Tutto un pomeriggio a girare con un’amica i quartieri della periferia nord di Napoli: Secondigliano, Scampia, Piscinola, Marianella, il teatro della guerra di camorra raccontata in questi giorni dai giornali di mezzo mondo. La tramontana sferza le terre dove trent’anni fa crescevano i ciliegi. Le torri ed i palazzi delle lottizzazioni svettano sulla pianura, ancora identificate, in attesa di un nome, dai numeri delle leggi per l’edilizia pubblica degli anni ’60 e ‘70.
Eppure, percorrendo le strade, ti accorgi che ha ragione Enrico Pugliese nel suo intervento di pochi giorni fa, a ricordare che non esiste un’unica periferia dannata e indistinta. Le tipologie edilizie sono diversificate, ci sono le vele e le torri di tredici piani dell’edilizia sovvenzionata, ma anche le palazzine piccole e ordinate di quella convenzionata. Ci sono i centri storici recuperati dei casali, vivi e vitali, con il loro tessuto originario, la piazzetta, la chiesa, le case padronali e le masserie. Ci sono i parchi pubblici perfettamente mantenuti. Le strade di quartiere sono ampie e funzionali, c’è spazio, ed è spazio pubblico.
Gli orrori sono altri, sono quelli prodotti dalla sciagurata infrastrutturazione dell’ultimo ventennio, le grandi opere straordinarie realizzate al di fuori di ogni visione di piano. Alzi lo sguardo, e viene da chiederti a cosa pensava, dove credeva di essere chi ha progettato quella strada a scorrimento veloce che taglia impietosamente la viabilità di quartiere tra Secondigliano da Piscinola, correndo su un rilevato che ricorda il muro nei territori occupati, e che obbliga gli abitanti a giri inverecondi per raggiungere una stazione distante pochi metri da casa. E cosa aveva in mente chi ha costruito la barriera di cemento più brutta ed impervia, lo scatolare della ferrovia Alifana con sopra i piloni del viadotto della metropolitana, ed al culmine la stazione oscena di Piscinola. Come se la periferia non fosse un pezzo di città come gli altri, come se non fosse necessario, anche e soprattutto qui, assicurare agli abitanti un minimo di decenza, funzionalità, qualità estetica. Solo così si spiega come, al posto dei frutteti, gli implacabili progettisti delle infrastrutture di trasporto, rassicurati dall’idea di attraversare i “non luoghi”, la terra di nessuno, siano riusciti con spietata efficienza a costruirlo veramente il vuoto urbano, prontamente riempito dalla disperata vitalità di un campo nomadi cresciuto al riparo dei viadotti.
I cantieri in corso e gli interventi dell’amministrazione, ora, sono per rimuovere la bruttezza, per riaprire i varchi e mettere nuovamente in comunicazione i quartieri tra di loro, con il resto della città e della regione. Così come prevedono la strategia integrata dei trasporti e il piano regolatore. Perché c’è spazio a Scampia, ed è spazio pubblico per le imprese, i negozi, l’università.
Mentre torniamo a sera, soffia ancora il vento sulle terre dove crescevano i ciliegi, su questo pezzo di città, Secondigliano, Napoli, Italia.