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Antonio Castronovi
Roma tra passato e futuro
19 Novembre 2010
Roma
É difficile ma necessario «conciliare la necessità di difendere il lavoro con la critica a modelli produttivi insostenibili», come la situazione di Roma testimonia. Un commento all’eddytoriale 144 dalla Cgil del Lazio

Nel suo ultimo editoriale del 5 novembre 2010, Salzano affronta la questione del lavoro e del suo rapporto critico con l’attuale sistema economico, rilanciando il dibattito sollevato da Guido Viale sulle pagine del manifesto all’indomani dell’accordo separato alla Fiat di Pomigliano. Salzano conclude il suo editoriale rilanciando la proposta di un nuovo Piano del Lavoro affidando al sindacato e in particolare alla Cgil il compito e la responsabilità di costruire e guidare una strategia alternativa all’attuale modello di sviluppo. Si tratta di una sollecitazione impegnativa e condivisibile anche perchè non sono presenti all’orizzonte altri soggetti politici e sociali in grado di assumere si di sé il peso di una simile impresa. Senza sottacere per questo le difficoltà per un sindacato di lavoratori come la Cgil di conciliare la necessità di difendere il lavoro con la critica a modelli produttivi “insostenibili”, per mancanza di alternative immediate.

Uno dei terreni su cui esercitare la critica al vecchio modello di sviluppo e sperimentare una progettualità alternativa di una economia sostenibile è senza dubbio quello delle città e dello sviluppo locale. La Cgil di Roma e del Lazio si è posto da qualche anno il problema di un possibile futuro della città di Roma alternativo al suo modello tradizionale di sviluppo fondato sul blocco edilizio e sul turismo, che hanno innescato l’espansione urbana senza limiti della città, per sostenere e guidare un processo di cambiamento in grado di affrontare le grandi contraddizioni e le grandi sfide che i processi globali scaricano sulle città, sui territori e sulle comunità locali e che mettono a rischio la convivenza civile, la solidarietà sociale ed umana, la convivenza pacifica fra popoli, fedi ed etnie diverse. Si tratta di uno sforzo di elaborazione rintracciabile nel libro “Roma tra passato e futuro” di recente pubblicazione con l’Ediesse.

Roma è come sospesa tra un passato che non muore e una speranza di futuro che tarda a diventare realtà. La città è di fronte ad un bivio: interrompere e mettere fine ad un modello di sviluppo urbano estensivo che ha saccheggiato e impoverito le sue risorse ambientali, culturali, ed ecologiche prendendo con decisione la via della sostenibilità urbana, produttiva, ambientale, dell’innovazione energetica che spezzi il perverso rapporto instauratosi tra la rendita fondiaria, immobiliare e la finanza, oppure persistere nella logica del consumo di suolo, dell’edilizia speculativa, del turismo di massa mordi e fuggi concentrato nel centro storico, che desertifica le periferie, impoverisce la città mentre arricchisce una minoranza di speculatori ed affaristi.

A conclusione di un lungo ciclo di governo della città sotto il segno del Modello Roma che ha rivelato tutta la sua fragilità strategica e che non ha mutato il segno della qualità dello sviluppo della città, pur con alcune novità dal punto di vista della cura della sua immagine internazionale, non sono cambiati gli attori e i poteri che ne influenzano le scelte decisive. La nuova giunta di centro-destra si appoggia ancora al vecchio blocco di interessi ( edilizia, cemento e turismo), pur con alcuni tentativi di darsi un’immagine di “novità” che fa riferimento ai valori della ecologia urbana e alla cultura della sostenibilità, avvalendosi a tal fine della collaborazione di Jeremy Rifkin. Essa si esprime, soprattutto, attraverso una politica degli annunci che allude ad una “ Grande Trasformazione”: ne troviamo tracce nei lavori della Commissione Marzano, nel convegno con le Archistar, negli annunci reiterati del Piano Strategico per la Città, insieme a quelli della convocazione degli Stati Generali dell’Economia e degli Stati Generali della Città, ecc. Ma i suoi atti concreti e le sue attenzioni reali vanno in tutt’altra direzione: vedi i proclamati progetti sulla Formula 1 all’Eur; i Parchi Tematici; il bando per la realizzazione di alloggi nei Casali dell’Agro romano; il Water Front sul lungomare di Ostia; il consenso alla proposta di un secondo Grande Raccordo Anulare avanzata dall’Unione Industriali di Roma; l’idea di costruire grattacieli nelle periferie, poi ritirata e smentita; l’annuncio choc della demolizione di un intero quartiere di edilizia pubblica nella periferia, come Tor Bella Monaca, per affidarne la ricostruzione ai privati in una zona limitrofa, a “costo zero” per le casse comunali, in cambio di cubature; l’idea di affidare ancora ai privati sia i programmi di hausing sociale mentre ci sarebbe bisogno di costruire case popolari, e sia i projet financing per la costruzione delle metropolitane: tutto in cambio di suolo pubblico da valorizzare in una logica privatistica e speculativa. Che fine hanno fatto i propositi tanto sbandierati in campagna elettorale di mettere fine alla espansione edilizia della città, anche in polemica col Piano Regolatore appena approvato dalla Giunta Veltroni, per difendere l’Agro romano ed edificare una città sostenibile?

La direzione presa va da tutt’altra parte: verso un nuovo patto tra rendita e profitto, verso una grande privatizzazione delle risorse e dei beni pubblici e verso una città più insostenibile, come attesta anche la scelta di chiudere l’esperienza della Città dell’altra Economia nell’ex Mattatoio di Testaccio. La stessa idea della “Grande Roma”- fatta propria dal sindaco in contrasto con la prospettiva della costruzione dell’ area metropolitana in attuazione delle norme su Roma Capitale prevista dalla legge n.42 sul federalismo fiscale – rivela una concezione romanocentrica e non policentrica dello sviluppo urbano ed economico della regione. In questa visione a Roma, ma sarebbe più corretto dire al centro storico della città, rimarrebbe la funzione-guida progettuale, con le funzioni pregiate della direzionalità pubblica e privata e delle attività legata al turismo, mentre l’hinterland provinciale e regionale verrebbe ridotto alla funzione di una immensa periferia regionale, di una grande area di servizio per la Capitale, luogo dove si scaricano le sue contraddizioni non risolte: rom, campi nomadi, immigrati, discariche (anche illegali), inceneritori, logistica ( porti, interporti, magazzini, depositi, ecc.), le case a costi più bassi per i ceti più poveri della città e il conseguente traffico caotico.

La bozza di decreto sui poteri di Roma Capitale tradisce questa visione quando prevede una forte centralizzazione nel governo capitolino dei poteri in materia di urbanistica e di ambiente, spogliando la Regione e la Provincia delle loro prerogative, col risultato di provocare la rivolta delle altre province del Lazio. Si ripropone in sostanza la logica della polarizzazione sociale e territoriale della ricchezza e del benessere, con una regione “spezzata in due”, che in questi anni ha provocato l‘affermarsi delle disuguaglianze sociali che oggi vengono esaltate dalla crisi che colpisce, in particolare, le aree più periferiche della città e della regione, i ceti sociali urbani più deboli - i giovani, le donne, i disoccupati, i precari - e il mondo del lavoro.

Alla competitività esasperata e distruttiva tra territori, al dumping sociale e fiscale come regolatori dei rapporti tra stati, regioni e città, pensiamo vada contrapposta la cultura e la logica della cooperazione allo sviluppo tra città, tra regioni, tra stati, tra grandi meso-regioni, nella quale Roma e la Regione Lazio possono svolgere un ruolo di animatori e promotori di una nuova cooperazione euro-mediterranea.

Dalla crisi in atto si esce con nuova concezione e idea dello sviluppo e con un rinnovamento della democrazia e della partecipazione pubblica. E’ possibile un altro sviluppo per Roma e per la Regione, centrato sul policentrismo, sull’economia sostenibile socialmente orientata, sulle energie rinnovabili e sull’economia verde, sulla valorizzazione della città come bene pubblico, sul riconoscimento del capitale sociale e culturale di cui la città è ricca, sulla promozione e difesa dei beni comuni essenziali con guida pubblica delle imprese e dei servizi pubblici strategici ( salute, energia, acqua, ciclo dei rifiuti, mobilità, ecc.), sulla responsabilità sociale dell’impresa, sulla democrazia economica e sulla partecipazione dei lavoratori alle scelte e agli indirizzi sulla qualità dello sviluppo e su quella dei beni e servizi pubblici.

La Cgil vuole aiutare il processo di riappropriazione di un nuovo spazio pubblico oggi devastato da interessi privati e da una cultura egoista e consumistica che hanno saccheggiato la città, infranto regole e controlli di legalità, impoverito i ceti popolari e i lavoratori, accresciuta la mala pianta del razzismo popolare, mentre ha arricchito speculatori, affaristi senza scrupoli, proprietari di suolo, costruttori, immobiliaristi, albergatori, nonché l’economia criminale che alligna nella città e nel territorio regionale.

Antonio Castronovi è responsabile del Progetto politiche urbane della Cgil di Roma e del Lazio

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