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Tomaso Montanari
Se l'arte è scienza (e non una fede)
31 Luglio 2012
Beni culturali
La storia dell’arte utilizzata come strumento di battaglia politica. Nel peggiore dei modi e grazie all’ignavia del Mibac. Corriere Fiorentino, 31 luglio 2012 (m.p.g.)

Se all'Italia è toccato il «presidente operaio», Firenze non sfugge al «sindaco storico dell'arte». Non conosco altri casi (beninteso, nelle democrazie occidentali) in cui il capo di un governo (per quanto cittadino) firmi una lettera ufficiale in quanto responsabile e,garante di una ricerca scientifica. E’ quanto ha fatto, il 18 luglio, Matteo Renzi scrivendo alla soprintendente Cristina Acidini una lettera che ha trasformato definitivamente la sua personalissima «caccia al Leonardo» in una ricerca di Stato (e Maurizio Seracini in uno storico-scienziato di corte). Siamo in presenza di una serie di dati accertati», scrive il sindaco-storico-dell'arte. Ma quali? Non è certa la parete sulla quale Leonardo lavorò, è del tutto improbabile che qualcosa fosse ancora visibile quando dipinse Vasari, e se ci fosse stato è impensabile che quest'ultimo lo abbia deliberatamente occultato dietro un inamovibile muro affrescato. L'esistenza della famosa intercapedine «sospetta» è stata smentita dal fisico dell'Università di Firenze che progettò e usò il radar nel Salone dei Cinquecento.

A tutte queste obiezioni, Seracini oppose i famosi prelievi che avrebbe effettuato sulla parete retrostante all'affresco vasariano. Quei prelievi avrebbero restituito proprio le sostanze che appaiono in testa all'elenco che Google sputa fuori quando si digitino nel campo di ricerca le parole Leonardo e pigments: sia pure un tale miracolo, ma è concesso fare delle controanalisi in un laboratorio terzo? Lo chiedemmo in tanti, senza ottenere risposte plausibili. Ebbene, ora ci risponde il sindaco-storico-dell'arte: «Il quantitativo di materiale prelevato nei punti di passaggio individuati dall'Opificio non è risultato sufficiente per ulteriori analisi di laboratorio, motivo per il quale dovrebbero essere effettuati nuovi prelevamenti di campione». Questa è sostanzialmente una dichiarazione di bancarotta scientifica: è la candida confessione che le conferenze stampa trionfalistiche e il documentario con il quale National Geographic ha messo a reddito il suo sostegno all'operazione erano fondati su un esperimento non ripetibile. In altre parole: si passa dalla scienza alla fede, e a Seracini o si crede o non si crede, con buona pace di Galileo e del suo metodo, rottamato per l'occasione. Già, perché se anche i nuovi prelievi si facessero, e se «per caso» l'Opificio non trovasse le stesse sostanze, a quel punto la vicenda si avviterebbe in un eterno stallo tra chi potrà provare che ora non ci sono più, e chi comunque continuerà a sostenere di averle trovate, ma poi di averle (destino cinico e baro!) del tutto consumate in laboratorio.

Infine, Renzi afferma che il «professor Maurizio Seracini» avrebbe pubblicato tale ricerca «su riviste scientifiche». E l'allusione è a Medicea, rivista il cui direttore non è uno storico dell'arte né uno scienziato, ma il giornalista portavoce di Cristina Acidini. Con questa lettera Renzi ha compiuto un passo inaudito, perché ha trasformato una serie di ipotesi di ricerca (che godono di credibilità quasi nulla presso la comunità scientifica di riferimento) in una sorta di verità di Stato. Sulla Battaglia di Anghiari, il Comune ha ora la sua dottrina ufficiale: e chi non la pensa così è un nemico del popolo, un dissenziente, un avversario politico. Aspettiamo di sapere quali saranno le ritorsioni per gli intellettuali eretici che osano pensare della caccia alla Battaglia ciò che il ragionier Fantozzi pensava della Corazzata Potemkin: il confino alle Piagge, la rieducazione con la lettura obbligatoria di Stil novo oppure l'abiura in Piazza della Signoria, sul luogo del rogo savonaroliano?

La risposta di Cristina Acidini, al confronto, appare perfino normale. Intendiamoci: appare normale a coloro che sono ormai abituati al tono vetero-democristiano che vela da decenni l'esercizio del potere più forte e meno controllato della città, quello della Soprintendenza. Acidini giudica «interessanti» i risultati, ignorando che i maggiori studiosi di Leonardo e l'intera comunità internazionale degli storici dell'arte hanno firmato una petizione che dice esattamente il contrario. Acidini vieta (giustamente) ulteriori traumi alla parete vasariana, in nome del «mutare dell'inquadramento deontologico della professione» e dell'«evoluzione della teoria del restauro». Ma tace sul fatto che Cecilia Frosinini, massima responsabile del settore all'Opificio, si era rifiutata, per le stesse ragioni, di avallare la campagna di fori che lei stessa ha invece benedetto. Infine, Acidini invoca l'intervento del Comitato tecnico scientifico del Ministero per i Beni culturali, presentato come istanza superiore e oggettiva. Il che fa un po' sorridere quando si rammenti che i quattro membri del suddetto comitato sono (insieme alla stessa Acidini) in attesa di sentenza della Corte dei Conti per l'acquisto del famoso pseudo-Michelangelo. In queste condizioni, su quale terzietà e autorevolezza possiamo contare? La verità è che nessuno, né in soprintendenza né a Palazzo Vecchio, scommette un euro sul ritrovamento del Leonardo perduto: ma l'importante è continuare il palleggio istituzionale, per dare l'idea che la caccia continui. Almeno sui media, almeno fino alle primarie del Pd.

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