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Romano Prodi
Romano Prodi «Volevo pacificare la Libia, mi dissero no e ora c’è l’Isis»
1 Dicembre 2015
Articoli del 2015
Romano Prodi, intervistato da Giampiero Calapà, commenta la decisione dell'Isis di stabilire la sua capitale in Libia raccontando come la guerra contro Gheddafi del 2011 sia stata “una scelta incomprensibile”.
Romano Prodi, intervistato da Giampiero Calapà, commenta la decisione dell'Isis di stabilire la sua capitale in Libia raccontando come la guerra contro Gheddafi del 2011 sia stata “una scelta incomprensibile”.

Il Fatto Quotidiano, 1 dicembre 2015

Ha un grande rammarico Romano Prodi in questi giorni, non è il Quirinale né Palazzo Chigi: “Avrei voluto finire la mia attività aiutando un processo di pace, ma non mi è stato possibile. Forse avrei potuto concretamente dare una mano per tentare di portare la pace in Libia ma non mi è stato permesso”. Nel suo sobrio ufficio, alla Fondazione per la cooperazione dei popoli, a Bologna, legge con preoccupazione le notizie su Sirte e sul tentativo di spostare la capitale del Califfato del terrore da Raqqa, Siria, in Libia, a soli 600 chilometri dalla Sicilia: “Avrei davvero voluto lavorare per impedirlo, ma non me lo hanno permesso”.

Per il New York Times l’intero gruppo dirigente dell’Isis in Libia viene dall’estero, da Siria e Iraq… com’è stato possibile permetterglielo?
«Non mi stupisce: Sirte è strutturata per essere sede di un potere centrale, non per niente è stato l’ultimo bastione di Gheddafi. E ha un alto valore simbolico proprio perché era la capitale reale del Colonnello, la città degli incontri bilaterali, delle strette di mano che contavano. L’Isis, a parte Siria e Iraq, ha almeno altre due grandi aree territoriali nelle sue mani che sono il Sahel, a sud della Libia, e il Sinai. Ricordo che quando facevo il giro delle “sette chiese” come inviato Onu per chiedere risorse per il Sahel, l’unico Paese che manifestò la sua opposizione all’argine francese contro i jihadisti fu l’Egitto governato in quel momento dai Fratelli musulmani».

Come andò?
«L’allora presidente Morsi in un colloquio mi disse che quella francese in Mali era una guerra coloniale, poi prima di salutarmi, però, preoccupato mi chiese: “Pensa che i terroristi del Sahel possano arrivare nel Sinai?”. Gli risposi che non lo sapevo ma che sapevo bene che quantità grandi di armi si spostavano in Egitto dalla Libia. L’arsenale di Gheddafi ha fornito armi a tutti: gli esperti dell’Onu parlavano di 4 milioni di kalashnikov. La guerra di Libia è stata un totale disastro».

Quella guerra, nel 2011, fu voluta fortemente anche da Giorgio Napolitano.
«Non so chi l’abbia voluta perché non ero io al potere. So solo che è incomprensibile e incompreso come l’Italia abbia potuto prendere una decisione di quel tipoı.

La consultarono?
«Mai stato consultato né prima né durante né dopo».

Intanto in Siria le bombe russe colpiscono mercati, case di civili… La strategia di Putin è quella giusta?
«No. I bombardamenti possono essere uno strumento provvisorio ma non ricordo una volta in cui siano davvero serviti a portare la pace. E continuo a non comprendere perché si bombardino le città e non i pozzi e le auto-cisterne. Vorrei ricordare che, Russia a parte, sul fronte Nato il 70 per cento dei bombardamenti rimane americano in Siria e Iraq, questo nonostante l’esposizione e l’impegno della Francia».

E il regime di Erdogan in Turchia incassa 3 miliardi di euro dall’Ue per sigillare i confini ai profughi.
«Era l’unica carta in mano agli europei, a cominciare dalla Merkel, per tenere a bada le tensioni interne che possono derivare da un flusso incontrollato di migranti. Una carta, però, giocata in modo spregiudicato. È un errore mettere questo discorso insieme a quello dell’ingresso della Turchia in Europa. Motivare una decisione così seria e importante che prosegue da anni su un’emergenza è sbagliato. Le due cose non vanno messe assieme e si facciano procedere i negoziati secondo le sacre regole dei negoziati stessi».

L’Isis ha bilanci più floridi di molti Paesi arabi.
«La metà di quella ricchezza arriva dal petrolio, il resto da estorsioni, traffico di esseri umani e dall’esercizio di un’autorità statale. Poi ci sono i finanziamenti che passano per fondazioni dei paesi dell’area del Golfo Persico».

Putin, Erdogan, sauditi, Iran, Assad, Hezbollah: chi i nemici e chi gli amici?
«Quando si sbaglia la prima volta, penso alla guerra tra l’Iraq e l’Iran, si continua a sbagliare, errore dopo errore, fino alle guerre a Saddam e Gheddafi. Tutti contro tutti: c’è una vignetta di Kal sull’ultimo numero dell’Economist che rende bene l’idea».

La guerra a Saddam nel 2003. Si racconta di un G8 con un furibondo scontro a cena tra Blair e Putin…
«Putin si alzò dal tavolo e gridò a Blair: “You are not God” (tu non sei dio). Vede, la guerra in Iraq spaccò l’Europa, frantumò tutte le alleanze. Io dovetti rinunciare al secondo mandato alla presidenza della Commissione europea. Ascoltare oggi Blair scusarsi perché quelle maledette armi di distruzione di massa non esistevano lascia un peso enorme».

L’Europa esclusa da Israele per i colloqui di pace. Tel Aviv procederà solo con bilaterali con Regno Unito, Francia e Germania. Italia neppure citata. Siamo irrilevanti?
«Israele pensa non sia importante trattare con l’Italia, è più che essere irrilevanti. Nonostante la nostra natura di Paese del Mediterraneo. È un segno di ingratitudine: tra l’altro le nostre forze armate proteggono i loro confini in Libano. Il discorso così filoisraeliano di Renzi a Gerusalemme nel luglio scorso pensavo che sarebbe servito. Il conflitto israelo-palestinese rimane l’origine e la madre di tutti i conflitti, ma finché al governo di Israele ci sarà Netanyahu la pace è impossibile».

Intanto in Francia crescono i consensi per Marine Le Pen. È più pericolosa lei di suo padre Jean-Marie?
«Sì, perché il padre le elezioni le perdeva. Adesso il Front national al populismo di destra (legge, ordine e xenofobia) unisce quello anticasta di sinistra e per farlo Marine ha ucciso politicamente il padre».

Gli Usa hanno “allertato” i loro concittadini in Italia a stare lontani da Colosseo, Vaticano e Scala di Milano.
«È isteria collettiva, dopo l’11 settembre non abbiamo sconsigliato i viaggi in America. Serve un rafforzamento dell’intelligence, questo sì: ci vorrebbe un’autorità di coordinamento europea e ne avrebbe bisogno proprio la Francia, che si è sempre opposta a esercito e difesa europea comune».

Che effetto le fa la Capitale d’Italia commissariata nell’anno del Giubileo?
«Mi ha scioccato molto. Ma il Giubileo, come l’apertura della Porta Santa a Bangui in Centrafrica mostra, non è un fatto solo romano e va oltre l’esistenza di un sindaco. L’immagine di Roma nel mondo, purtroppo, peggio di così non può essere, non possiamo che risalire».

Per il ministro Padoan la mancata crescita economica e le stime al ribasso sono colpa dell’Isis. È possibile?
«Già alla vigilia della strage di Parigi c’erano segnali di allarme. Mi hanno perciò un poco sorpreso le dichiarazioni del ministro Padoan che, in un certo senso, mettono le mani avanti riguardo a un possibile peggioramento dell’economia. Spero che non abbia notizie ancora più cattive. Io ritengo poco probabile che eventi pur così tragici possano avere conseguenze molto negative sull’economi».

Non ha più rinnovato la tessera del Pd?
«Da tre anni ormai».

Molti militanti l’hanno seguita, pare che l’emorragia di tessere non si fermi.
«Un partito è fatto per dibattere e discutere, il calo delle tessere dipende dal calo politico, non ne è la causa».

Cosa vuol fare da grande, Professore?
«Quello che faccio adesso. Sono fuori dalla politica ma posso permettermi il lusso di tenere contatti in giro per il mondo e parlare ai giovani e ai meno giovani di quello che sta accadendo. La rottamazione non mi ha preoccupato perché se sono stato rottamato può volere dire che ero fatto di ferro. Se fossi stato di legno mi avrebbero o segato o bruciato. Ma mai rottamato».

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