Dopo una breve «primavera» ambientalista, la Calabria è tornata nelle mani degli speculatori. Al degrado da congestione di città e centri costieri, con abusi edilizi a go go, fa da contraltare il dissesto da abbandono delle zone interne, che provoca continue frane. In un territorio a rischio sismico.
In Calabria il cambio di colore dell'amministrazione regionale non è stata una sorpresa. Troppi gli influssi negativi attorno ad Agazio Loiero e alla sua amministrazione. Alcuni forse eccessivi, visto che in alcuni settori il centrosinistra calabrese aveva segnato non pochi elementi significativi. Tra questo quello del territorio. In quell'ambito in pochi anni l'assessorato regionale (Urbanistica e Governo del Territorio) guidato dall'ambientalista Michelangelo Tripodi (Pdci), ha reso operativa la nuova Legge Urbanistica (fatto senza precedenti nella quarantennale vicenda della Regione Calabria) ed ha approvato le Linee guida di Avvio della Pianificazione, un metapiano che definiva le regole per la tutela di ambiente e paesaggio e la riqualificazione sostenibile del territorio regionale. Questo si inquadrava in una logica di programmazione dello sviluppo regionale basato su risorse locali e cultura identitaria, alternativa alle opzioni del governo centrale che condannano la Calabria alla funzione di area socialmente disponibile per il capitale oligopolistico, speculativo e globalizzato, destinato a riceversi megastrutture scomode e grandi opere inutili e dannose.
Dopo circa un secolo lo "Sfasciume Pendulo" denunciato da Giustino Fortunato è sostanzialmente ancora tale. Anzi la situazione appare aggravata da una crescita edilizia e insediativa abnorme e squilibrata, rappresentata dalle dimensioni del volume costruito - oltre 800 milioni di metri cubi per poco più di due milioni di abitanti - che si concentra in una decina di «ambiti di concentrazione dell'insediamento», che si estendono su una fascia di urbanizzazione densificata pari a meno del 20% della superficie regionale.
A fronte di questo «degrado da congestione di città e centri costieri», le aree interne e le corone collinari soffrono invece di dissesti da abbandono. Quello che erano un tempo economie e produzioni di altura e di montagna sono scomparse lasciando il campo ad un "deserto", in cui l'assenza di antropizzazione significa obliterazione e mancata cura del territorio. L'assetto idrogeologico è diventato così un'emergenza urgente ed assoluta: ogni temporale di dimensioni appena rilevati diventa una catastrofe con crolli, rotture, interruzioni di collegamenti e attrezzature e, spesso, danni anche agli abitanti.
Al rischio idrogeologico si aggiunge quello sismico: la gran parte del territorio calabrese è «soggetto a rischio sismico di primo grado», ma solo poche strutture sono state messe in sicurezza. Il Quadro Territoriale Paesaggistico aveva previsto l'avvio di un programma speciale di risanamento ecologico del territorio, razionalizzando ed ampliando l'impiego di risorse già allocate in Regione. Gli esecutivi di centrodestra, nazionali e regionali, hanno cancellato tale posizione, congelando il Quadro Territoriale Paesaggistico e il Programma Operativo Regionale e dirottando i fondi Fas su operazioni affatto diverse, tra l'altro non calabresi e neppure meridionali.
Le politiche urbanistiche degli anni scorsi tentavano di sancire la fine della Calabria «dell'abusivismo e della villettopoli costiera», per disegnare nuove regole di tutela e una riqualificazione dell'assetto fondata ancora sulle caratteristiche del paesaggio. La partecipazione della base ambientalista al processo di pianificazione favoriva la riattribuzione di un ruolo strutturante alle risorse ecopaesaggistiche nelle politiche territoriali. Così dalle Linee Guida al Quadro Territoriale, ai Piani Provinciali, alla strumentazione comunale, si guardava di nuovo alla configurazione individuata decenni or sono da grandi studiosi come Manlio Rossi Doria e Lucio Gambi: una società regionale fortemente incardinata sulla propria struttura ambientale. Tale scenario di riferimento si fonda sul sistema rilievi-costa-fiumare. I quattro massicci interni (Pollino, Sila, Serre, Aspromonte) costituiscono zone geologicamente tuttora salde, ricche d'acqua, dal patrimonio ecopaesaggistico assai rilevante, anche se reso fragile dall'abbandono dell'attività primaria. I circa 750 km di costa rappresentano anch'essi una grande risorsa ambientale, purtroppo saccheggiata da un insediamento di dimensioni clamorose, sovente abusivo, che significa degrado e dequalficazione del paesaggio litoraneo. Il terzo grande elemento ecopaesaggistico di identificazione del territorio calabrese è costituito dalle oltre 220 fiumare e fiumarelle, che hanno costituito storicamente altrettanti sottosistemi dotati di propria organicità ecoterritoriale e socio-economica, oltre che elementi di legatura e collegamento rispetto ai maggiori contesti, sistemi interni, montani e collinari, le rade pianure e i due collettori costieri. La riqualificazione delle fiumare, anche con strumenti speciali e mirati (parchi fluviali, patti, contratti di fiume) permettono la riqualificazione paesistica, anche delle grandi macchie urbane che segnano oggi il territorio calabrese. In generale la tutela delle strutture paesaggistiche favorisce la riqualificazione del territorio, dal risanamento degli ambienti rurali, alla ripresa estetica, tipomorfologica, della città e degli insediamenti costieri.
Il processo di pianificazione partecipata promosso con le politiche territoriali degli anni scorsi non si limita peraltro alla tutela del paesaggio ed al risanamento ambientale. Le risorse culturali e paesistiche vengono anzi proposte e affermate quali elementi strutturanti per la riqualificazione dei luoghi urbani e addirittura per opzioni di crescita e sostenibilità sociale. Riprendendo e allargando un approccio già contenuto nella programmazione regionale, il Quadro Territoriale Paesaggistico riconosce tra i contesti un certo numero di categorie territoriali (basate ciascuna sulla propria identità paesaggistica) e, in funzione dei caratteri di questa, avanza programmi di riassetto territoriale e di localizzazione ed ampliamento di attività culturali e imprenditorialii,anche nuove. In questo quadro il territorio regionale è suddiviso in 16 contesti di sviluppo sostenibile: tre città metropolitane, i quattro grandi massicci interni - oggi Parchi Nazionali o Regionali - un certo numero di ambienti urbano-rurali ed alcuni ambiti di riqualificazione e sviluppo turistico costiero. Le tre grandi aree urbane principali prefigurano altrettanti paesaggi di città metropolitane: si affermano le istanze della cultura e della conoscenza (Università) a Cosenza, le funzioni direzionali e terziarie a Catanzaro, le valenze ecopaesaggistiche e turistico-culturali (Stretto di Messina e Aspromonte) di nuovo collegate a conoscenza e ricerca, a Reggio.
Nei Parchi (Pollino, Serre, Sila e Aspromonte) lo sviluppo turistico si declina nell'integrazione con l'intera "filiera della sostenibilità ecoculturale", visiting sociale e ambientale, ricerca e didattica, educazione, uso culturale del tempo libero; oltre che con le nuove istanze di produzione primaria, legata alle produzioni locali, anche bio. Nelle aree ex rurali, la limitazione dell'ingombrante insediamento degli ultimi anni comporta, oltre la ripresa, specie innovativa, delle attività produttive, anche la tutela e la valorizzazione di beni immateriali (parchi ambientali in luogo di attività agricole). Negli ambiti costieri la riqualificazione paesaggistica ed il risanamento ambientale regolano e qualificano l'insediamento turistico esistente.
L'intero quadro territoriale è arricchito dal riconoscimento, affermazione e valorizzazione del patrimonio artistico, storico- culturale e archeologico, assai rilevante, esistente in Calabria. Dalle vestigia magno- greche ai centri storici greci e albanesi, ai poli religiosi, alle fortificazioni, ai beni sparsi, si possono prospettare reti che attribuiscono ulteriore qualificazione culturale e paesaggistica ai programmi e i progetti previsti per ciascun ambito territoriale. La "primavera" del territorio calabrese non tentava soltanto di segnare una svolta di per sé significativa nella gestione urbanistica, nella fruizione dell'ambiente e nella tutela del paesaggio. Prospettava ambiziosamente un modello di sviluppo sostenibile e partecipato, basato sulle risorse culturali e paesistiche, alternativo alle politiche centrali.
La svolta nella politica regionale ha bloccato tutto ciò, rilanciando invece il ruolo della Calabria come spazio socialmente disponibile per operazioni speculative, territoriali e finanziarie, promosse dai grandi interessi del capitale globalizzato, che trovano nel governo nazionale e dintorni grande spazio. Non è un caso che i primi atti dell'Ufficio Regionale siano consistiti nel blocco del Quadro Territoriale Paesaggistico descritto (già adottato in Giunta, era stato inviato al Consiglio per la definitiva approvazione) e nel rilancio della versione calabra del "Piano Casa" caro a Berlusconi, rifiutato dall'amministrazione precedente. Torna dunque la Calabria dello sfascio,delle grandi operazioni inutili e dannose - e spesso incompiute - dell'abusivismo, del "mare di cemento", dei disastri e dei dissesti. A tutto questo devono opporsi quei soggetti sociali, movimenti e associazioni,che avevano partecipato invece con grande entusiasmo alla nuova - e troppo breve - stagione della pianificazione sostenibile nella regione. E tutti coloro che hanno a cuore la difesa dei luoghi di vita, propri e altrui.