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Fabrizio Bottini
Se l’Urbanista va alla Montagna …
24 Marzo 2010
Recensioni e segnalazioni
Recensione al testo di Mike Tedesco, City Boy – Urban Planning, Municipal Politics and Guerrilla Warfare sul rapporto tra pubblico e privato in urbanistica. Scritto per eddyburg (m.p.g.)

Prendi un giovane urbanista alle prime armi, che ha la buona sorte di trovare un lavoro di responsabilità da dirigente di settore. Ma prendi anche l’amministrazione locale dove sta quel settore: un buco sperduto sulle montagne, dove quasi tutti gli impiegati sono “dirigenti” del proprio settore, impegnati a conservarsi sottovuoto il loro status quo, ottusamente ignari di quello che sta succedendo sopra le loro teste, davanti al loro naso, e che finirà per spazzarli via …

Ecco, se si prendono tutti questi elementi inizia la storia, divertente, inaspettata, autoironica, raccontata da Mike Tedesco nel suo City Boy – Urban Planning, Municipal Politics and Guerrilla Warfare (Sunstone Press 2009, 175 pp.).

Lui vino. Gli altri birra

Dove tanto per cominciare la “guerriglia” citata dal titolo, e che parrebbe evocare guerrieri della notte, si combatte a colpi di calici di rosso e pettegolezzi pomeridiani in qualche tinello o bar dietro alla pompa di benzina, mentre fuori cadono due metri di neve e l’associazione commercianti vorrebbe far fermare un po’ di turisti in più nella spoglia striscia della Main Street. Un invito a nozze per il pimpante urbanista e i suoi scatoloni di libri freschi freschi di Università e esame di abilitazione APA: ecco le risposte, pronte e confezionate nei casi studio delle varie scuole di progettazione, sviluppo economico, retail management e promozione commerciale. Ma poi ci sono gli scimmioni a cui queste facili ricette risultano sempre indigeste, e il nostro City Boy inizia a perdere entusiasmo, e a sgonfiarsi parecchio.

Tutto qui. Il libro copre solo l’inverno del primo scontento, ma di materiale per riflettere ne fornisce davvero molto. Una specie di romanzo di formazione, con l’adolescente/trentenne catapultato da un metabolismo urbano intriso di jazz, locali etnici, creative class, a una specie di versione Montagne Rocciose della saga di Peppone e Don Camillo, piena di pettegole, traffichini, scemi del villaggio sotto mentite spoglie, faide generazionali per siepe troppo alta o il box auto di dubbia legittimità nel cortile.

Che posto c’è, qui, per la socialità di quartiere e la mescolanza di ceti alla Jane Jacobs, o anche solo per l’efficienza economica tirata a lucido e con qualche fioriera del new urbanism? Nessuno, in un ambiente che guarda diffidente anche il pendolarismo in bicicletta del nuovo dirigente da casa alla sede comunale: “ 8:20, infilo l’orlo dei pantaloni nel calzino, salto in sella alla mountain bike, e pedalo fino al municipio; 8:22, scopro che al municipio manca una rastrelliera per le biciclette” (p. 50).

Il vero cuore del libro, però, in perfetto stile urbanistico terzo millennio, è la personalissima interpretazione che l’Autore dà del rapporto pubblico-privato: un vero ginepraio. E non solo per il motivo, facilmente intuibile, dei complicati rapporti fra assetto del territorio locale, diritti del singolo, della collettività, strategie di sviluppo delle attività economiche. C’è qualcosa di più e oltre, e riguarda il ruolo del tecnico all’interno della pubblica amministrazione: come può “servire” una comunità che spesso non sa proprio cosa le serve? Cercare obiettivi desiderabili che il governo locale per puro quieto vivere non desidera affatto? Tradurre e non (almeno del tutto) tradire l’idea di deontologia professionale che si è costruito all’Università e con la specializzazione?

La risposta è obliqua tanto quanto queste curiose ma assai realistiche prospettive di “pubblico” e di “privato” si mescolano nel racconto. Capitoli interamente dedicati alla vita privata che invece via via sfumano dalla pura convivialità a una descrizione, questa sì “alla Jacobs”, della società e degli spazi entro cui si muove. E brani di vita pubblica, al limite della noia, dell’intrigo burocratico, del confronto prepolitico fra maschi dominanti, anche di sesso femminile, in cui è assai difficile cogliere qualche pur vago senso dell’operare dentro e per la comunità. La tesi finale, abbastanza inattesa visto il tono tagliente di molti passaggi (luoghi e personaggi sono “inventati” giusto ad evitare querele), è che l’inadeguatezza a svolgere davvero il ruolo pubblico sancito dagli statuti, dell’amministrazione e professionale, si debba cercare proprio nella figura e nella formazione dell’urbanista.

Mike Tedesco, va da sé, riflette solo sulla propria piccola esperienza nel paesello fittizio di La Blanca Gente, acquattato lassù tra le nevi delle Montagne Rocciose come il mitico leopardo di Hemingway sulla cima del Kilimanjaro. Ma inevitabilmente quella riflessione entra in risonanza anche con altre sensibilità.

Scaricabile di seguito un'ottima "colonna sonora" per il contesto in cui è ambientato il libro (f.b.)

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