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Angela Pascucci
Shanghai superstar e la sfida del centro
19 Dicembre 2006
Megalopoli
Le straordinarie (di fatto inimmaginabili) dimensioni fisiche, socioeconomiche, politiche, di una cosa che continuiamo ahimé a pensare come "città". Il manifesto, 19 dicembre 2006 (f.b.)

Investita in pieno dalla «new wave» moralizzatrice generata dallo scontro al vertice del Partito a Pechino, la «Perla d'Oriente» resiste all'urto e rilancia con la spaventosa forza della sua economia. Progetti (e realizzazioni) sempre più faraonici, questa volta accompagnate persino da qualche correttivo di giustizia sociale

Non è finita. Shanghai lo sa e aspetta i colpi che la Commissione d'inchiesta sulla corruzione inviata da Pechino infliggerà ad altre teste autorevoli della politica e degli affari, dopo che a settembre è clamorosamente caduta quella del grande protettore, il segretario del Partito di Shanghai, Chen Liangyu. Chi ha la coscienza pulita scherza. «E' andato a prendere un caffè», si dice ridendo di chi sparisce perché è stato convocato da uno dei 100 ispettori installati da agosto a villa Moller, casa neogotica nel cuore della città vecchia che nel 1936 un amorevole padre svedese fece costruire per la figlia malata sulla base di una visione architettonica avuta dalla fanciulla in sogno. Nello stravagante edificio pseudo-Escher, da mesi si aggirano incubi più che sogni e chi è convocato parla a lingua sciolta. Mentre vengono allo scoperto e dilagano le chiacchiere sulle numerose amanti e il «decadente stile di vita» degli incriminati, ben conosciuti ai tempi d'oro ma oggi parte integrante della gogna sociale.

Le «confessioni» producono nuovi arresti, ognuno dei quali rende tardiva giustizia a qualcuno. L'ultimo provvedimento eccellente ha colpito il 6 dicembre scorso lo speculatore edilizio Zhou Zhengyi, accendendo le speranze degli abitanti del distretto di Jingan che già tre anni fa avevano accusato l'imprenditore, vicino alla cerchia del segretario del partito, di aver distribuito mazzette agli amministratori per avere in concessione, a prezzi di favore, i terreni dove si trovavano le abitazioni che i residenti erano stati costretti ad abbandonare in cambio di risarcimenti miserabili. Allora, in una tortuosa giravolta che doveva nascondere il marcio, l'imprenditore, già uno degli 11 uomini più ricchi di Cina, era finito dentro per manipolazione di titoli e falso in bilancio. Gli abitanti però non avevano avuto giustizia e il loro avvocato, Zheng Enchong, era persino finito agli arresti domiciliari.

Oggi si spera in qualcosa di più. L'aria è cambiata, questo è certo. Ma a Shanghai, e non solo, tutti sono sicuri che gli eventi in corso sono soltanto una resa di conti fra la fazione di Jiang Zemin e la nuova generazione guidata da Hu Jintao. Sulla volontà della leadership centrale di fare davvero piazza pulita della corruzione, parte integrante del sistema di scambio potere-denaro alla base del miracolo cinese, nessuno scommette, nonostante molti processi sulla gestione dei fondi pensione, cuore dello scandalo di Shanghai, siano in corso a livello nazionale. La rivelazione, il mese scorso, che 7,1 miliardi di yuan (700 milioni di euro) sono spariti in investimenti all'estero, speculazioni immobiliari , prestiti non autorizzati, e una buona parte non tornerà mai più nelle tasche dei lavoratori, ha in qualche modo messo in prospettiva il terremoto di Shanghai, «normalizzandolo», in una sorta di new wave moralizzatrice. Ma la memoria storica, e una pessimistica analisi dell'esistente, fanno da zavorra al decollo dell'ottimismo.

Tutti sotto inchiesta?

«Se il problema fosse davvero affrontato alla radice, dovrebbero mettere sotto inchiesta il 70-80% dei funzionari del Partito», osserva da Pechino l'avvocato Mo Shaoping. Difensore di leader operai, cyberdissidenti e giornalisti scomodi, l'avvocato è naturalmente poco portato all'indulgenza nei confronti di un potere repressivo che troppo spesso lo sconfigge con i suoi metodi brutali. Ma la sua analisi è vita vissuta nei labirinti di un sistema giudiziario ipotecato dal controllo immanente del Pc. In questa situazione di corruzione pervadente, gli arresti, secondo l'avvocato, «indicano un criterio di scelta preciso: l'attuale governo si vuole sbarazzare della generazione passata». Infatti, sottolinea, «sono anni che Chen Liangyu fa le stesse cose per le quali ora è stato incriminato ed è stato anche messo sotto accusa più di una volta»; ma «finché c'era Jiang Zemin a proteggerlo poteva continuare ad agire indisturbato. Nel momento in cui è entrato in carica Hu Jintao, che protegge altri, poiché Chen non fa parte della sua fazione non riceve lo stesso appoggio né la stessa benevolenza. Così è stato fatto esplodere il caso di Shanghai. Questo fa capire la parzialità e profonda ingiustizia del sistema».

L'avvocato Mo non si fa convincere neppure dalla portata delle indagini, che si sono allargate anche a Pechino, a Tianjin e in altre province, e hanno portato ad altri arresti. «In un modo o nell'altro», conclude, «gli indagati appartengono sempre, guarda caso, a una stessa generazione o corrente politica». E' anche alla luce di questi giudizi che appare ambivalente il provvedimento più recente di Pechino: rimuovere tutti i capi locali delle Commissioni per le ispezioni disciplinari - i castigamatti della corruzione - per nominare uomini scelti dal governo centrale,

Qualunque cosa sia in corso, un Armageddon o una miserabile lotta di fazioni, Shanghai l'insonne non dà mostra di esserne colpita a morte. Un piccolo incidente di percorso, uno sgambetto neanche troppo imprevisto sulla passerella splendente dove la rinata Perla d'Oriente marcia verso un visionario e radioso futuro. I cantieri a cielo aperto non smettono neppure per un minuto di spianare, rivoltare, costruire. E quel che si materializza sembra destinato anzitutto a stupire, in un parossismo di ovali, trapezi, torsioni barocche. Una sfida alla gravità dove si mescolano con audacia architettonica prossima all'arroganza le antiche forme cinesi e le concezioni più moderne. I più grandi architetti del mondo (ma purtroppo anche i mediocri) sembrano aver avuto carta bianca sul corpo di questa metropoli, e l'hanno riempito fino all'estremo come in preda all'horror vacui. Una frenesia da Prometeo paranoico che induce un senso di incertezza negli abitanti che, quando va bene, assistono allo stravolgimento del panorama circostante: ma assai più spesso subiscono lo sconvolgimento delle proprie vite deportate a chilometri di distanza, ai margini della foresta di pietra dove oggi sono conficcati oltre 500 grattacieli che superano i 100 metri di altezza.

La prossima tappa dichiarata è l'Expo 2010, che sta cambiando i connotati di un'area di oltre cinque km2, sulle due rive dello Huangpu a sud del vecchio Bund. Investimento minimo previsto, 10 miliardi di dollari: ma si sa che al conto finale si aggiungerà, per infrastrutture collegate, un ammontare ancora incerto ma collocabile fra i 15 e i 30 miliardi di dollari. Il futuro però ha in serbo anche altro.

Sembra incredibile che dietro una simile frenesia ci siano anche uomini pacati e sorridenti come il professor Zheng Shiling, uno dei principali architetti cinesi, influente teorico della scienza urbanistica riconosciuto a livello mondiale. Oltre che dell'Accademia delle scienze cinesi, è anche membro dell'Académie d'Architecture de France nonché Honorary Fellow all' American Institute of Architects. Essendo anche «General Schemer» dell'Expo 2010 e occupando una posizione preminente nella Shanghai Urban Planning Commission e nel Comitato per la conservazione delle aree storiche, tutta la città passata, presente e futura sta nella sua testa. La racconta in un bell'italiano, appreso nei tre anni, dall'86 all'89, che ha trascorso come visiting scholar alla facoltà di Architettura dell'università di Firenze. Sui tovaglioli di uno Starbuck café schizza alcuni progetti, come quello, avveniristico, dell'Isola Verde di Chongming, alla foce dello Yangtze. La terza isola cinese, (1225 km quadrati), è destinata a diventare, entro il 2020, un piccolo paradiso terrestre dove gli uomini vivranno e produrranno in perfetta armonia con se stessi e la natura.

Ma c'è un qualche rapporto fra simili progetti e la realtà, inquinata e rumorosa, vissuta quotidianamente dai quasi 10 milioni di abitanti dell'area centrale metropolitana, al di là delle dichiarazioni martellanti sulla «Better City, Better Life» (slogan dell'Expo 2010)? Sì e no, par di capire dal professor Zheng. E' tutta questione di recuperare il tempo perduto. Il passato è stato selvaggio, dal punto di vista architettonico e sociale. Nella sua prima fase di sviluppo, all'inizio degli anni '90, la città è stata territorio di scorrerie per molti speculatori armati di buone protezioni. Il segretario del Pc licenziato probabilmente collaborava troppo con i capitalisti, per il reciproco profitto ma anche per guadagnare potere e prestigio. Molte fortune si sono costruite in poco tempo e oggi si è capito perché.

Il professor Zheng descrive un primo atto dello sviluppo di Shanghai in cui, per anni, il governo non ha prestato troppa attenzione alla vita della gente. Oltre due milioni di persone hanno dovuto lasciare il centro storico della città per essere ricollocate in una periferia disagiata. Ancora due anni fa il governo ha costruito 20 milioni di m2 di case popolari per ospitare altre 800mila famiglie: il progetto è stato da lui criticato non perché fosse contrario allo spostamento (le vecchie case del centro erano sovraffollate e malsane) ma perché nell'area di ricollocamento non c'erano scuole né ospedali e i trasporti pubblici erano pressoché inesistenti. Ci sono state forti opposizioni da parte di alcuni residenti, ma resistere agli sfratti è difficile perché il suolo è pubblico e il governo può riprenderselo quando vuole, in nome dell'interesse generale che dichiaratamente è quello di rivalutare le aree. Il marcio nasce dai meccanismi di passaggio poco trasparenti. Gli eccessi hanno portato oggi a provvedimenti di riequilibrio. Gli indennizzi per gli sfratti sono aumentati notevolmente e il governo centrale ha imposto un controllo più stretto sulla concessione del suolo pubblico.

Ragione e delirio

Che la ragione stia prendendo il sopravvento sul delirio si percepisce anche da altri segni. Dal 2002 una legge stabilisce la preservazione di 12 quartieri di interesse storico nel centro della città, 27 km 2 che sono diventati quasi intoccabili e chi vuole abitarci potrà intervenire solo sulla base di permessi speciali. Anche in periferia e nelle ormai lontane campagne, sono state identificate 32 aree storiche da salvaguardare. Più in generale, spiega Zheng Shiling, si cercherà di rendere le periferie più vivibili. In questo i trasporti sono essenziali. Oggi Shanghai ha 123 km di rete metropolitana. Per l'Expo dovrà arrivare a 400 km, entro il 2020 a 700. Un progetto gigantesco ma, dice il professore, il governo ha la forza per farlo. Quanto a lui, ha particolarmente a cuore la vita «creativa», artistica e culturale, di Shanghai e sta elaborando appositi progetti.

La Grande Trasformazione avviata negli anni '90 con la decisione di estendere la città oltre la riva orientale dello Huangpu e creare la zona speciale di Pudong non è finita, dunque. Ai quasi 500 milioni di m2 costruiti a partire dal 1985, si aggiungono ogni anno 30 milioni di m2. Vale a dire che ogni due anni viene ad aggiungersi una estensione urbana delle dimensioni che aveva Shanghai nel 1949. Davvero difficile resistere alle tentazioni, in un mercato così bollente. Il recente scandalo, par di capire, ha solo rallentato la corsa, che comunque era già stata in qualche modo frenata dal mercato che lascia invenduti ettari di costruzioni.

L'area di Pudong vedrà progetti ancor più grandiosi. La sagoma del World Financial Center, il grattacielo del developer giapponese Minoru Mori, destinato coi suoi 492 metri a essere il più alto della città, si alza giorno dopo giorno e presto la sua forma ad apribottiglia, con una grande fessura in cima (faticoso approdo di una serie di polemiche che hanno abbattuto il progetto originario di porre in cima un cerchio che troppo ricordava il Sol levante), dominerà il lungo fiume insieme alla Oriental Pearl Tower, che col suo splendore metallico e rosa shocking detiene il titolo di torre della televisione più alta (e più kitsch) dell'Asia. Sono intanto in piena edificazione tre nuove città satellite, Jiading, Songjiang, New Harbour, che ospiteranno tra 500mila e un milione di abitanti ciascuna e serviranno a razionalizzare il disegno urbanistico della metropoli.

Per una visione d'insieme del futuro di Shanghai bisogna salire al quarto piano dell'Urban Planning Exhibition center, nella piazza del Popolo, dove la città racconta se stessa. Lo stordimento è assicurato dall'immenso plastico dove ogni progetto è immortalato fino all'ultimo ponte, mentre per la vertigine bisogna accomodarsi nella saletta dove il filmato proiettato su uno schermo a 360 gradi vi sospingerà verso il 2010 a tutta velocità. Shanghai vuole essere tutto: un centro finanziario di dimensioni mondiali, la città più verde (15 m2 di vegetazione a testa nel 2010), la più pulita, biologica e sana del mondo, il paradiso del terziario e dell'alta tecnologia, il luogo dove le industrie più inquinanti del mondo (a cominciare dalla chimica e dalla siderurgia) diventeranno amiche dell'ambiente.

L'ebbrezza però dura il tempo di scendere le scale e uscire dal grande mausoleo che la città ha dedicato a se stessa. L'aria gelida e sferzante di pioggia è impregnata di fumi acri, la cima dei grattacieli scompare sistematicamente nello smog che la avvolge, a leggere i giornali locali (Shanghai Daily) solo l'1 per cento dell'acqua della città è potabile. Sotto le tettoie del Kentucky Fried Chicken affacciato sulla piazza del Popolo staziona in permanenza, giorno e notte, un gruppetto di homeless. Seduti su sdruciti divani che hanno visto tempi migliori, fissano la folla che passa, senza vederla. Coppie di ciechi si sostengono a vicenda mentre fanno accattonaggio. Madri con figli minuscoli attendono a tarda notte gli avventori di ristoranti e locali notturni per avere un po' di elemosina. Viene in mente l'ombra di Lu Xun, che la notte inghiotte e il giorno cancella, mentre vaga senza sapere se è il crepuscolo o l'alba, e dice «C'è qualcosa che non mi piace, nella vostra età dell'oro. Preferisco non andarci».

Nota: oltre a fare riferimento agli altri numerosi articoli sulle grandi metropoli cinesi del terzo millennio, sia su Eddyburg che su Mall (il motore di ricerca interno è uno strumento molto efficace, provando con varie parole chiave), propongo qui anche il recente articolo di Howard French sul New York Times, che racconta il caso della metropoli nata dal nulla, Shenzhen da cui è possibile anche visionare i filmati "A Chinese City Boom" (f.b.)

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