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Renato Nicolini
Roma, una città in stato confusionale
10 Aprile 2010
Roma
A Roma, come altrove, "Il futuro delle città non si può certo delegare al firmamento degli architetti". il manifesto, 10 aprile 2010

Perché il comune di Roma ha riunito archistar come Piano, Richard Meier, Calatrava e Fuksas (incluso Krier, escluso malgrado le sue proteste quel Salingaros che vuole costruire settant'anni dopo l'arco di Libera come porta dell'Eur...), all'Auditorium per parlare del futuro di Roma? In un presente predisposto al servilismo nei confronti del potere, abbiamo così perso l'abitudine al progetto da confondere i ruoli. Il futuro delle città non si può certo delegare al firmamento degli architetti. Questi possono dare forma a un'idea di città, che però nasce da scelte che sono di esclusiva pertinenza dei cittadini attraverso le forme della democrazia. Sempre che non si voglia confondere il Sindaco col Papa Re, chiamando a raccolta gli architetti del Principe. La debolezza di un'idea del futuro della città, com'è quella che si sta faticosamente assemblando dal Campidoglio tra Formula 1 all'Eur, Velodromi fatti saltare con la dinamite e una serie d'interventi ciascuno chiuso nel proprio recinto (questo hanno in comune Nuvola, Maxxi, Città dello Sport, Ara Pacis...) si riflette nell'architettura. L'architetto è come una spugna, assorbe quello che lo circonda: per questo la chiesa romana di Meier è superiore alla Teca dell'Ara Pacis, conosciuta dai tassisti come Museo Valentino, nella cui forma insicura l'esperto può ritrovare i tentennamenti capitolini. Non aiutano i dieci quesiti, a metà tra il burocratese e i cartigli dei Baci Perugina, proposti agli illustri invitati. Ecco svelato l'arcano! La riunione serviva da scenografia per annunciare che Richard Meier acconsente alla richiesta di modifiche alla teca dell'Ara Pacis, cancellando il muretto che si sovrappone alla visione delle facciate di San Rocco e San Girolamo.

Si può capire Alemanno, che le elezioni regionali hanno avvisato di una crisi nel rapporto con quell'elettorato che - un po' per caso un po' per protesta - lo ha spedito in Campidoglio... Appena eletto aveva dichiarato che avrebbe demolito l'Ara Pacis, ed adesso ha qualcosa per il piccone ... Si capisce meno il masochista Meier, che ha definito «stupenda» l'idea... Paolo Berdini ha messo in evidenza la ragione urbanistica - al di là delle dichiarazioni sul rapporto da recuperare tra Largo Augusto ed il Tevere, che certo non passa per poche decine di metri pedonalizzati - dei lavori annunciati. L'abbattimento del muretto distrae dalla realizzazione di un parcheggio sotterraneo, che dovrebbe sostituire quello abortito del Pincio, in una posizione inopportuna se non si vuole rinunciare per sempre a un Lungotevere dolce, passeggiata restituita ai pedoni e percorsa al più da un tram, assolutamente diverso dall'attuale arteria di scorrimento veloce. Questa stupenda demolizione rappresenta anche, se non un'offesa architettonica a Roma, qualcosa forse di peggio, un borbonico facite ammuina.

L'Ara Pacis di Meier in sé è poca cosa - e dunque non ha molto da perdere da un'alterazione (anche se questo non giustifica il cinico realismo che Meier ha dimostrato in quest'occasione). Non c'è però soltanto l'Ara Pacis in questo luogo: c'è il Mausoleo d'Augusto, costruito in relazione precisa con il Pantheon, e che ha generato (come sembrano dimostrare le più recenti ricostruzioni archeologiche della sua forma), il Mausoleo di Adriano. Una sorta di triangolo ideale: Castel Sant'Angelo, Pantheon, Augusteo, di grande importanza per comprendere il senso della città. Largo Augusto Imperatore fin dalla sua realizzazione si è rivelato uno dei luoghi più deboli della Roma del Novecento fascista, dove è tanto forte il sentimento della perdita di ciò che è stato demolito (il vecchio Auditorium della Corea, dove ha diretto Gustav Mahler all'inizio del '900), quanto metafisicamente pesante il nuovo. Qualcuno ricorderà Dov'è la libertà di Roberto Rossellini. Totò interpreta la parte di un barbiere di via dei Pontefici, condannato all'ergastolo per aver tagliato la gola all'amante della moglie, scarcerato per buona condotta dopo quasi trent'anni, e che non ritrova più la città in cui era cresciuto in questa gelida esibizione di travertino e colonne. Per restituire senso al luogo, bisogna lavorare sulle relazioni, sul gioco delle sovrapposizioni temporali, con leggerezza, altro che paranoia dei dettagli! E c'è una questione di principio, la difesa del diritto d'autore dell'architetto, cioè della sua libertà d'immaginazione, minacciata dall'arroganza di una politica debole che vuole sembrare forte. Alemanno ha già imposto a Renzo Piano la formula vetro e travertino per il mezzo grattacielo annunziato all'Eur. Non andrebbe incoraggiato a indossare improprie vesti neroniane. Ne può guadagnare il mediocre teatrino della politica, non certo il futuro della città. Rischio il conflitto d'interessi, facendo parte del gruppo Cellini che ha vinto il concorso per il nuovo assetto di Largo Augusto. Per ridare carattere a questo luogo, oggi sospeso tra capolinea degli autobus ed interventi irrisolti, sarebbe molto più importante dare inizio al cantiere per la sua realizzazione, che non segare muretti.

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