nel complesso la proposta di legge (in particolare all’art. 8, comma 3 e 4) sembra eccessivamente
sbilanciata a prestare il fianco a dispositivi di eccezione per garantire la salvaguardia del privato piuttosto che a mettere al centro la salvaguardia del pubblico, introducendo anche il rischio di aprire notevoli margini di contenzioso in sede di redazione degli strumenti di pianificazione comunale;
- l’assenza di riferimenti a forme di tutela risulta evidente in passaggi come quello del comma 2 dell’art. 16 laddove, a proposito di rinnovo urbano si fa riferimento ad esempio alla demolizione, ricostruzione e ristrutturazione urbanistica, che, in assenza di un quadro certo di tutele può divenire pericoloso.
In definitiva il testo della legge andrebbe opportunamente revisionato, tenendo in considerazione le
argomentazioni e i temi richiamati in precedenza, con l’obiettivo di attribuire una più ampia centralità al ruolo del progetto urbanistico come pratica amministrativa e politica in grado di costruire – in forma condivisa e concertata – scenari di futuro per i territori e le comunità locali, legati alle loro specifiche esigenze, alle loro potenzialità, alle condizioni di identità dei differenti contesti. Solo in subordine a questi principi e valori dovrebbe essere possibile innestare le articolazioni procedurali contenute nell’attuale proposta.
In tale direzione la SIU, in rappresentanza della cultura urbanistica e della ricerca universitaria e scientifica in Italia, si candida a contribuire all’individuazione e all’approfondimento di modifiche, chiarimenti e articolazioni della proposta di legge, affinché tale disciplina possa innovare con decisione le forme di governo e di progetto dei territori e delle città italiane, in termini di sviluppo e di vivibilità dello spazio urbano, di tutela e di valorizzazione delle identità locali, di sostegno dei processi di sviluppo e di rilancio delle attività economiche in chiave di sostenibilità.
Michelangelo Russo è Presidente della Società Italiana degli Urbanisti
Postilla