Leggere di Federico Caffè è sempre una grande emozione. In queste recenti festività, approfittando della calma, ho piacevolmente letto alcuni profondi scritti di Bruno Amoroso e Daniele Archibugi amici e allievi del Maestro. Sono scritti che letti a pochi giorni da quel fatidico 15 aprile assumono ancora un significato più intimo e riflessivo. Le righe di Amoroso e Archibugi raccontano benissimo chi era Caffè quale fosse il suo rapporto con i suoi amati studenti e quale fosse la sua delusione per l’Italia “che non era più il Paese che sognava” per dirla con una bella frase recente di Carlo Azeglio Ciampi.
Ma perché questo “piccolo uomo” dalla statura intellettuale gigante fa ancora parlare di se? Perché chi lo ha amato e conosciuto (nel mio caso attraverso le sue parole scritte) lo cerca continuamente come bussola in tempi in cui il disorientamento è totale? Caffè non sopportava la decadenza dei suoi tempi e non riusciva a far finta di non vedere. E allora ha compiuto con estrema naturalezza il gesto più umano che un professore deve avere: dare importanza a ciascuno dei suoi allievi e prenderne tutte le risorse nuove attingendo per osmosi l’entusiasmo che allunga la vita. Ricorda Michelangelo Salinetti, un altro suo allievo, «che era l’unico professore che metteva il banchetto fuori dell’Istituto per aiutare gli studenti a comporre il Piano degli Studi. Stava in mezzo a noi e non in una torre d’avorio. Sempre a disposizione dei suoi allievi con consigli e qualche volta rimbrotti. Proverbiali sono stati i suoi sbalzi di umore». E aggiunge Salinetti «insegnava un metodo, deduttivo ed induttivo insieme, come richiede la Politica Economica. Ti insegnava ad esplicitare il tuo “giudizio di valore». Accettava tutte le opinioni, come del resto tutte le scuole di pensiero economiche. Diceva Caffè : “ogni scuola rappresenta un mattone nella costruzione dell’economia e della Politica economica».
Ecco perché uno degli episodi più dolorosi nel percorso terreno del Maestro è stato quando, raggiunti i limiti di età, dovette lasciare l’insegnamento. Perché egli aveva ancora tanto da dire e da dare. Era un grande economista, un grande formatore e un vero riformista. E lo dimostra il fatto che ancora oggi si ricerca e se ne parla, in tempi di crisi finanziaria, ma anche e soprattutto di valori primordiali con il primato delle tensioni sociali sul necessario welfare state che non sarebbe utopico in un Paese illuminato.
Ma nel mezzo dell’aprile 1987 evidentemente la sua depressione lo portò a scomparire alle luci dell’alba. Una scomparsa degna di un grande film d’autore. Nessun elemento che potesse ricondurlo a lui. Un’uscita di scena silenziosa e fragorosa. Un vuoto improvviso e insieme clamoroso. Un dolore immenso del fratello Alfonso, dolore che si è propagato anche ai suoi allievi e che si è trasformato in bisogno di sapere e di conoscere la verità. E di cercarlo. Sempre. E non solo immediatamente dopo la sua scomparsa. Forse, Caffè ha voluto essere discreto anche in questo. Non ha probabilmente voluto mostrarsi ai riflettori e come sempre ha voluto essere e non apparire. Questa è stata la sua forza. La concretezza e la sostanzialità. Gli studi, le affermazioni che non rimangono lettera morta o confinate in una mente ingenerosa; ma invece pragmatismo e poco formalismo e tutto in nome di quel sogno dell’economia di benessere tutta rivolta alla collettività. L’economia al servizio della persona. E la persona al centro, sempre al centro con convinta umanità e capacità di trasmetterla alle generazioni future. Per Caffè il concetto di efficienza non può essere disgiunto da quello di equità. Gli obiettivi di maggiore efficienza e di maggiore equità sono inseparabili.
Scrive Caffè nel saggio In difesa del welfare state: «una efficienza priva di ideali ci riporta al clima intellettuale che ha consentito di designare l’economia come una scienza crudele». L’economia a servizio dell’uomo e a sostegno dei più deboli è la concezione portante del pensiero di Caffè che si riassume e sintetizza nel concetto di “cristianesimo laico”. In questo termine c’è tutto il pensiero e lo stile di vita del Prof. Caffè. Ecco perché le sue parole hanno da sempre assunto tutto un altro valore. Sono parole profetiche, lungimiranti e lucide. La specialità del Maestro era tutta nella sua normalità, una semplicità che lo ha reso unico e inimitabile. Un modello al quale fare riferimento specialmente nei momenti più bui. In realtà, più della scomparsa, occorre oggi parlare della sua presenza. Ed è il modo per farlo vivere e per farlo ancora parlare con il suo linguaggio schietto e diretto tipico di un vero Maestro autentico e prezioso. Per lui sembrano valere queste parole di Italo Calvino tratte dal libro Se una notte di inverno un viaggiatore, soprattutto nell’avvicinarsi del 15 aprile «Ci sono giorni in cui ogni cosa che vedo mi sembra carica di significati: messaggi che mi sarebbe difficile comunicare ad altri, definire, tradurre in parole... Sono annunci o presagi che riguardano me e il mondo insieme: e di me non gli avvenimenti esteriori dell'esistenza ma ciò che accade dentro, nel fondo; e del mondo non qualche fatto particolare ma il modo d'essere generale di tutto».
Federico Caffè non ha mai smesso di volare alto continuando il suo “ viaggio” carico ancora di significati per essere sempre presente anche nell’assenza.
L’articolo, inviato dall’autore che ringraziamo, è pubblicato nel sito della Fondazione Critica Liberale