Il Fatto quotidiano, 18 settembre 2015
Chissà quali libri hanno letto o quali sostanze hanno assunto i due somari che tengono in ostaggio la Costituzione, per farsi l’idea che 70 anni fa, cioè nel 1945, subito dopo la Liberazione dal nazifascismo e dalla guerra civile, gli italiani scendessero in strada scandendo slogan contro il bicameralismo paritario e contro il resto della Costituzione due anni prima che questa fosse scritta. Forse non guasterebbe la lettura di un manuale di storia, anche in formato Bignami, o qualche seduta in una comunità di recupero, per insegnare ai due padri ricostituenti qualche rudimento di cultura generale, utilissimo per colmare le loro lacune e risparmiare loro altre scemenze.
Il bicameralismo paritario – Camera e Senato con regole elettorali diverse, ma con funzioni analoghe – fu introdotto dalla Carta approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata cinque giorni dopo dal capo dello Stato ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Cioè 67 anni e mezzo fa. E si può serenamente escludere che negli anni successivi qualcuno invocasse una riforma della Costituzione appena varata.
Fu negli anni 70-80 che i partiti cominciarono a scaricare sul Parlamento le colpe della loro inconcludenza, corruzione e rissosità, spacciando alla gente l’illusione che eliminando il Senato o privandolo del voto di fiducia l’Italia sarebbe diventata una democrazia efficiente. Ma nessuno abboccò: l’opinione pubblica seguitò a fregarsene bellamente e nessuno versò una sola lacrima dinanzi al naufragio delle orribili riforme costituzionali tentate dalle varie commissioni bicamerali (Bozzi, De Mita-Iotti, D’Alema-Berlusconi). Anche perché i dati parlano chiaro: se certe leggi impiegano tanto a uscire approvate dal Parlamento non è perché ci siano due Camere anziché una e mezza, ma perché da sempre i partiti litigano fra loro, o più spesso al proprio interno.
Quando invece le maggioranze vanno d’accordo, i tempi sono rapidissimi. In media, fra Camera e Senato, 53 giorni per le leggi ordinarie, 46 per i decreti e 88 per le Finanziarie. Solo la loro misera penuria di argomenti può portare Renzi & Boschi a gabellare la loro schiforma per un evento epocale “atteso da 70 anni”. Ma atteso da chi? Secondo l’ul timo sondaggio Ipsos per il Corriere, solo il 3% degli italiani conosce la riforma del Senato “nel dettaglio”, un altro 28% “a grandi linee” e tutti gli altri – la stragrande maggioranza – non ne sanno nulla, per dire con quanta ansia la attendono da 70 anni.
Eppure la bella addormentata nei Boschi delira, sempre sul Corriere, di un non meglio precisato “impegno da mantenere con i cittadini”: e quando mai ha preso quell’impegno, e con quali cittadini, visto che il suo partito arrivò primo alle ultime elezioni del 2013 promettendo di far eleggere direttamente tutti i parlamentari dopo dieci anni di Porcellum? Poi vaneggia di una fantomatica “esigenza di rispettare la data del 15 ottobre” (fissata da chi? e perché non il 15 novembre, o dicembre, o gennaio?) dinanzi all’“Europa” che “ci riconosce spazi finanziari di flessibilità se in cambio facciamo le riforme”: come se la flessibilità sul rapporto deficit-Pil c’entrasse qualcosa col Senato.
Alla fine però la Boschi confessa: “Faccio sogni molto più belli che quello di fare il premier”. Ecco svelato l’arcano. Le boiate che dice e purtroppo scrive nella nuova Costituzione deve avergliele dettate in sogno qualcuno che a noi pare di conoscere: crapa pelata, mascella volitiva, mento e labbro inferiore sporgenti. La trovata delle riforme attese da 70 anni può venire soltanto da lui. Fu proprio 70 anni fa che l’Italia abolì il bicameralismo imperfetto creato da Mussolini: cioè la Camera dei Fasci e delle Corporazioni (membri non eletti, ma nominati dal Gran Consiglio del Fascismo presieduto dal Duce, dal Consiglio nazionale del Partito fascista presieduto dal Duce e dal Consiglio nazionale delle Corporazioni presieduto dal Duce) e il Senato del Regno (membri non eletti, ma nominati a vita dal Re su input del governo). Due Camere di nominati con funzioni diverse, ma relegate a un ruolo ancillare del governo.
Mutatis mutandis, è quello che ci aspetta con la Camera dei nominati (i capilista bloccati dell’Italicum) e il Senato dei nominati (i senatori paracadutati dalle Regioni). Manca solo l’articolo 2 della legge fascistissima 19.1.1939 n. 129: “Il Senato del Regno e la Camera dei Fasci e delle Corporazioni collaborano col governo alla formazione delle leggi”. Ma questo, oggi, è sottinteso.