A questo punto, potrebbe diventare una rubrica nella rubrica: «Sardinians», ovvero «impressioni e preoccupazioni estive dei molti innamorati di un'isola unica». Ogni anno, infatti, succede la stessa cosa. Arrivo, deciso a non occuparmi dell'argomento. Poi accade qualcosa, e mi ritrovo le mani sulla tastiera.
So cosa vi aspettate: un commento sulla compagnia di giro a Porto Cervo, che quest'anno ha aggiunto personaggi e trame. C'è — lo sapete — l'ex-banchiere Giampiero Fiorani, diventato intimo di Lele Mora, che vuole una trasmissione TV per «difendere i consumatori dalle banche». Ottima idea. Poi chiediamo a Costantino Vitagliano di celebrare in diretta la prima messa in latino, affidiamo la Domenica Sportiva a Luciano Moggi e andiamo tutti all'estero.
Scherzi a parte: non sono queste, le cose che mettono in ansia i sardi e i sardofili d'Italia. I Costacei che affiorano intorno al Billionaire sono come le meduse: conseguenze inevitabili di un nuovo clima (sociale, morale), ed è sbagliato dargli troppa importanza. Il dramma di quest'isola è un altro: la troppa bellezza della terra e del mare, contro cui non esistono difese. Non è un complimento: è un guaio. Mai vista la Sardegna così affollata, a luglio. Ho trovato la Pelosa di Stintino assediata, Isola Rossa assaltata, Rena Bianca (Santa Teresa) travolta. Cala Battistoni (ora, più banalmente, Baia Sardinia) è un alveare. Mi scrive Lamberto Oldrizzi ( oldrizzi@interfree.it): «Sono tornato da una vacanza a Capo Coda Cavallo.
Sono rimasto colpito da quello che sembra un progressivo suicidio turistico e ambientale. La famosa Cinta, Cala Brandinchi, Lu Impostu, l'Isuledda: tutte colonizzate da migliaia di turisti».
Il lettore ha ragione, ma dimentica una cosa: è un turista anche lui, come lo sono io. La Sardegna sta pagando un amore esagerato, ma spiegabile: non c'è nulla di simile, nel Mediterraneo, e la gente se n'è accorta. Scrivo da Rena Majore, in Gallura: trent'anni fa c'erano duecento case ordinate, oggi ce ne sono duemila, stile volonteroso-approssimativo.
È così dovunque, e l'assalto sarebbe già alla battigia, se non fosse per il «decreto salva-coste». «Da Palau a Orosei fin giù a Costa Rei — continua Olbrizzi — distese di villette costruite/ vendute sulle pendici delle colline o nascoste nel verde; gru e cantieri per centinaia di abitazioni; cartelloni che annunciano nuovi villaggi e residenze estive». Un'altra lettrice, Roberta Nanni ( rbnanni@yahoo.com), scrive da Costa Paradiso, su al nord: «Rocce rosse con forme e tonalità stupefacenti, immerse nel verde, affacciate sul mare più azzurro del mondo. Finora s'era costruito con un minimo di criterio; adesso ogni giorno un cantiere fa saltare rocce e vegetazione per creare alveari di cubicoli uno sull'altro. Che faccio, cerco una ruspa davanti alla quale sdraiarmi?».
Potrebbe essere un'idea. Già che c'è, Roberta, chieda al ruspista o al geometra: perché — tutti insieme — stiamo distruggendo (anche) la Sardegna? Le diranno: perché è un luogo arioso, profumato e bellissimo. Chi viene, ritorna. Chi non è ancora arrivato, arriverà. Alla domanda, ovviamente, segue l'offerta. Volete voli, navi, pizzerie, supermercati, locali, microappartamenti? Eccoli: basta pagare.
È la Legge Naturale del Turismo, quella contro cui il povero Soru sta lottando invano. La LNT prevede infatti che i bei posti vengano scoperti da pochi (1), si sviluppino grazie all'arrivo di alcuni (2), vengano lodati da molti (3) e siano soffocati dalla calata di moltissimi (4). A quel punto i ricchi si barricano, i pochi scappano, e il gioco ricomincia.
Il problema è che i bei posti stanno esaurendosi. Un'altra Sardegna, per esempio, non c'è.