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Se i beni culturali finiscono in affitto
18 Aprile 2013
Beni culturali
Un interessante breve dialogo tra Massimo Gargiulo e Salvatore Settis sull’insana proposta dei “saggi” di affittare il patrimonio pubblico per fare cassa.

Nella rubrica di Corrado Augias, la Repubblica, 18 aprile 2013

Salvatore Settis

Caro Augias, nella sua rubrica di martedì scorso, Massimo Gargiulo mi attribuisce l’opinione che sia giusto dare le opere d’arte dei nostri musei in affitto ai privati. Ho ripetutamente preso posizione contro questa idea. Essa sarebbe, infatti, contraria alla legge (e dio solo sa quanto l’Italia abbia bisogno di legalità), ma anche contro la Costituzione, che all’art. 9 incardina la tutela del patrimonio sulla sovranità popolare e sui diritti fondamentali dei cittadini (libertà, giustizia, eguaglianza). Questi valori non hanno il cartellino del prezzo. Donazioni private ai musei (senza fini di lucro) sono le benvenute, ma non sollevano le istituzioni pubbliche dal loro dovere di tutela. Come ha scritto Adriano Olivetti, «chi opera secondo giustizia opera bene e apre la strada al progresso. Chi opera secondo carità segue l’impulso del cuore e fa altrettanto bene, ma non elimina le cause del male che trovano luogo nell’umana ingiustizia». La tutela «secondo giustizia», obbligata dallo statuto costituzionale dei beni culturali, è stata tradita dai recenti governi, che hanno devastato il Ministero con tagli dissennati. Ma questo non vuol dire che bisogna rinunciarvi, né che la «carità» possa prendere il posto della giustizia.

Corrado Augias
Ho chiesto al prof Gargiulo come possa essersi creato l’equivoco sulle opinioni di Settis. Ha risposto, rammaricato, che in una sua precedente lettera da noi pubblicata si trovava d’accordo con Settis: «Che solamente un grande patto nazionale fra soggetti diversi, dallo Stato ai privati, può invertire la tendenza che ha portato a bilanci sempre più esigui e Soprintendenze al collasso». Aggiunge Gargiulo: «Salvatore Settis incentra soprattutto su donazioni incentivate fiscalmente la realizzazione di un grande patto nazionale fra soggetti diversi, dallo Stato ai privati. Non sottovaluto i possibili risultati di una tale proposta, ma li giudico insufficienti, soprattutto in un periodo di crisi. Vedo nell’affitto dei beni che giacciono nei magazzini una possibilità in
più per i musei per offrirsi al pubblico, inventarsi iniziative, vivacizzare l’attività». Replica Settis: «Non vedo questi vantaggi anche perché ogni opera dovrebbe essere comunque seguita dai nostri funzionari (e ce ne sono sempre meno), i costi della sorveglianza renderebbero proibitivo qualsiasi esperimento (peraltro vietato dalle leggi). Anche nel meno organizzato dei nostri depositi, c’è comunque un controllo climatico, dell’umidità, etc.: come facciamo a controllare tutti i singoli salotti-bene dove i quadri finirebbero con l’essere esposti? L’affitto sarebbe solo l’anticamera della vendita. Sono palliativi, per coprire l’oscena ferita di un patrimonio sempre più abbandonato dallo Stato (di questi anni)»

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