L'Unità del 26 Marzo 2014.
Il nesso tra legge elettorale e nuovo Senato è discusso con preoccupante superficialità. Se ne fa una questione di calendario, senza badare alla sostanza. L'Italicum consente a una minoranza sostenuta dal 20% degli aventi diritto al voto di arrivare al governo, potendo contare su deputati non scelti dagli elettori e non avendo risolto il conflitto di interessi, con la strada aperta al Quirinale e a modifiche più gravi della Costituzione.
Se si insiste con l’Italicum – si spera con qualche miglioramento - ci serve un forte Senato delle garanzie che, in regime bicamerale, si occupi di alta legislazione, della Costituzione, dei Codici dei diritti fondamentali, dell'ordinamento istituzionale e del controllo dell'attività statale. Funzioni tanto delicate richiedono l'elezione da parte dei cittadini con un’apposita legge elettorale non finalizzata alla governabilità, perché in questa assemblea mancherebbe il voto di fiducia; sarebbero inoltre dimezzati il numero di senatori e le rispettive indennità. Si passerebbe dal bicameralismo perfetto al bicameralismo delle garanzie con una chiara distinzione di compiti, alla Camera il governo del Paese e al Senato l'attuazione dei principi costituzionali.
Viene spesso usato a sproposito l’esempio del Bundestrat, dimenticando che il sistema tedesco non solo è bilanciato ma non si darebbe mai una legge elettorale con l’abnorme premio di maggioranza dell’Italicum. E soprattutto ha saputo recuperare il divario con le regioni dell'Est in soli venti anni. Da noi la tensione Nord-Sud si è accentuata senza arrivare alla frattura, ma solo in virtù della mediazione svolta dai partiti nazionali di destra e di sinistra, pur con le loro debolezze; l'aver contenuto la scissione leghista negli anni Novanta è l'unico merito di Berlusconi. Nel Senato federale, peraltro non previsto nel nostro programma elettorale, si formerebbero invece maggioranze di regioni forti contro quelle deboli e ciò, in assenza di mediazione politica, potrebbe portare alla rottura dell'unità nazionale. L'Italia è l'unico paese europeo che non può permettersi di poggiare la rappresentanza parlamentare sulla frattura territoriale.
È ancora possibile discuterne o già è tutto deciso? La qualità di una riforma costituzionale dipende in gran parte dalle finalità e dal modo in cui viene dibattuta. Tutti i cambiamenti apportati durante la Seconda Repubblica si sono rivelati sbagliati perché vincolati a ragioni politiche contingenti. Nel 2006 la destra cercò la propria stabilizzazione stravolgendo la Carta, che fu salvata in extremis dai cittadini nel referendum. La sinistra invece ha cambiato il Titolo V per inseguire Bossi, ha introdotto lo ius sanguinis del voto all'estero per dare sponda a Fini, ha sigillato il pareggio di bilancio - di cui oggi si chiede la deroga - per dare retta a Monti. Renzi rischia di ripetere vecchi errori e si spinge fino a minacciare la crisi politica per ottenere la cancellazione del Senato. Una sorta di voto di fiducia al governo in materia costituzionale: è allarmante che non desti allarme.
Se la nuova classe politica vuole superare davvero il ventennio non prosegua a cambiare le istituzioni secondo i propri fini politici. Non bisogna servirsi della Costituzione, ma servire la Costituzione migliorandola.