Il piano regolatore di Roma è stato approvato in via definitiva martedì scorso. Negli stessi giorni è stata avanzata la candidatura a sindaco di Francesco Rutelli. Potrebbe dunque essere proprio colui che ha ispirato l'intera urbanistica romana a dover gestire il nuovo piano. O meglio, la parte non ancora attuata: è noto infatti che attraverso il disinvolto uso dell'accordo di programma il piano è già stato attuato al 50% delle sue previsioni pur essendo approvato da soli quattro giorni. E' il cosiddetto «modello romano».
Modello che in urbanistica si basa su un impianto teorico inaccettabile. Con il Piano delle certezze del 1997 si affermò che non si poteva tagliare nessuna previsione urbanistica. Nacquero i «diritti edificatori» che dovevano essere obbligatoriamente «compensati». Con questi due sciagurati istituti si è inaugurato un devastante meccanismo incrementale della crescita urbana. Il caso del comprensorio di Tormarancia è esemplare. Erano previsti 1 milione e ottocentomila metri cubi: alla fine delle compensazioni sono diventati 5,2 milioni!
Che farà dunque il Rutelli redivivo? Continuerà lungo la china rovinosa che ha portato al più violento sacco urbanistico mai subito dalla città o aprirà un percorso critico che ribalti la concezione liberista dell'urbanistica romana? Molta parte di questa scelta dipende dalla capacità politica della sinistra. E' urgente ricominciare a ragionare sul futuro della città. Dal 1991 ad oggi circa 300.000 abitanti sono andati a vivere fuori dalla cintura metropolitana di Roma mentre i luoghi di lavoro si concentrano nel centro storico, nei quartieri della prima periferia e all'Eur. Ogni giorno 800 mila persone sono costrette a un estenuante pendolarismo. Inoltre, al posto di chi è andato via vivono a Roma oltre 400 mila stranieri, in balia del «mercato» e costretti a finanziare un imponente fenomeno di affitti sommersi: non si trova un posto letto a meno di 400 euro al mese. Una stanza vale oltre 600 euro. E intanto le case popolari non si costruiscono più. Tutto ciò è accettabile dalla sinistra?
Passiamo alle «perle» del piano regolatore. Il piano, ci viene detto, «tutela 88 mila ettari di territorio di Roma, due terzi dei 129 mila ettari complessivi». Bello, no? Ma non è vero. E' lo stesso comune di Roma ad aver certificato che già nel 2004 il cemento e l'asfalto coprivano 46 mila ettari. Dunque già prima che il piano fosse approvato la tutela riguardava meno dei due terzi del territorio. Il piano poi prevede la costruzione di 70 milioni di metri cubi di cemento. Una stima prudente dice che verranno consumati almeno 15mila ettari di agro. La metà del territorio di Roma sarà dunque coperta di cemento e si continua senza pudore a dire che i due terzi sono tutelati. Ancora. Per giustificare il diluvio di cemento (70 milioni di metri cubi per una città che non cresce da vent'anni) si dice che il vecchio piano prevedeva ben 120 milioni di metri cubi e che pertanto ne sono stati tagliati 50. Non è vero. Il calcolo è stato effettuato sommando tutte le cubature lì previste, quelle private e quelle pubbliche. In un piano «pubblicistico» come quello del 1965 erano previsti ben 9.000 ettari di servizi pubblici: 180 milioni di metri cubi. Et voilà i 120 milioni di residuo: scuole e ospedali sono stati considerati come abitazioni private!
Ci viene ancora detto che con le «centralità» si porterà finalmente nelle periferie la qualità che manca. La prima vera occasione è di pochi anni fa. I proprietari delle aree di Bufalotta sottoscrivono un contratto con il comune di Roma in cui si impegnano a realizzare una delle mitiche centralità. Tre milioni di metri cubi equamente suddivisi in commerciale, residenziale e terziario. Nei due anni trascorsi sono stati realizzati i primi due segmenti del nuovo quartiere. Era arrivata l'ora degli uffici e della qualità. Ma il «mercato» non tira e i proprietari chiedono al comune di trasformare le previsioni di uffici in abitazioni. Le regole non si cambiano durante la partita. Eppure nel novembre 2007 la giunta comunale di Roma ha deciso di accettare quella proposta indecente. E così facendo ha gettato a mare l'intero impianto del piano regolatore! Alle tante menzogne che sono state accreditate in questi anni, anche l'autore del piano, Giuseppe Campos Venuti, ha aggiunto un'ultima vergogna affermando (all'Unità) che anche Antonio Cederna aveva tessuto le lodi del piano. Ma i primi elaborati del nuovo piano sono stati resi pubblici nel 1998. Cederna ci aveva lasciato da due anni. Uno spudorato falso, dunque, per strumentalizzare la memoria di un galantuomo che ha speso la vita a difendere Roma dagli assalti della speculazione.
Se la sinistra arcobaleno pensa di stringere un patto elettorale con Rutelli, sarà bene chiarire che occorre una radicale inversione di marcia: la fine del sacco urbanistico di Roma.