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Salvatore Settis
Salvare il territorio è l’opera più urgente
20 Agosto 2013
Generalia
L'Italia continua a perdere terreno. Anche fisicamente. Una nuova denuncia dei danni che uno "sviluppo" insensato provoca alla stessa consistenza materiale della Penisola, e che la miopia dei nostri governanti provoca e aggrava giorno dopo giorno.

La Repubblica, 20 agosto 2013, con postilla



MENTRE la crisi avanza, crescono disoccupazione e allarme sociale, ma a certe cose non si rinuncia: tatuaggi, cibi esotici, yacht, porti turistici e altri generi di prima necessità. E se qualcosa non funziona nel Bel Paese, non può che essere una fatalità. Che cosa di più “fatale” dell’erosione delle coste?

Guardiamo le coste, distogliamo lo sguardo dalretroterra il cui degrado è concausa dei loro problemi. Già nel 2009 allarmantidati Ispra hanno evidenziato che «in Italia due terzi (oltre il 65%) delterritorio compreso nella fascia di 10 Km dal mare (...) è modellato coninterventi sull’ambiente invasivi e irreversibili ». Questo «uso del territorionon rispettoso delle sue vocazioni naturali» ha provocato il collasso delledifese contro l’azione del mare, accelerato l’estinzione delle specie marineacclimatate, distrutto dune e pinete costiere, scacciato gli aironi dalle focidei fiumi, provocato danni per almeno cinque miliardi.

Erosione e rischio allagamento sono la norma in tuttala Penisola, e il moltiplicarsi dei porti turistici, spacciato per agente delbenessere, non fa che aggravare il problema, con la concomitante invasione dicemento che non è solo quello dei moli, ma delle infrastrutture, strade,parcheggi, centri commerciali, alberghi, zone residenziali. Nella sola Liguria,50 porti turistici con oltre 20.000 posti barca (ma è previsto un incrementodel 50%). In Calabria, secondo uno studio della Regione, 5.210 abusi edilizi in700 chilometri di costa, mediamente uno ogni 135 metri, di cui «54 all’internodi Aree Marine Protette, 421 in Siti d’interesse comunitario e 130 nelle Zone aprotezione speciale», incluse le aree archeologiche.

Ma la vulnerabilità delle coste non può esser isolatadalle altre fragilità del nostro territorio. Mezzo milione le frane censite,che interessano il 10 % del Paese (anche in prossimità delle coste): un degradovelocizzato dall’abbandono degli spazi rurali, da incendi boschivi spessodolosi, dalla cementificazione che sigillando i suoli accresce la probabilitàdi alluvioni e ne rende più gravi gli effetti, dall’incuria per il regime delleacque, che riduce le risorse idriche e contribuisce a generare esondazioni.Alla cementificazione delle coste corrisponde la desertificazione di colline emontagne, l’abbandono di suolo agricolo e di risorse idriche, l’abbattimento diboschi e pinete che fragilizza il territorio alterando gli equilibri tettonici.La famosa definizione della Calabria come «uno sfasciume pendulo sul mare»(Giustino Fortunato, 1904) non solo è ancora attuale, ma a ogni anno che passasi applica a porzioni crescenti dei nostri litorali: e questo in un territoriocome quello italiano, esposto per morfologia anche ad altre calamità, come i terremotie le eruzioni vulcaniche. Eppure chi ci governa si acceca per non vedere.

Massimo esempio, Giampilieri presso Messina: dopo un’alluvione con 38 morti,Bertolaso (sottosegretario con Berlusconi) dichiarò prontamente che eraimpossibile trovare due miliardi per mettere in sicurezza le franose spondedello Stretto, per giunta soggette a sismi di massima violenza (l’ultimo, nel1908, seguito da tsunami: 120.000 morti); due giorni dopo il ministrodell’Ambiente Prestigiacomo dichiarò che il Ponte sullo Stretto andava fatto adogni costo. In nome dello “sviluppo”, inteso come cementificazione a oltranza,la cura del territorio viene archiviata come un optional di lusso.

Un caso recente può simboleggiare quanto staaccadendo, e stavolta in una regione che passa per essere (e forse è) la più“virtuosa”, la Toscana: il fiume Cecina, la sua valle (che è, o era, fra le piùbelle d’Italia) e la sua foce. Il 4 luglio la Procura di Livorno hariconosciuto che almeno fino al 2011 la Solvay (che usa a scopi industrialiquasi il 50% dell’acqua del Cecina) ha riversato in mare fanghi tossici inmisura doppia a quanto consentito: le cosiddette “spiagge bianche” devono illoro colore, a quanto pare, a componenti chimiche dannose. Intanto la foce delfiume viene spostata, annientando spiagge e pinete per costruire l’invaso di unennesimo porto turistico con 800 posti barca, 2000 posti auto, un eliporto,alberghi, appartamenti, centri commerciali, ristoranti, mercati («Arriva ilporto e sparisce mezza spiaggia» titolava il Tirreno l’11 agosto).

Secondo uno studio di Italia Nostra, questa violentatrasformazione dell’area «favorità il deposito di detriti, l’insabbiamentodella foce, l’alluvionamento degli abitati di Marina di Cecina in occasionedelle piene ordinarie, l’impedimento del deflusso a mare delle acquesuperficiali e sotterranee, il rigurgito delle acque e l’impaludamento dellezone interne, la totale alterazione dell’ecosistema di foce».
Davanti a questied altri delitti, si sveglierà il governo Letta? O dovremo continuare a subire,come nella successione indolore da Clini-direttore generale a Clini-ministro,la retorica provinciale che ribattezza il litorale con l’etichetta diwaterfront per potervi meglio infierire al riparo di una parola d’accatto?Quando capiremo che il principale nemico della sicurezza del nostro territorioè il cemento che giorno e notte (feste incluse) divora 8 metri quadrati disuolo al secondo? Quando verrà in mente a chi ci governa che è urgentissimo unpiano nazionale di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio? Chequesta, e non i porti turistici né il Tav, è l’unica, la vera “grande opera” dicui l’Italia ha bisogno? Con le parole di Giovanni Urbani, grande direttoredell’Istituto Centrale per il Restauro, «ci vorrebbe assai poco, una voltasaputo che metà della nazione è esposta a gravi rischi, per proiettare suquesta scala le perdite subite a ogni evento, e calcolare il corrispettivodanno economico che incombe sulla penisola ove persistesse, come purtroppocertamente persisterà, l’assenza di ogni politica di difesa del suolo e diconsolidamento preventivo dell’edilizia storica».

Postilla

Tout se tient, tutto si tiene insieme Varrebbe la pena di valutare corrispondenze ancora più dirette da quelle evocate dall’articolo di Settis tra l’erosione delle spiagge e lo “sviluppo” basato sulla continua espansione delle costruzioni e delle infrastrutture. In molte zone dell’Italia l’erosione è direttamente correlata all’asporto dei materiali inerti dai corsi d’acqua, necessaria per la formazione del cemento armato. Le cause del degrado del Belpaese sono certamente molte. Esse hanno un’ampia radice comune; vorrei sottolineare che tra i suoi rami c’è anche l’abbandono del metodo e degli strumenti della pianificazione, sia di quella “generale” (piani urbanistici comunali e piani territoriali regionali e provinciali) sia “specialistica” (piani di bacino e piani paesaggistici ( di competenza regionale e statale)
A proposito di tutela del paesaggio e dell’ambiente voglio sottolineare infine come l’opinione pubblica sia tenuta all’oscuro di un’azione che si sta perpetrando per il degrado di una costa (quella della Sardegna) fino a oggi ancora tutelata dalla saggia ed efficace pianificazione paesaggistica attuata dalla giunta di Renato Soru in accordo con gli organi satali competenti, che l’attuale giunta regionale, con la complicità di altre forze politiche, sta tentando fin dal suo insediamento. Nel silenzio non solo dei media ma, finora, perfino dal competenti organi dello Stato. (si veda in proposito, tra i numerosi materiali pubblicati su eddyburg, il recente intervento di Elio Garzillo, già direttore regionale del Mibac per la Sardegna).

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