La Repubblica, 18 maggio 2015
Per la Buona Scuola sono arrivati gli esami finali. Si entra nel vivo già questa mattina, per gli ultimi tre giorni di battaglia nell’aula della Camera. Al voto gli articoli più contestati della riforma, il numero 9 sui poteri del preside, il 10 sui precari e l’articolo 17 che riguarda il 5x1000. Mentre le opposizioni affilano le armi (ma con i numeri della maggioranza a Montecitorio non potranno far molto), Renzi prosegue nel suo contrattacco mediatico iniziato la scorsa settimana con il video alla lavagna. «Non si può minacciare il blocco degli scrutini — ha dichiarato a l’Arena di Giletti — non si può giocare sulla pelle dei ragazzi. Anche chi boicotta il test Invalsi non dà un bell’esempio di educazione civica». E ancora, sui no piovuti contro la valutazione dei docenti: «Penso anche che in qualche professore ci sia ancora l’idea di mantenere la filosofia del 6 politico. Ma quella stagione è finita».
Intanto la minoranza dem sembra aver scelto una politica diversa rispetto alla totale contrapposizione sull’Italicum che portò 38 deputati a non votare la fiducia al governo. Non una tregua vera e propria, ma un’apertura speculare a quella mostrata dal governo. «Vediamo — afferma Nico Stumpo, uno dei leader dell’area bersaniana — se è possibile fare accordi nel Pd. Sull’Italicum fu la decisione di Renzi di mettere la fiducia a far saltare il tappo, ma sulla scuola non c’è alcuna logica di bandiera. Abbiamo presentato emendamenti di buon senso».
Quali siano i punti su cui insisteranno di più lo spiega Andrea Giorgis: «Il 5 per 1000 non ha più senso, visto che non si tratta di risorse aggiuntive ma di soldi dello Stato. Bisogna poi dare almeno una prospettiva futura di stabilizzazione a tutti i precari che hanno fatto corsi abilitanti. Infine c’è la questione centrale, la collocazione dei docenti sul territorio: non si può immaginare di creare scuole di serie A con più risorse e con i docenti migliori e scuole di serie B con gli altri ». Ma, di nuovo, niente barricate: «C’è un clima diverso — ammette Giorgis — perché il governo non ha blindato la riforma. In commissione il testo è stato migliorato e ora speriamo di migliorarlo anche in aula. Comunque a tutti noi sta a cuore una vittoria del Pd alle regionali e lavoriamo per riconnettere il partito con il mondo della scuola».
Chi invece ancora non ha scelto se votare o meno il ddl è Alfredo D’Attorre, l’anima più ribelle — insieme a Stefano Fassina — del Pd: «La mia valutazione finale dipenderà dalle modifiche sostanziali che devono essere fatte al progetto. Allo stato purtroppo non credo ci siano le condizioni per un voto favorevole ». Fassina fa della riforma della Scuola addirittura un test, «un passaggio decisivo per scegliere se restare» o meno nel partito. Anche Sel e Cinque Stelle, ovviamente, non faranno sconti. Carla Ruocco, l’unica donna del direttorio pentastellato, annuncia che domani il M5S sarà in piazza Montecitorio «per una grande mobilitazione insieme agli insegnanti e ai nostri attivisti». Ma già da oggi, benché molti deputati grillini (Ruocco compresa) non possano partecipare ai lavori perché sanzionati, «ci saranno scintille».
Il governo comunque ritiene di aver aperto a sufficienza già in commissione, in aula il testo sarà difeso così com’è. «Ulteriori modifiche — rivela un renziano — ce le riserviamo semmai per il passaggio al Senato». Intanto, sottotraccia, si apre un primo braccio di ferro tra governo e Ragioneria dello Stato. Oggetto: i bacini territoriali dai quali il preside potrà pescare gli insegnanti. Per la Ragioneria sarebbero troppo stretti.