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Michele Prospero
Salvini nemico di comodo
14 Dicembre 2014
Articoli del 2014
E' il solito modo per ribadire il dominio sugli italiani: trasformare la politica in tifoseria e costruirsi un avversario più debole. Sei della Roma o della Lazio, del Milan o dell'Inter, di Salvini o di Renzi? il resto non esiste.
E' il solito modo per ribadire il dominio sugli italiani: trasformare la politica in tifoseria e costruirsi un avversario più debole. Sei della Roma o della Lazio, del Milan o dell'Inter, di Salvini o di Renzi? il resto non esiste.

Il manifesto, 14 dicembre 2014

Se si vuole capire come i media costrui­scano in labo­ra­to­rio una lea­der­ship, biso­gna seguire la sca­lata di Mat­teo Sal­vini. In un sistema sem­pre più disar­ti­co­lato, il gra­di­mento dei media basta da solo per inven­tare un lea­der dal nulla. Chi pensa alla Lega come a un sog­getto quasi nove­cen­te­sco, dal denso radi­ca­mento ter­ri­to­riale e dai riti para-ideologici di massa, si inganna.

La corsa di Sal­vini non si svolge affatto nel ter­ri­to­rio. Non ha nulla di solido su cui cam­mi­nare il lea­der dal maglione inter­cam­bia­bile, a seconda del suolo che calpesta.

Il legame con la terra è sfu­mato anche per la Lega, come per gli altri pseudo-partiti esi­stenti, del resto. La pene­tra­zione in Emi­lia, e il soste­gno che sem­bra rice­vere anche in aree del cen­tro e del sud, non rin­via ad alcuna pre­senza orga­niz­zata nel territorio.

Que­sta mito­lo­gia delle radici nel rude pae­sag­gio locale, con un ceto poli­tico a por­tata di mano e sem­pre pre­sente, non vale più per la Lega, che sfonda oltre la Pada­nia solo per­ché è ospi­tata come non mai nei vec­chi media. È con l’occupazione dello spa­zio tele­vi­sivo che Sal­vini pene­tra anche nello spa­zio reale, dove manca con una vera strut­tura orga­niz­zata, come tutti gli altri attori.

Media e popu­li­smo con toni da destra radi­cale, que­sta è la miscela che con­sente alla Lega una impen­nata nei son­daggi. La fine della destra di un tempo, affida pro­prio alla Lega uno spa­zio poli­tico che nes­suno coltiva.

Il richiamo dei miti secu­ri­tari, e gli echi della rivolta con­tro l’euro, tro­vano un’onda lunga già in movi­mento. E i leghi­sti la caval­cano, nella spe­ranza di aggre­gare il cosid­detto «capi­ta­li­smo della mar­gi­na­lità» e i ceti popo­lari spaesati.

I media vanno pazzi per Sal­vini. Per varie ragioni. Un po’ per­ché fa comodo pro­get­tare un duello tra i due Mat­tei. E c’è chi cal­cola che, con il Mat­teo lepe­ni­sta come prin­ci­pale anta­go­ni­sta, è assai più age­vole trionfare.

Da una parte la rab­bia, la marea nero-verde che dovrebbe spa­ven­tare i mode­rati e lesio­nare la capa­cità coa­li­zio­nale del lea­der leghi­sta. Dall’altra la spe­ranza, la bel­lezza e ricami ana­lo­ghi che con­di­scono la reto­rica del gio­vin rottamatore.

A bocce ferme, que­sto dise­gno, di aiu­tare la cre­scita di un nemico dal pro­filo esa­ge­rato, per poi infil­zarlo con più como­dità, pre­senta una qual­che razio­na­lità. È già capi­tato con le euro­pee, quando pro­prio la paura di Grillo e del ritorno alla liretta, ha fun­zio­nato come la iden­ti­fi­ca­zione di un nemico utile solo per tirare la volata a Renzi.

Ma in con­di­zioni cri­ti­che, cioè di ulte­riore dele­git­ti­ma­zione della poli­tica, per via degli scan­dali e per l’aggravamento della crisi sociale, que­sto cal­colo di costruire per con­ve­nienza un nemico di comodo è grot­te­sco. In casi estremi, il popu­li­smo forte, che asso­cia la dispe­ra­zione e l’offerta di capri espia­tori facil­mente indi­vi­dua­bili, pre­vale sul popu­li­smo mite, con le sue nar­ra­zioni edi­fi­canti a coper­tura di ricette eco­no­mi­che sem­pre in con­ti­nuità con quelle di Monti.

I poteri forti, ovvero quel poco che rimane di un capi­ta­li­smo in via di espro­pria­zione da parte del vorace capi­tale mon­diale inte­res­sato all’acquisizione di aziende di qua­lità, quando offrono muni­zioni illi­mi­tate a Sal­vini, onni­pre­sente nelle loro tv pri­vate e pub­bli­che, lavo­rano per una radi­cale solu­zione popu­li­sta all’emergenza. Hanno prima appog­giato Grillo, poi soste­nuto Renzi e ora guar­dano a Sal­vini. Spe­rano che fun­zioni la sal­da­tura tra la crisi, che spri­giona un sen­ti­mento di ango­scia dinanzi alla pro­spet­tiva di una per­dita di sta­tus, e la mito­lo­gia della tas­sa­zione unica al 15 per cento lan­ciata come magica rispo­sta al declino.

Anche se nella sua agenda sfuma sem­pre più il tema della dif­fe­ren­zia­zione ter­ri­to­riale interna e l’aggancio al nano­ca­pi­ta­li­smo del nord, la figura di Sal­vini con­serva però dei limiti espansivi.

Non può com­pe­tere come attore prin­ci­pale capace di sfon­dare nelle varie realtà del paese. Deve con­tare su una coa­li­zione ete­ro­ge­nea tanto nell’offerta poli­tica quanto nella coper­tura territoriale.

E qui affio­rano per lui i pro­blemi di con­vi­venza tra una radi­ca­lità anti­si­stema e la neces­sità di nego­zia­zioni con spez­zoni di ceto poli­tico in riti­rata. Il «cen­tra­vanti» ha biso­gno del «regi­sta» ma Ber­lu­sconi, che si è offerto per svol­gere que­sta deli­cata fun­zione, non sem­bra più avere la visione stra­te­gica richiesta

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