FORSE si muove qualcosa, nella mente della potenza tedesca che da anni comanda in Europa sapendola solo dividere, non guidarla e federarla? Ancora non è chiaro, ma se Angela Merkel ieri è corsa a Atene – dove la sua politica e il suo Paese sono esecrati, dove è stato necessario militarizzare la capitale per domarne la collera – vuol dire che vi sono elementi nuovi, che destano spavento a Berlino. Uno spavento che si è dilatato, dopo l’intervista di Antonis Samaras al quotidianoHandelsblattdi venerdì. Sono parole diverse dal solito: il Premier greco non si sofferma sui debiti, né sul Fiscal Compact, né sul Fondo salva-Stati approvato lunedì a Lussemburgo. La prima visita del Cancelliere, invocata da Samaras, avviene perché si comincia a parlare dell’essenziale: di storia, di memorie rimosse e vendicative, di democrazia minacciata. Estromessa, la politica prende la sua rivincita e fa rientro. Caos è il vocabolo usato nell’intervista, e il caos impaura la Germania da sempre. Anche perché quel che le tocca vedere è una replica: più precisamente, la replica di una storia che Berlino finge di dimenticare, ma che è gemella della sua.Il caos, i tedeschi sanno cos’è: specie quello di Weimar, quando la democrazia, stremata dai debiti di guerra e dalla disoccupazione, cadde preda di Hitler. È lo scenario descritto da Samaras: Weimar è oggi a Atene, e anche qui incombe una formazione nazista, che si ciba di caos e povertà.
Alba dorata ha ottenuto alle elezioni il 6,9 per cento, ma oggi nei sondaggi è il terzo partito. I suoi principali nemici sono l’Unione, e tutto quel che l’Europa ha voluto essere dal dopoguerra: luogo di tolleranza democratica, di assistenza ai deboli attraverso il Welfare. Lo straripare della disoccupazione, spiega Samaras, dà le ali a un partito che non ha eguali in Europa, tanto esplicita è la sua parentela con il nazismo e perfino con i suoi simboli (una variazione della svastica). L’odio ell’immigrante,delgay,deldisabile, è la sua ragion d’essere. Se l’Europa non aiuta la Grecia dandole più tempo, a novembre le casse statali saranno vuote e può succedere di tutto. In parlamento i deputati nazisti si fanno sempre più insolenti, sicuri. L’ex Premier George Papandreou è bollato come «greco al 25 per cento»: la madre è americana. Ogni nuovo emigrato va tenuto lontano, con mine anti-uomo lungo le frontiere.
Non è male che infine si cominci a dire come stanno davvero le cose, e quel che rischiamo: non tanto lo sfaldarsi dell’euro, quanto il tracollo delle mura che l’Europa si diede quando nacque. Mura contro le guerre, contro le diffidenze nazionaliste, contro la logica delle punizioni. Fare l’Europa significava dire No a questo passato mortifero, ed ecco che esso si ripresenta nelle stesse vesti. Per la coscienza tedesca, uno scacco immenso: la storia le si accampa davanti come memento e come Golem, da lei stessa resuscitato. Oltrepassare i calcoli sull’euro e sondare verità sin qui nascoste aiuta a scoprire quel che Atene sta divenendo: un capro espiatorio. Un laboratorio dove si sperimentano ricette costruttiviste e al tempo stesso si collauda la storia che si ripete: non come tragedia, non come farsa, ma come memoria stordita, morta.
Come possono i tedeschi scordare il muro portante del dopoguerra, e cioè la coscienza che la punizione nei rapporti tra Stati è veleno, e che i debiti bellici della Germania andavano perciò condonati? Nell’accordo di Londra sul debito estero, nel ’53, fu deciso di prorogare di 30 anni il rimborso, e di esigerlo solo qualora non avesse impoverito la Repubblica federale. I greci non l’hanno dimenticato: un comitato di esperti sta calcolando quel che Berlino deve a Atene per i disastri dell’occupazione hitleriana (circa 7,5 miliardi di euro). «Le riparazioni non sono più un problema », replica il governo tedesco. Lo saranno di nuovo, se il castigo ridiventa criterio europeo come nel 1918 verso la Germania.
La Grecia certo non è senza colpe. All’indisciplina di bilancio s’accoppiano la corruzione politica, l’enorme evasione fiscale. Il caos è in buona parte endogeno, come sostenne Alexis Tsipras del partito Syriza quando mise al primo punto del programma la lotta ai corrotti. Ma è un caos non più grave dell’italiano, e anche se Syriza ha manifestato ieri contro la Merkel, assieme ai sindacati, è scandaloso che il Cancelliere si rifiuti di incontrare il primo partito d’opposizione, solo perché le ricette anti-crisi sono ritenute fallimentari.
In fondo non c’è bisogno di Samaras, per penetrare la realtà greca ed europea, e ammettere che nessuno può sopportare una recessione quinquennale. Basta leggere blog e libri indipendenti. Bastano i testi di storia, che raccontano di un paese dove la resistenza antinazista non fu artefice della democrazia postbellica come in Italia, ma venne perseguitata ed esiliata dagli anglosassoni: il potere militare fu da loro favorito per decenni (colonnelli compresi).
I romanzi di Petros Markaris sul commissario Kostas Charitos – una specie di Montalbano greco – sono conosciuti in Italia. L’ultimo, pubblicato da Bompiani nel 2012, s’intitola L’Esattore, e narra di un assassino seriale che elimina uno dopo l’altro grandi evasori e politici corrotti, visto che lo Stato non sa né vuole agire. L’assassino assurge a eroe nazionale, gli indignados diPiazza Sìntagma vogliono candidarlo: «L’Esattore nazionale è un Dio!», gridano. Oggi esce in Francia un film di Ana Dumitrescu, Khaos,
he raffigura il pandemonio ellenico. Dicono nel film: «Il pericolo è che la collera del popolo si trasformi in terribile bagno di sangue, sostituendosi all’azione politica».Il sottotitolo di
Khaos
è «i volti umani della crisi»: volti che la trojka non vede, né la Merkel, né i governi del Sud Europa che trattano Atene come paria, per paura d’esser confusi con essa. Ma il paria parla di noi, e dell’Europa tutta. Habermas probabilmente pensava alla Grecia, nel discorso tenuto il 5 settembre davanti al partito socialdemocratico: i piani di austerità delineano, ovunque, un
percorso post-democratico.
Quel che assottigliano non è tanto la sovranità assoluta degli Stati nazione – oggi anacronistica – quando la sovranità del popolo, che è costitutiva della democrazia e non è affatto obsoleta. I diritti sovrani sottratti tramite Patto fiscale e Fondo salva-stati semplicemente evaporano, «perché non trasferiti verso un autentico, democratico legislatore europeo». Il potere resta nelle mani di trojke e Consigli dei ministri non eletti dai cittadini europei, o di tecnici che possedendo la scienza infusa pretendono di superare gli Stati nazione da soli, e surrettiziamente.
«Credo che questo sia il prezzo che paghiamo alla soluzione tecnocratica della crisi», conclude il filosofo: «In tale configurazione, imbocchiamo un percorso postdemocratico che approderà a unfederalismo esecutivo.
La democrazia si perde per strada, e tutti mancheremo l’occasione di regolare i mercati finanziari (...). Un esecutivo europeo del tutto indipendente da elettorati che possano essere democraticamente mobilitati smarrirà ogni motivazione e ogni forza per azioni di contrasto».
L’ora della verità è quella in cui i numeri non occupano l’intero spazio mentale, e in scena fanno irruzione la storia, le memorie scomode delle guerre europee e dei dopoguerra. Per questo sono importanti l’allarme di Samaras, il disagio che ha suscitato in Germania, l’impervia corsa della Merkel a Atene. Qualcosa si muove: non necessariamente in meglio, ma almeno si è più vicini al vero. Si chiama Alba dorata il pericolo greco, ed è alba tragica. All’orizzonte si staglia la figura dell’Esattore Nazionale,salutato come Apollo vendicatore: che viene e uccide itraditori della democrazia. È così, dai tempi dell’Iliade, che dalle nostre parti iniziano le guerre.