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Vittorio Emiliani
Se la cultura diventa inutile
7 Agosto 2008
Beni culturali
Nonostante le speranze di Salvatore Settis, l ministro Bondi si è comportato come il berlusconiano che è. E l'Italia paga. L’Unità, 7 agosto 2008

Arte e Cultura, cronache di una disfatta totale: l’Italia precipita ancor più lontano dagli altri Paesi avanzati dove quelle due voci sono considerate un investimento sociale, e non un costo (da tagliare). La scure «rivoluzionaria» - ieri l’hanno detto in coppia Gianni Letta e Giulio Tremonti - calata sulla spesa pubblica si è infatti abbattuta più pesantemente del temuto anche sul ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Al “MiBac” sono stati tolti - secondo le cifre fornite dalla Uil Beni Culturali - 355, 369 e 552 milioni di euro rispettivamente nel 2009, 2010 e 2011. Il totale sottratto sale così, nel triennio, a un miliardo 276 milioni. Un terzo delle cifre tagliate è stato amputato alla voce Tutela e valorizzazione: nel prossimo triennio il MiBAC e le sue Soprintendenze si limiteranno a pagare gli stipendi e poco più, secondo la logica dell’ente inutile “perfetto” che si mangia in costo del personale tutto ciò che incassa e/o riceve. Saranno quindi possibili chiusure o drastiche riduzioni di orario in musei e aree archeologiche e pertanto la stessa voce “turismo culturale” ne sarà colpita al cuore, con minor capacità di attrazione dell’Italia, minori entrate dirette e soprattutto minor indotto turistico-culturale. Un bel contributo alla rianimazione della nostra indebolita economia. Non basta: i tagli hanno spazzato via i 45 milioni preventivati in tre annualità dal ministro Rutelli per l’abbattimento di altri “ecomostri”, ma se uno spulcia i singoli capitoli, vede, per esempio, che viene ridotta pure la spesa ordinaria destinata al comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio: ladri e rapinatori dell’arte e dell’archeologia - tombaroli in testa - facciano dunque festa. Questo ministero viveva già al limite: i tagli, tutt’altro che lievi, decisi dal Berlusconi IV lo mettono su una strada. O lo conducono alla chiusura. Cosa potranno fare le Soprintendenze che già nel recente passato verso metà anno non avevano più fondi per i telefoni, per i francobolli, per pagare le imprese di pulizia (bagni dei musei inclusi)? Quali missioni sul posto potranno organizzare quelle Soprintendenze ai Beni architettonici nelle quali ogni tecnico si ritrova alle prese con un migliaio di pratiche delicate all’anno? Le amputazioni vanno a minare l’attuazione stessa del Codice per il paesaggio, reso ben più stringente e severo, dalla gestione Rutelli-Settis, ragion per cui il saccheggio del nostro paesaggio riprenderà con grande vigore. La scure (“rivoluzionaria”, beninteso) di questo governo, che considera la cultura un optional e che ha affidato la custodia dei Beni culturali ad un personaggio come Sandro Bondi, senza alcun peso specifico (infatti le sue deboli proteste hanno contato meno di zero), si abbatte su settori già più che “francescani”, come gli archivi e le biblioteche, l’Istituto centrale per il catalogo, la Scuola Archeologica Italiana di Atene che partirà, nel triennio prossimo, con 157.000 euro in meno di finanziamento statale e arriverà con 307.000, in meno naturalmente. Poi ci sono le somme e i contributi previsti per una miriade di associazioni, istituzioni e fondazioni che, con qualche eccezione, certo, rappresentano il sistema capillare della ricerca culturale, la storia stessa del nostro Paese: le antiche Accademie locali, le Deputazioni di storia patria (già vedo Bossi sorridere contento), le Fondazioni politiche (Sturzo, Turati, Nenni, Gramsci, ecc.) e quelle musicali, ecc. Anche in questo caso, spesso, verrà meno l’ossigeno. Tanto più che enti locali e Regioni, anch'esse mutilate, non potranno subentrare in nulla. Ma passiamo al tanto discusso e però fondamentale Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus). Il taglio per le Fondazioni lirico-sinfoniche parte dai 51,7 milioni dell’anno prossimo e arriva, in progressione, agli oltre 101 del 2011. Il fondo per le attività musicali perde inizialmente 15,2 milioni e arriva a 29,8 milioni, mentre l’altro per le attività teatrali di prosa da va da 17,7 a ben 34,6 milioni. Ma ci saranno riduzioni di contributi anche per la già deperente danza classica. Tornando agli ex Enti lirici e sinfonici, è vero che devono essere riformati nel senso di una maggiore snellezza gestionale e di minori bardature burocratiche. Vi sono Enti infatti che registrano incidenze assurde del personale sui costi totali: l’Opera di Roma col record del 70,9 per cento, seguita dal Massimo di Palermo col 67,3 e dal Carlo Felice di Genova col 66,7, fino a scendere all’incidenza minima (encomiabile) del Regio di Torino: 42,3 per cento. Ma non sarà il drastico e per niente finalizzato taglio delle risorse a curare le situazioni più malate. Così si ammazzano il melodramma, la musica, il balletto, punto e basta. O si mettono le Fondazioni musicali di fronte ad un bivio: ridurre le produzioni ed abbassarne il livello (sovente già scaduto), oppure portare il prezzo dei biglietti a quote inarrivabili dai più, a cominciare da giovani e giovanissimi. Significa inoltre sterilizzare la spesa per la didattica artistica e musicale, negando, per decenni, al Paese di uscire dal gorgo di ignoranza e di maleducazione nel quale è precipitato rispetto all’Europa, ex Paese dell’Arte, della Musica e del Bel Canto. Il Consiglio Superiore dei Beni culturali, all’unanimità, aveva espresso, il 16 scorso, la più viva preoccupazione per una «temuta deriva che rischia di annichilire la tutela e il governo del patrimonio culturale e paesaggistico» invitando a «considerare la spesa per la cultura nel suo pieno valore economico per l’impatto generale che essa ha sul sistema economico e sociale del Paese, dall’industria del turismo al cosiddetto Made in Italy, all’immagine complessiva della Nazione». Tremonti ha accelerato la macellazione della cultura. Parole al vento, dunque. Come le patetiche proteste del ministro Bondi. Il quale (al pari della collega dell’Ambiente, Prestigiacomo, per i Parchi Nazionali) ha già una sua idea: assumere, magari a New York, un super-direttore dei musei statali con più “polpa” e affidarne la gestione a società private. Il trionfo del privato sul pubblico. La fine della cultura come valore fondamentale per tutti. Specie per chi ha minor reddito e minori chances di partenza. Un futuro radioso.

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