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Nadia Urbinati
Se l’Europa si svende ai “migranti” in business class
11 Agosto 2014
Articoli del 2014
«È la democrazia stessa che viene ad essere aggredita con questi programmi dimostrando come l’immigrazione sia un’arma politica di straordinaria potenza, troppo sottovalutata da politici ed esperti». La Repubblica, 11 agosto 2014

«La Repubblica, 11 agosto 2014
Il ermine “migranti” è generalmente associato all’emergenza del bisogno. Le immagini di italiani con valigie di cartone che approdano al porto di New York appartengono alla nostra memoria collettiva. Come anche quelle ormai quotidiane di disperati che cercano di attraversare vivi il Mediterraneo. Ma non tutti i migranti sono così visibili e disperati. Ci sono migranti invisibili, che passano le frontiere senza far rumore e con grande facilità. I golden migrants che non viaggiano con valigie di cartone e non scappano da nessuna miseria. Alcuni stati membri dell’Ue propongono offerte preferenziali per visti a stranieri facoltosi che vogliono lì parcheggiare le loro ricchezze. Sembra che il sistema di inclusione “golden visa” proceda ormai speditamente e che la “fortezza Europa” sia una percezione dei disperati soltanto.

Gli immigrati di serie A non vengono in Europa per una vita migliore o per la libertà - queste cose le hanno già. Strano continente questo, che si presenta al mondo orgoglioso di essere un progetto di unione nel nome dei diritti e del benessere diffuso e poi premia chi vi ci va non perché aspira a questi beni mentre respinge o esclude coloro che questi beni li cercano.

Gli immigrati che viaggiano in business class hanno alcune mete preferite: Malta, Portogallo, Spagna, Cipro, Bulgaria, paesi che hanno intensificato gli sforzi per attrarre facoltosi stranieri con la promessa di una cittadinanza veloce in cambio di investimenti nell’economia locale. A far da battistrada al programma di attrazione di immigrati first class è stata la Gran Bretagna che ha per prima adottato misure di facilitazione per naturalizzare stranieri facoltosi. La crisi ha convinto altri paesi a seguire questa strada, mettendo in circolo l’idea che la cittadinanza può essere un bene in vendita e, come tutte le merci, data a chi la paga bene. Gli esperti cercano di arginare questa distribuzione discriminatoria della cittadinanza distinguendo tra “golden visa” che è «un programma per investitori che facilita la procedura di immigrazione per stranieri ricchi» e la cosiddetta “cittadinanza in vendita” che “comporta la vendita delle nazionalità,” come ha detto Katherina Eisele del Center for European Policy Studies di Bruxelles. Ma la distinzione è sottile come un filo di lana, facile a spezzarsi.

Un anno fa, il governo maltese ha lanciato il “Programma per investitori individuali” con il quale gli stranieri ricchi ottengono la cittadinanza maltese con una somma fissa di denaro. Ai critici, il programma maltese è apparso subito come una porta di servizio per concedere ad alcuni privilegiati di passare, saltando i regolamenti europei sull’immigrazione. Ma diventare maltesi significa diventare europei e quindi la questione non è solo nazionale. L’Europa prevede che la cittadinanza attribuita da uno stato membro debba seguire una certa affiliazione con il paese in questione prima di essere concessa; che, insomma, ci debba essere un senso di responsabilità del richiedente verso il paese naturalizzante senza di che la cittadinanza rischia di essere davvero una merce in vendita - soprattutto in un paese piccolo o con più pressante bisogno economico. Nasce così il fenomeno di passaporti per mezzo milione di euro.

È questo il caso del Portogallo, che nel 2012 ha istituito la “golden visa” cioè il permesso di soggiorno per stranieri che acquistino una proprietà immobiliare in Portogallo del valore di almeno 500,000 euro e vivano sei anni nel paese. Un’altra procedura più veloce prevede che lo straniero apra un conto in una banca portoghese trasferendovi almeno un milione di euro o che apra un’azienda con almeno trenta operai: entrambe le cose saranno sufficienti a dargli il passaporto portoghese. Dei due programmi, il “golden visa” ha avuto più successo (con investitori asiatici in particolare) facendo crescere il mercato immobiliare.

I critici di questa mercificazione della cittadinanza hanno puntato il dito contro la logica discriminatoria che penalizza solo gli immigranti poveri. Ma la questione della citizenship for sale mette in luce una contraddizione ben più grave, che mina alla radice le nostre democrazie europee. I paesi in difficoltà economica hanno bisogno di nuovi cittadini - in breve, sia di fresca manodopera a bassissimo costo sia di fresca ricchezza da investire. Entrambi sono un’arma straordinaria contro i lacci che hanno in questi decenni reso il lavoro dei cittadini europei un bene tutelato da diritti: la manodopera a bassissimo costo e i ricchi stranieri pronti a far fruttare la loro ricchezza sono i due poli estremi e complementari che contribuiscono a rendere carta straccia i contratti e le retribuzioni della manodopera nazionale. La dissociazione del lavoro dalla cittadinanza nazionale ha in queste politiche sull’immigrazione il suo luogo di attuazione. I programmi di cittadinanza facile per ricchi stranieri sono certamente figli della crisi, ma sono una ricetta non per creare occupazione, bensì per creare lavori a qualunque condizione, precari e mal pagati. Se lavoro si crea dunque, sarà probabilmente più appetibile per coloro che sono disposti a lavorare per un pugno di euro: immigrati o cittadini che dal punto di vista lavorativo sono come gli immigrati.

È quindi la democrazia stessa che viene ad essere aggredita con questi programmi dimostrando come l’immigrazione sia un’arma politica di straordinaria potenza, troppo sottovalutata da politici ed esperti. Con quest’arma si raggiungono obiettivi impossibili da raggiungere con la cittadinanza sancita nelle nostre costituzioni: la dissociazione tra lavoro e diritti.

E qui sta la correlazione fra i migranti disperati e i migranti di prima classe: tra chi non avrà mai una cittadinanza in un paese europeo e chi ce l’avrà immediatamente. I primi non comprenderanno né reclameranno diritti perché il loro non sarà mai un lavoro di cittadini. I secondi sanno di aver la licenza a mettere a frutto al meglio la loro ricchezza e troveranno naturale rivolgersi ai migranti in bisogno. A perdere in questo mercato del lavoro senza diritti e della cittadinanza a chi fa ricchezza ad ogni costo è la nostra cittadinanza, quella di chi è cittadino non perché ricco e che ha diritto a un lavoro dignitoso non a un’occupazione per un pugno di euro.

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