Roma, 15 dicembre, ex-albergo Bologna: presentazione del volume su La controriforma urbanistica, pubblicato da Alinea, Firenze.
Ne discutono, con attenzioni diverse, ma con valutazioni unanimemente critiche nel merito della legge Lupi, Paolo Berdini, Vezio De Lucia, Vittorio Emiliani, Maria Cristina Gibelli, Cesare Salvi, Patrizia Sentinelli, e Sauro Turroni
La sala è affollatissima di urbanisti, esponenti del mondo della cultura e della politica, amministratori.
M.G. Gibelli, che ha coordinato il volumetto, sottolinea le preoccupazioni da cui ha avuto origine la rapidissima messa a punto della pubblicazione: l’improvvisa accelerazione parlamentare su una legge urbanistica stesa in una forma approssimativa sotto molti aspetti; la disattenzione della stampa; il tentativo di far passare questa legge come bipartisan.
Ma è il clima generale in cui si è sviluppato il dibattito sulla legge Lupi uno dei motivi di maggiore preoccupazione per gli autori del volume collettaneo.
A questo aspetto Gibelli dedica alcune riflessioni introduttive. Sembra infatti che attualmente “un nuovo spettro si aggiri per l’Italia”: si tratta dello spettro del piano che non soltanto viene spesso evocato dalla maggioranza di centro-destra, e in particolare dall’onorevole Lupi, come il principale responsabile del “fallimento” delle nostre città, ma che sembra turbare i sonni anche di molti urbanisti.
In realtà, sottolinea Gibelli, siamo di fronte alla ennesima anomalia nazionale: in giro per l’Europa, lo spettro del piano non sembra incutere soverchio timore; anzi, si sta assistendo ad un rinnovato impegno riformatore e ad un deciso ritorno alle regole, dopo le esperienze deregolative degli anni ‘80/primi anni ’90: anche se le regole vengono ovunque riattualizzate sulla base delle problematiche e delle sfide emergenti.
Gli esempi non mancano. Traendo spunto da due leggi recentissime (la legge “Solidarité et rénouvellement urbains” approvata in Francia nel 2000, durante il governo Jospin, e la Ley de urbanismo para el fomento de la vivienda asequible, e la sostenibilidad territoriale y de la autonomìa local approvata dal governo socialista catalano nel 2005), Gibelli sottolinea la distanza siderale di queste leggi dalla “via italiana” alla riforma urbanistica. .
Si tratta infatti di leggi che affrontano alcun problemi che sono cruciali anche per il nostro paese (l’eccessivo consumo di suolo, la crescente doppia velocità urbana, la debolezza della pianificazione di inquadramento di area vasta,…), e che propongono con coerenza principi volti a dotare i poteri pubblici dei nuovi strumenti necessari per orientare l’attività di pianificazione in difesa dell’interesse generale e, in particolare, per la razionale utilizzazione delle risorse territoriali e la solidarietà sociale. Entrambe le leggi introducono alcune innovative regole non contrattabili in materia di sostenibilità e di risposta alla domanda abitativa dei gruppi più deboli.
La legge Lupi, in evidente controtendenza con quanto sta avvenendo in Europa, sancisce invece un solo principio: la rinuncia al ruolo pubblico come garante del bene collettivo, e il primato del privato (poiché privilegia un modello negoziale senza regole, elitario, corporativo e non trasparente).
Prende poi la parola Vittorio Emiliani (giornalista) che sottolinea come nella Legge Lupi, così come in altre leggi e provvedimenti recentemente approvati, o in corso di approvazione (quali la scandalosa legge delega in materia di ambiente; la vendita delle spiagge demaniali ai privati, concedendo gli arenili pubblici più intatti a chi vi costruirà grandi alberghi contenuta in Finanziaria; il colpo basso inferto alla Legge Merloni in materia di garanzie di concorrenzialità e di trasparenza negli appalti, contenuto nel decreto legislativo che dovrà essere approvato entro il 31 gennaio prossimo) si materializzi un lucido e perverso progetto: non certo di semplificare e flessibilizzare in direzione virtuosa il processo decisionale in materia urbanistica e di pianificazione, ma di affidare il governo del territorio a pochi, grandi detentori di aree, in aperta contraddizione con le moderne esigenze di un capitalismo avanzato.
I dati sui consumi di suolo sono per Emiliani l’indicatore più allarmante: dagli anni ’50, abbiamo consumato, ricoprendolo di cemento, quasi il 40 per cento della superficie non urbanizzata al 1951; superiamo i 100.000 e talora i 200.000 ettari all’anno (un ritmo come minimo doppio di quello tedesco, il quale si attesta sui 47.000 ettari l'anno).
E la legge Lupi, che esalta le opportunità di nuova urbanizzazione, se approvata è destinata ad accelerare questa tendenza perversa.
Paolo Berdini (urbanista) ritorna sul tema dei poteri forti e della esplosione della rendita, citando dati ANCE: dal 1998 al 2005 il valore degli immobili è cresciuto del 60%; e le responsabilità del governo Berlusconi sono state gravissime. Berdini cita lo scudo fiscale che ha consentito il rientro di 70.000 miliardi di lire, reinvestiti ampiamente nel settore immobiliare, in particolare dopo l’attentato alle torri gemelle; la vendita sistematica del patrimonio pubblico e degli enti previdenziali che ha prodotto l’esodo forzato di 300.000 famiglie dalle città; l’infinita serie di condoni, non solo edilizi; il decreto sulla competitività che introduce la possibilità di aumenti di cubatura. La demolizione della pianificazione e il premio al malaffare vanno insieme, conclude Berdini, e il ritorno alle regole, anche se più trasparenti e snelle, dovrà costituire un impegno prioritario del centro-sinistra.
Vezio De Lucia, urbanista e uno degli autori ospitati nel volumetto, ripercorre le tappe più significative dell’urbanistica post-bellica: dalla legge urbanistica del 1942 alle riforme realizzate negli anni del primo centro-sinistra, quando si definirono alcune regole fondamentali per il governo del territorio. Si sofferma poi su alcuni contenuti particolarmente nefandi della proposta Lupi: l’incentivo insensato a favore di ulteriori consumi di suolo (Art. 6, comma 5); l’abrogazione degli standard urbanistici; la separazione della tutela, riservata allo Stato, dall’ordinaria attività di pianificazione comunale .
La parola passa ai politici.
Cesare Salvi, vicepresidente del Senato, dichiara immediatamente di considerare la legge Lupi non emendabile, poiché tira le fila del peggio di un’onda lunga di restaurazione (iniziata con la stroncatura della Legge Sullo) che nel nostro paese ha senza tregua trasferito risorse imponenti a favore della rendita parassitaria.
Patrizia Sentinelli, della direzione del PRC, fa un intervento appassionato: elogia l’iniziativa collettiva che ha reso possibile il volumetto su “La controriforma urbanistica” poiché ha colmato un preoccupante vuoto di riflessione critica e sottolinea in particolare l’alibi fornito alle amministrazioni locali dal taglio drastico delle risorse finanziarie. A fronte di risorse sempre più scarse, le amministrazioni in difficoltà hanno scelto la strada della privatizzazione dei servizi pubblici e della perequazione urbanistica.
La Legge Lupi, anche se non verrà approvata, sottolinea Sentinelli, va analizzata anche per il “dopo”, poiché legittima un disegno perverso che si è manifestato anche in alcune leggi urbanistiche regionali già approvate o in alcune proposte attualmente in discussione (il riferimento va alla legge del Lazio). Si tratta di leggi che introducono il principio dello “scambio di cubatura”: un principio perverso, destinato a peggiorare la vita dei cittadini.
In questo senso la battaglia contro la legge Lupi costituisce un momento di importanza fondamentale per la politica.
Conclude Sauro Turroni (Senatore e Vicepresidente dalla Commissione Territorio, ambiente, beni ambientali) che riferisce dei lavori della Commissione, delle audizioni in corso e della possibilità che i tempi tecnici impediscano di arrivare all’approvazione della legge Lupi durante la legislatura.
Due sono le considerazioni avanzate da Turroni: la prima è che la Legge Lupi affonda le sue radici in anni relativamente lontani. Il riferimento è alla legge 142/1990 che ha legittimato gli accordi di programma come metodo ordinario di governo del territorio; la seconda riguarda la propensione a “fare cassa” che condiziona le politiche urbanistiche comunali. E’ con l’ introduzione del principio di autoapprovazione dei piani urbanistici locali, che ha interpretato in maniera opportunista, localista, di malinteso federalismo il principio di sussidiarietà, che tale propensione a “fare cassa” ha prevalso sui temi cruciali del cauto consumo delle risorse territoriali e della coesione sociale.
Mentre si svolge l’incontro, Turroni riceve una telefonata: il governo ha approvato l’ennesimo condono edilizio (questa volta per le proprietà delle Ferrovie dello stato)…