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Pietro Citati
Se a un Comune è permesso distruggere i suoi gioielli
6 Ottobre 2007
Beni culturali
L'accusa di un intellettuale contro le autonomie a senso unico di chi considera il patriomonio culturale risorsa di un territorio e non bene comune dell'intera umanità. Da la Repubblica , 6 ottobre 2007 (m.p.g.)

I funzionari e i sovrintendenti del Ministero dei Beni Culturali sono tra gli impiegati statali meno pagati in Italia. Vengono disprezzati dai costruttori, che spesso cercano di corromperli, e dalle amministrazioni comunali e regionali, che li giudicano superflui. Ma dobbiamo quasi soltanto a loro se, in questi ultimi trent´anni, le chiese, i palazzi, le strade e i paesaggi sono stati conservati, non sempre, nel migliore dei modi.

Se non ci fossero i sovrintendenti, è probabile che la Villa romana di Piazza Armerina, coi suoi meravigliosi mosaici del quarto secolo, verrebbe trasformata in un condominio con abitazioni di tre camere e doppi servizi: ognuna con un frammento del mosaico romano, ora in salotto, ora nella camera da letto, ora davanti allo specchio del bagno, ora splendidamente in cucina.

Le regioni a statuto speciale, o una parte di esse (la Sicilia, il Trentino e il Sudtirolo) non obbediscono in nessun modo (per legge) ai pareri dei sovrintendenti e del Ministero dei Beni Culturali. In queste tre regioni (conosco meno bene la situazione in Val d´Aosta e nel Friuli-Venezia Giulia), le giunte comunali, gli assessori e i sindaci possono fare tutto quello che vogliono: abbattere chiese e palazzi, stravolgere piazze e strade, violare paesaggi. In fondo, questo è il desiderio di tutte le regioni italiane, che vorrebbero trasformare le città e i paesi a loro capriccio, senza ascoltare i pareri (ritenuti conservatori e pedanteschi) delle autorità centrali.

Tutti sanno quello che è accaduto in Sicilia, attorno alla zona archeologica di Agrigento. Lo stesso avviene in regioni che sembrerebbero più attente al proprio passato. Due anni fa, il sindaco di Monguelfo, nel Sudtirolo, ha fatto abbattere la pretura, ambientata in un edificio del quindicesimo e sedicesimo secolo, malgrado il parere del tribunale di Bolzano. La vicenda di Monguelfo si ripete in questi giorni a Trento. Le vecchie, eleganti carceri sono state costruite tra il 1876 e il 1890 dall´architetto Karl Schaden in quello stile che ancora oggi, se andiamo a Vienna, o a Praga, o a Zagabria, o a Lubiana, o a Dubrovnik, ci fa sentire il profumo dell´Austria-Ungheria: il luogo, diceva Joseph Roth, dove "quello che era straniero diventava domestico senza perdere il suo colore, e la patria aveva l´eterno incanto dell´estero". Ora, il comune di Trento ha deciso di demolire le vecchie carceri, sebbene, come suggerisce la delegazione del FAI, esse potrebbero venire trasformate in un edificio a destinazione pubblica o privata.

Non so come si concluderà la storia delle carceri di Trento: probabilmente nel peggiore dei modi, malgrado l´opposizione dei cittadini. Le regioni a statuto speciale ricordano appassionatamente di appartenere allo Stato italiano, quando ne incassano i finanziamenti troppo grandiosi. Negli ultimi mesi abbiamo assistito allo spettacolo grottesco di Cortina d´Ampezzo, che ha deciso di trasmigrare nel Sudtirolo, sebbene non abbia nulla a che fare col Sudtirolo, per prendere parte al gioioso festino. Ma queste regioni dimenticano all´improvviso di essere italiane, quando desiderano distruggere edifici antichi, o rovinare paesaggi, contro il parere del Ministero dei Beni Culturali, che non ha il potere giuridico di intervenire. Questa situazione non può durare più a lungo. Lo Stato deve imporre la propria volontà, modificando leggi e consuetudini, in modo che una stessa legge difenda tutto il nostro territorio dai suoi distruttori.

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