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Annunciata indirettamente dal Segretario di stato Usa, Rex Tillerson, che ha esortato i Paesi alleati, durante l’incontro ieri con il premier iracheno Heider al Habadi, «a fare di più» contro l’Isis, l’operazione dietro le linee nemiche compiuta da 500 combattenti curdi appoggiati delle forze speciali Usa, ha colto di sorpresa i miliziani dello Stato islamico. Il blitz, con l’impiego di aerei Osprey capaci di atterrare in spazi ristretti come un elicottero, è avvenuto a Tabqa, una cittadina della provincia di Raqqa, la “capitale” dell’Isis in Siria. I curdi hanno strappato all’Isis il controllo di quattro villaggi e interrotto la strada che porta verso Aleppo, a ovest. Tuttavia Raqqa si trova a decine di chilometri a est del luogo dove sono intervenuti curdi e americani. L’obiettivo dell’operazione perciò è solo quello di mettere le mani su quell’area, in preparazione dell’assalto finale a Raqqa. L’operazione congiunta segna un nuovo passo verso un maggiore coinvolgimento militare in Siria della nuova Amministrazione Usa che, come ha ribadito ieri Tillerson, considera la guerra all’Isis la «priorità assoluta». A Mosul intanto gli uomini del Califfato resistono alla pressione dell’esercito iracheno e la liberazione della città appare ancora lontana.
Non lontano da quell’area, nella cittadina di Mansoura, decine di sfollati siriani sono stati uccisi da un bombardamento aereo della scuola dove erano ospitati. I morti sarebbero una quarantina e l’Osservatorio per i diritti umani in Siria, vicino all’opposizione, sostiene che è stato compiuto dalla Coalizione a guida americana. Silenzio da parte di Washington, responsabile appena qualche giorno fa di un altro attacco aereo contro presunti «leader di al Qaeda» che invece ha centrato in pieno una moschea facendo dozzine di vittime. Nella scuola di Mansoura avevano trovato alloggio temporaneo una cinquantina di famiglie fuggite dai combattimenti nella provincia di Raqqa e da quelle di Homs e Aleppo.
Nel frattempo è definitivamente crollata la tregua proclamata alla fine dello scorso anno e la Siria precipita in una nuova, ma non inattesa, escalation militare innescata da jihadisti e qaedisti, descritti come “ribelli” o “insorti” dai media occidentali. In qualche capitale del Golfo qualcuno ha deciso di silurare i negoziati avviati da russi e turchi ad Astana e dalle Nazioni Unite a Ginevra, considerati «favorevoli» al presidente siriano Bashar Assad. I miliziani della Hay’at Tahrir al Sham, la coalizione composta da al Qaeda e dai suoi numerosi alleati, proseguono l’offensiva alla periferia orientale di Damasco e a Hama. Qui i qaedisti e altri gruppi islamisti hanno raggiunto il villaggio di Khatab, 10 chilometri a nord ovest della Hama. A Damasco Hay’at Tahrir al Sham, che domenica aveva lanciato una prima offensiva respinta dai governativi, martedì è ritornata all’attacco e ha occupato una zona industriale della capitale. Per ora i qaedisti guidati da Abu Muhammad al Julani, luogotenente di Ayman Zawahri, il successore di Osama Bin Laden, resistono agli attacchi aerei e al fuoco dell’artiglieria governativa. E a loro volta, dal sobborgo di Jobar, lanciano razzi e colpi di mortaio verso la capitale. In linea d’area sono ad appena tre-quattro chilometri dal quartier generale di Assad e domenica erano riusciti a colpire anche un edificio dell’ambasciata russa. Decine di famiglie sono state costrette ad abbandonare le loro case per sfuggire ai combattimenti.
Alla vigilia di una nuova sessione di colloqui tra governo ed opposizione l’inviato speciale dell’Onu per la Siria Staffan De Mistura ha descritto questi sviluppi come “allarmanti”. Un po’ poco visto di fronte al negoziato che si sta sbriciolando. Tra i gruppi alleati di al Qaeda nell’assalto della capitale infatti ci sono anche Ahrar al Sham e Jaysh al Islam considerati “moderati” dall’Occidente e Mohammed Alloush, leader di Jaysh al-Islam – fazione finanziata e armata dall’Arabia saudita – è il capo negoziatore a Ginevra. E se nei mesi scorsi, dopo la liberazione di Aleppo da parte dell’esercito siriano, i “ribelli” si erano spaccati in due gruppi – i presunti “moderati” favorevoli a discutere una soluzione politica e i qaedisti considerati “terroristi” anche dagli Stati Uniti e non solo da Mosca – adesso la frattura si è ricomposta. E la direzione dell’orchestra jihadista “ribelle” appare saldamente nelle mani di al Qaeda contraria a qualsiasi ipotesi di compromesso con «l’apostata» Assad. Invece secondo l’editorialista Hussein Abdel Aziz, del quotidiano saudita al Hayat, l’offensiva di Hay’at Tahrir al Sham non sarebbe volta a far naufragare il negoziato bensì avrebbe solo lo scopo di rafforzare l’opposizione ai colloqui a Ginevra ed Astana.