“Sinistra radicale”… Discutiamo. Riproponendo il caso delle elezioni comunali a Venezia Edoardo Salzano (Eddytoriale 70 del 24 aprile) ritiene che “nella baruffa quella sinistra si è spaccata nelle due entità antagoniste, tra le quali la destra ha avuto buon gioco a scegliere quella a sé più vicina”. Non c’è, qui, una contraddizione, un’aporia? La parte della sinistra che si è riconosciuta in Cacciari certo non era essa a poter provenire da un fronte “radicale”, giacché solitamente attribuiamo tale qualifica a chi rappresenterebbe un’alternativa vera, nel pensiero e nell’azione, non solo alla destra “sporca” o “pulita” che sia, ma anche al moderatismo centrista suo fratello. Non una complessiva sinistra radicale si è divisa a Venezia, a meno di identificarla (insiemea Rifondazione e altri) con l’intero Partito dei democratici di sinistra: è infatti quest’ultimo che si è spezzato secondo le proprie differenze che vanno dal moderatismo ultra (di un Morando, per esempio) al radicalismo (di un Folena, p.es., che guarda caso è emigrato nel Prc). La preoccupante questione centrale di oggi e di domani è: cosa rappresenta, come si muoverà il Pds? Non possiamo ignorare che sarà il suo peso nell’Ulivo e poi nell’Unione (la quale il suo pezzetto di radicalismo costituito dal Prc e dai Verdi dovrebbe in ogni modo conservarlo, a meno di sorprese trasformistiche) a decidere nel confronto con la Margherita e con qualsivoglia modello centrista – o peggiore – esista nell’alleanza degli oppositori alla Cdl. I democratici di sinistra, dal momento che si sono identificati in fortissima maggioranza con la linea di Fassino (non dimenticabile detrattore di Enrico Berlinguer), hanno ripudiato definitivamente quei connotati storici che, preservati, avrebbero potuto garantire alla società la tutela e il rilancio di quegli “interessi generali” che, una volta, solo la classe operaia, appunto quale classe generale, e il suo mentore Partito comunista speravamo sapessero individuare pur fra mille difficoltà e volgere a nuovi obiettivi concreti, non ideologici: vale a dire alla fine più avanzati nell’andirivieni della storia. Questo fu per così dire necessario a causa della mancanza di una borghesia produttrice erede dell’illuminismo (mai esistito veramente in Italia), capace lei di costituirsi come classe generale.
Parliamo di cultura: quale cultura di riferimento possiede oggi e indica agli altri il Pds? Come potrà misurarsi con la cultura, presente nell’Ulivo-Unione, della corsa al centro, priva di basi storiche se non, per una parte, un vago cattolicesimo sociale? Quale sarà l’influenza di una sinistra effettiva (Pdc) non più riconoscibile in un grande e grosso partito, una sinistra partitica abbastanza debole che deve usurarsi nel difendere posizioni anziché muovere all’assalto? Quale la capacità e volontà dei Movimenti di configurarsi loro come una sinistra nuova – pressoché priva della classe operaia – essendo mescolanza di ceti non propriamente dotati di cultura storica e tenuti insieme dal un sentimento di contrasto a un governo mai visto nell’Italia democratica tanto è indecente? Queste le domande che mi pongo davanti al tema forte dell’Eddytoriale 70, ambiente, crescita, patrimonio di beni italiani… Quanto più allarghiamo l’orizzonte e ragioniamo secondo una visione planetaria, tanto più verifichiamo l’inadeguatezza culturale delle forze politiche menzionate. Il marxismo è innominabile per la stragrande maggioranza degli attori del centrosinistra. Eppure certo studio marx-engelsiano e di conseguenza certa forma mentis avrebbero aiutato a capire, avrebbero forse impedito l’impressionante disimpegno di fronte al problema del rapporto fra l’uomo e la natura (solo lo Tsunami, ho già commentato, ne ha provocato una superficiale, giornalistica riesumazione). Il mondo va in rovina, e i nostri amici politici supposti alternativi non sono riusciti a liberarsi e a liberare gli sprovveduti dai vincoli nominalistici rappresentati dai nauseanti “sviluppo”, “crescita”, “sviluppo sostenibile”, ormai privi di senso umano e, al contrario, pregni degli effetti e dei programmi dell’incontentabile e incontenibile whirl-capitalism. Noi, specie umana, apparteniamo non solo a una nostra speciale storia ma a due storie, la storia naturale e la storia sociale. La piena coscienza “politica” di tale appartenenza, libera dal radicalismo separatore cattolico, avrebbe potuto produrre una diversa acculturazione di massa capace di comprendere l’enorme inganno costituito dallo squilibrio mondiale e locale (fra uomo e natura e nell’umanità) progettato dalle classi e dagli stati dominanti, e dall’enorme loro vantaggio prodotto da un sottosviluppo preservato in quanto funzionale anzi necessario alla veloce accumulazione del capitale. Non diversamente è capitato, se non per riguardo alla scala, nel nostro paese circa la distruzione della natura, del paesaggio, insomma del famoso patrimonio di beni. Come non hanno capito, i nostri, che la costruzione, la trasformazione e la manutenzione del paesaggio (del territorio) è intimamente collegata ai rapporti sociali? Le analisi notissime del marxista e comunista Emilio Sereni: le conoscono? Sì? E allora perché non ne hanno fatto tesoro? Sono analisi vecchie? Ma quali, allora, le nuove loro culture? Che, abbiamo imparato dolorosamente a verificarle nei fatti, mai impiegano parole e concetti quali natura, paesaggio, territorio, urbanistica… nella contesa con la destra principale distruttrice dell’ambiente nazionale.
Se, come scrive Edoardo, la sinistra deve trovare oggi il suo ruolo storico disvelando la contraddizione della ‘civiltà’ attuale (mio il virgolettato) “che ha la sua radice in una concezione oggi rivelatasi errata e mortifera dello sviluppo”, ebbene: vuol dire che il ritardo è spaventoso e che le “battaglie per la difesa di quanto resta [assai poco] del patrimonio accumulato da secoli” saranno ancor più difficili delle precedenti perché estreme. In ogni modo siamo qui per combatterle, coi nostri poveri mezzi.
Milano, 2 maggio 2005