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Eugenio Scalfari
Se la pace finisce in un vicolo cieco
14 Febbraio 2007
Articoli del 2006
Eppure, non c’è altra strada che quel “vicolo cieco”. Da la Repubblica del 20 agosto 2006

C'è un dato di fatto da cui bisogna partire per fare il punto sulla crisi libanese ed è il rapporto tra il governo di Beirut e Hezbollah, il partito di Dio: non si tratta di un rapporto conflittuale. Il Libano è un'entità statale debolissima, frazionata in diverse etnie e soprattutto in diverse comunità religiose (e tribali): maroniti, drusi, sunniti, sciiti. Hezbollah è molte cose insieme: un partito politico, una struttura assistenziale, un'associazione di previdenza e di mutuo soccorso, un centro di iniziative economico-industriali ed anche un'organizzazione militare. Infine un insediamento territoriale. La sua base popolare è sciita e rappresenta il quaranta per cento della popolazione, cioè la maggioranza relativa del paese. Fa parte del governo di Beirut ed ha la presidenza del Parlamento. Nel territorio che sta tra il fiume Litani e il confine tra il Libano e Israele tutti i comuni di città e di villaggi sono amministrati da sindaci di Hezbollah.

Quel lembo di terreno fu per molti anni la sede dell'Olp e dei palestinesi profughi dalla valle del Giordano dopo la guerra dei Sei giorni. Nell'82 furono espulsi e da allora, cioè da ventiquattr'anni, al loro posto ci sono gli sciiti di Hezbollah. Uno Stato nello Stato? O una marca di confine di un'entità geografica in cui perfino Beirut è divisa rigidamente in quartieri separati tra loro in lotta?

Il rapporto tra governo nazionale e Hezbollah ricorda per molti aspetti quello tra i curdi del Kurdistan iracheno e il governo di Baghdad: entità separate ma interconnesse attraverso la finzione d'un governo nazionale "democraticamente" eletto. Scrivo democraticamente tra virgolette. Di fatto nell'Iraq post-Saddam Hussein, così come in Libano, le elezioni sono avvenute su base religiosa e tribale. Con una differenza fondamentale: dietro il governo iracheno ci sono centoquarantamila soldati americani, dietro quello di Beirut c'è il nulla. Ma dietro Hezbollah c'è la Siria e, più lontano, l'Iran sciita. La Siria non è sciita. I suoi rapporti con l'Iran non sono affatto idilliaci. Ma i due paesi hanno un nemico comune: l'America e Israele, visti come un'unica entità. Anche Hezbollah ha quello stesso nemico. Se vogliamo allargare il quadro, anche Hamas considera Israele e America come il suo nemico.

Hamas non è un movimento sciita, i palestinesi non sono sciiti e fino a qualche tempo fa erano la popolazione araba meno coinvolta in dispute religiose. Ma ora il cemento islamico è diventato un punto d'appoggio e di consenso.

La struttura di Hamas ricorda per molti aspetti quella di Hezbollah: è un partito politico, una struttura educativa e assistenziale ed ha un braccio armato. Da un anno ha conquistato attraverso libere elezioni la maggioranza del Parlamento ed ha formato un governo. Un governo senza Stato, se si esclude Ramallah e la striscia di Gaza. Questo è lo stato dei fatti. E per tornare alla crisi libanese, il governo e l'esercito non hanno alcuna intenzione e alcuna possibilità di disarmare Hezbollah. Nelle medesime condizioni si trovano l'Unifil, i caschi blu dell'Onu presenti nel sud del Libano; e altrettanto si dica quando i caschi blu saranno quindicimila anziché duemila come ora: nei loro compiti non c'è quello di disarmare il partito di Dio.

La soluzione, ha detto Kofi Annan, non è militare ma politica. La stessa cosa hanno detto Chirac, Prodi e con lui D'Alema e Parisi.

Che cosa significa?

* * *

Israele e Bush hanno iscritto Hezbollah tra i gruppi terroristi censiti dalle loro "intelligence" ma questa rappresentazione non sembra corrispondere alla realtà. Non risulta infatti che il partito di Dio educhi le milizie al terrorismo e alla cultura kamikaze. Né che nelle file di Hezbollah ci siano infiltrazioni di Al Qaeda che tra l'altro è di confessione sunnita. Le milizie del partito di Dio sono una forza di guerriglia, bene addestrata e armata per la guerriglia. Con un'arma in più: i razzi a corta gittata e a scarsa precisione di puntamento. Forniti ovviamente dall'esterno.

La scommessa politica è quella di "legalizzare" le milizie di Hezbollah facendo loro indossare le spalline dell'esercito regolare libanese. Formalmente questo sarebbe il disarmo politico: quelle milizie, entrando a far parte dell'esercito regolare, metterebbero le loro armi al servizio del governo di Beirut e del comando militare libanese. Insomma sarebbero "assorbite" dalle strutture legali di quel paese. A questa soluzione stanno lavorando le Nazioni Unite, l'Italia, la Francia, i paesi arabi "moderati" e il governo di Beirut. Nella sostanza non ci sarebbe alcun assorbimento ma una partecipazione di Hezbollah al potere militare di Beirut, attualmente in mano ai maroniti.

Comunque Hezbollah - che già fa parte del governo Siniora - vi sarebbe inserito assai più profondamente. Acquisterebbe più potere ma insieme anche maggiori responsabilità. Interne e internazionali. La scommessa dei trattativisti è insomma di costituzionalizzare Hezbollah, come è stata quella di costituzionalizzare Hamas. Questa seconda scommessa per ora è fallita per responsabilità congiunte di Hamas e di Israele. Ma per costituzionalizzare veramente Hezbollah è necessario ottenere che il partito di Dio rinunci alla protezione siriana oppure che la Siria sia d'accordo e a sua volta allenti i suoi legami con l'Iran.

Chi deve trattare con Hezbollah o con la Siria o con tutti e due? Bush? Olmert? L'Europa?

* * *

La struttura portante del governo italiano, e cioè Prodi D'Alema Parisi, è perfettamente al corrente di questi dati di fatto, dei rischi della missione libanese, del pericolo che i caschi blu restino intrappolati da una rottura della tregua che avvenga sulle loro teste obbligandoli a un frettoloso quanto catastrofico rientro oppure ad un intervento armato contro entrambi i contendenti. Francamente impensabile.

Nonostante tutto ciò e nonostante il ridimensionamento della presenza francese nella spedizione dei caschi blu, il governo italiano sembra ormai deciso a contribuire alla forza Onu con un robusto contingente militare. Di più: sembra orientato ad assumere il comando di quella forza quando a febbraio scadrà il turno di comando francese dell'attuale forza Unifil.

Le regole d'ingaggio trasmesse ieri dall'Onu ai governi interessati sono state giudicate positivamente da Prodi. La pressione sulla Francia affinché superi la fase di marcia indietro dei giorni scorsi, continuerà nelle prossime ore. Si spera che Chirac superi l'opposizione dei suoi generali. Ma se ciò non avvenisse che farà il governo italiano? I nostri soldati partiranno egualmente per Tiro?

Sotto comando francese o, fin da subito, sotto comando italiano? Che cosa avverrà nel nostro Parlamento quando alla vigilia dell'ipotetica partenza il governo presenterà il decreto che autorizzi e finanzi l'operazione?

* * *

Al momento il nostro ministro della Difesa è il più prudente. E' comprensibile. Le cautele dei militari si scaricano soprattutto su di lui. Prodi e D'Alema puntano sulla scommessa politica che si riassume in tre condizioni:

1. La disponibilità di Nasrallah a fare indossare alle sue milizie le spalline dell'esercito regolare.

2. La disponibilità del governo d'Israele ad accettare come disarmo di Hezbollah questo passaggio formale.

3. L'apertura d'un serio negoziato tra Israele, Usa, Europa da una parte e il governo siriano di Assad dall'altra.

La prima di queste tre condizioni è la più facile (o la meno difficile) da risolvere, ma le altre due sono difficilissime anche perché la loro connessione con la questione palestinese è evidente. Trattare con gli Hezbollah continuando a guerreggiare con Hamas è una chimera. A questo punto il problema libanese e quello palestinese sono strettamente intrecciati. L'accordo tra Hamas e Abu Mazen di formare un governo palestinese di unità nazionale potrebbe essere un passo positivo, ma la decisione di Israele di rinviare "sine die" il ritiro dalla Cisgiordania va nella direzione opposta.

La crisi incombente sul governo Olmert sposta la situazione interna israeliana più verso destra che verso sinistra, più verso la guerra che verso la pace. Tony Blair è completamente afasico, mentre questo sarebbe per lui il momento di ridare al suo paese un ruolo decisivo. Quanto al Parlamento italiano, l'opposizione e una parte della maggioranza sono ancora ossessionate dall'idea che spetti all'Onu di disarmare Hezbollah.

Conclusione: Prodi, D'Alema, Parisi, hanno tra le mani una patata non bollente ma addirittura incandescente. Se almeno la Francia tornasse in campo... se Damasco trattasse con l'Europa...

Chi la pensa come noi dichiara di essere un vero amico d'Israele e un vero amico dell'America. Ma da molto tempo in qua sia Israele sia l'America diffidano dei loro veri amici. E' disperante ma è così. Senza di loro la pace è in un vicolo cieco nel quale è estremamente rischioso infilarsi.

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