Una città lineare, stesa lungo tutto il perimetro delle coste sarde, una colata di cemento di proporzioni impressionanti. Tutto andato in malora quando, lo scorso 10 agosto, la giunta regionale di centrosinistra (un centrosinistra allargato a Rifondazione comunista) ha approvato un decreto che vieta qualsiasi attività edilizia all'interno di una fascia di due chilometri dal mare. I piani di cementificazione erano già tutti approvati, capitali ingenti erano impegnati in un'impresa che avrebbe fruttato profitti straordinari. Ora gli interessi colpiti dalla decisione dell'esecutivo guidato da Renato Soru reagiscono. E duramente. Il consiglio regionale è di fatto bloccato dall'ostruzionismo di Forza Italia e dei suoi alleati, che hanno presentato 1824 emendamenti al decreto, nel frattempo diventato progetto di legge. Hanno provato a far decadere il provvedimento, che ha il 10 novembre come data di scadenza, ma la maggioranza ha votato una proroga di altri tre mesi. Non è bastato. Il centrodestra non ha mollato, ha deciso di portare alla paralisi il consiglio, con il rischio di aprire una crisi istituzionale senza precedenti. Cinque anni di governo di centrodestra alla Regione e la vittoria della Casa delle libertà in molti comuni nelle elezioni amministrative avevano creato la situazione più propizia a un saccheggio sistematico delle coste. Poi la vittoria di Soru. Nel programma elettorale della coalizione di centrosinistra la difesa dell'ambiente era uno dei punti qualificanti. Non a caso il sostegno dei gruppi ambientalisti è stato, per tutta la campagna elettorale, particolarmente convinto; un recupero dell'area dei movimenti che si è rivelato uno degli elementi determinanti della vittoria dell'alleanza guidata dall'ex presidente di Tiscali. E la nuova giunta non ha perso tempo. Trascorsi nemmeno due mesi dalla chiusura delle urne, l'esecutivo regionale ha approvato il decreto dei due chilometri. Gli interessi toccati sono molto forti.
Tra i colpiti c'è anche la «Edilizia Alta Italia», proprietaria di 467 ettari di terra a sud di Olbia, e controllata dalla holding Finedim, a sua volta controllata dalla Fininvest di Marina Berlusconi, figlia del presidente del consiglio. La «Edilizia Alta Italia» vorrebbe costruire un villaggio turistico dalla cubatura di oltre 500 mila metri quadri. Sindaco di Olbia è Settimio Nizzi, di Forza Italia. Berlusconi in persona è venuto in Sardegna a fargli la campagna elettorale. Nizzi a «Edilizia Alta Italia» avrebbe spalancato tutte le porte, ma ha dovuto fare i conti con l'opposizione degli ambientalisti. Alla fine, il consiglio comunale, con il voto di maggioranza e minoranza unite, ha dato il via libera a un progetto dimagrito: solo, si fa per dire, 250 mila metri cubi. Ma con il decreto approvato dalla giunta Soru saltano anche quelli. Così come sfuma il piano di ampliamento della Costa Smeralda messo a punto da John Barrack. Il miliardario texano, uno dei leader mondiali dell'industria delle vacanze, ha acquistato Porto Cervo e dintorni dal principe Karim Agha Khan. Ora vorrebbe allargarsi, costruendo soprattutto nuovi alberghi di lusso.
Ma non sono solo Marina Berlusconi e John Barrack a fare il tifo per l'ostruzionismo del centrodestra in consiglio regionale. Ci sono anche imprenditori sardi e non sardi che hanno investito in mega-progetti su tutta la costa, da Alghero a Bosa, dalla penisola del Sinis a Is Arenas, da Arbus alle spiagge ancora incontaminate dell'Ogliastra. Imprese i cui capitali spesso hanno provenienze non chiare e che ora agitano lo spauracchio della chiusura e dei licenziamenti. Iniziative che, come ricordava già trent'anni fa Antonio Cederna in una delle sue inchieste sul sacco delle coste sarde appena cominciato, «alimentano un'economia drogata, nella quale non c'è prospettiva. E' il mattone per il mattone. Quando non ci sarà più nulla da costruire, perché tutto è stato costruito, chi potrà più pensare che una natura che non esiste più possa essere una risorsa?» Il decreto Soru prefigura, per la prima volta, quel mutamento di paradigma che Cederna, inascoltato, invocava.