La svolta arriva nella notte. Quando Silvio Berlusconi, sbarcato a Roma per cercare di sedare l’ennesima rivolta interna a Forza Italia, convoca Guido Bertolaso a palazzo Grazioli per comunicargli il suo fine corsa. Troppe le gaffe, disastrosi i sondaggi: tutti concordi nel condannare gli azzurri a morte certa, nella capitale e non solo. Continuare a insistere sull’ex capo della Protezione civile sarebbe stato un suicidio. Mr emergenze prova a resistere, in fondo gli era già accaduto di incontrare “Silvio” per valutare il ritiro, ma quando capisce che è tutto inutile, pone un’unica condizione: che almeno si viri su Alfio Marchini, mai sulla “traditrice” Meloni. Esattamente ciò che l’ex Cavaliere voleva.
E così di buon mattino Berlusconi si predispone al suo ultimo colpo di scena. Prima convoca l’imprenditore del cuore, il simbolo della sua lista; con lui sigla l’intesa; insieme chiamano Storace per chiedergli di essere della partita; quindi, a cose fatte, riunisce i maggiorenti azzurri. Facendo diramare una nota in cui si spiega che «per vincere occorre una proposta unitaria delle forze moderate e liberali, con un forte spirito civico», per cui «con il dottor Bertolaso abbiamo deciso di fare nostra la candidatura dell’ingegner Alfio Marchini», che tra l’altro «non è una scelta nuova. Era la nostra prima opzione, caduta per i veti posti da un alleato della coalizione».
Parole chiare, che rendono l’onore delle armi all’uomo rimasto stritolato nella guerra fratricida in atto nel centrodestra (malinconico il twitt diffuso in serata, con foto di lui in Africa: «Resto in panchina ma a disposizione della mia città»); ricompattano una Fi sull’orlo della scissione; rilanciano il sogno di un grande centro che metta all’angolo l’ala lepenista di Meloni e Salvini. E infatti, come per incanto, la polifonia azzurra diventa coro. Intonato da Paolo Romani, capo della fronda del Nord: «Berlusconi si conferma leader e guida dell’intero centrodestra». Finanche Gianfranco Fini si complimenta per «aver reso possibile a Roma un‘alternativa alla sinistra che non sia né populista né demagogica».
Chi non la prende bene è Giorgia Meloni: «Fi sceglie di convergere sul candidato di Alfano, Casini e di quell’ex centrodestra che ama governare con Renzi. Vogliono aiutare il Pd ad arrivare al ballottaggio nella città in cui il premier è più in difficoltà. È il pattone del Nazareno ». A risponderle ci pensa Storace, pure lui in procinto di sostenere Marchini: «Ora ritirati e riuniamo la coalizione come a Milano. Altrimenti sei tu che aiuti Renzi». A godere è il candidato dem Roberto Giachetti: «Io non temo nessuno, sono consapevole della mia forza».