Quello che è stato bloccato dalla partecipazione popolare vorrebbero reintrodurlo. Vorrebbe reintrodurlo un assessore regionale dei diesse. Il soggetto? La possibilità di edificare migliaia e migliaia di metri cubi. La possibilità, per la rendita immobiliare, per gli speculatori di continuare ad inventarsi case, supermercati, interi quartieri. A Roma, nelle zone periferiche di Roma. I giornali in questi giorni, soprattutto nelle pagine locali, sono pieni di titoli e notizie sulle difficoltà che su questo tema stanno incontrando le maggioranze dell’Unione che governano la capitale, la sua Provincia e il Lazio. Qualcuno ha anche scritto che Rifondazione sarebbe stata ad un passo dal ritirare i propri assessori.
Comunque sia, Rifondazione ha deciso di puntare i piedi. Ed ecco perché. Tutto comincia nel 2002, con l’avvio dell’iter legislativo sul nuovo piano regolatore di Roma. Rifondazione, assieme ad altri pezzi della sinistra ma soprattutto assieme ai movimenti e alle organizzazioni di base, riesce ad imporre che quel documento sia discusso davvero nella città e dalla città. Ed è un metodo che paga. Perché la partecipazione delle persone e delle associazioni riesce a modificare il progetto di crescita della città. Per capire: viene cancellato dal piano regolatore quel meccanismo che si chiama della «compensazione».
Due parole per spiegarlo, anche se il termine tecnico già fa intuire di che si tratta. Esistono casi - e in una città come Roma ne esistono innumerevoli - nei quali una zona viene vincolata: a verde, a servizi, eccetera. I proprietari di quei terreni «vincolati» potrebbero però vantare dei diritti a costruire. Ad edificare. Si ricorre così - meglio: si ricorreva - alla «compensazione »: i titolari delle zone in questione rinunciano alle loro pretese, in cambio della possibilità di costruire altrove.
Una pratica che ha permesso di governare l’emergenza urbanistica, che ha anche permesso di garantire una crescita della qualità abitativa ma che certo non può essere il metodo del futuro. Proprio per questo, la discusssione partecipata del piano regolatore ha imposto lo stop alla logica della «compensazione ». Si disse che da allora in poi a quello scambio non si sarebbe più fatto ricorso. Qualora fosse stato necessario si sarebbero utilizzati i normali strumenti previsti dalle leggi, a cominciare dall’esproprio. Fu questo l’impegno preso da tutte le forze della coalizione. Si fissò un tetto (e non piccolo): sessanta milioni di metri cubi. Oltre quella cifra, non si sarebbe più potuto edificare nulla nella capitale: nè una casa, nè un hotel, nè un garage.
Qualcuno - nella città di Caltagirone - la prese a male. E non si rassegnò. E si arriva così a qualche settimana fa. Quando l’assessore all’urbanistica, e vice presidente della giunta regionale, Massimo Pompili, diessino, annuncia in una conferenza stampa, che sarà reintrodotto il metodo della «compensazione ». Quello scambio, insomma, che offre ai palazzinari la possibilità di continuare a costruire. Il tutto, viene presentato dentro un pacchetto di norme che un po’ pomposamente viene chiamato «poteri speciali per Roma ». Ma che in realtà si occupa quasi solo di urbanistica, di leggi urbanistiche. E dentro questo progetto, fatto precedere da un lungo ragionamento sulla necessità di velocizzare le procedure per la discussione e l’applicazione dei piani regolatori, ecco quello che ormai tutti conoscono come il «famigerato articolo 3». Nè più, nè meno che ciò che la consultazione popolare era riuscito a cacciare: la possibilità per i costruttori di accedere alla «compensazione». Attenzione anche alla scelta dei tempi. Il Comune proprio in queste settimane sta discutendo delle «controdeduzioni» - come si chiamano - delle varie critiche e controproposte al piano regolatore della città (lo prevede l’iter per la definitiva approvazione). E un progetto come quello del vice di Marrazzo ha subito riaperto il cuore alla speranza di chi vuole continuare ad edificare. Perché quell’articolo si tradurrebbe concretamente nella possibilità di costruire altri milioni di metri cubi.
Il tutto, lo si diceva, presentato in conferenza stampa. Senza che Pompili ne avesse informato i partiti alleati. Sicuramente non Rifondazione. Da qui, i toni duri, aspri dei giorni scorsi. Che comunque, un risultato l’hanno raggiunto. Chi sa delle vicende amministrative di Roma e dintorni dice che gli stessi diessini sono alla ricerca di una via d’uscita e che comunque quel testo non sarà presentato così alla giunta regionale.
Ma resta lo «strappo». «E sia chiaro - dice Patrizia Sentinelli, capogruppo di Rifondazione in Campidoglio - ci possiamo anche trovare d’accordo sulla necessità di snellire le procedure. Ma altra storia è quell’articolo 3. Quello riaprirebbe la corsa alla stagione dell’urbanistica “contrattata” che negli anni scorsi ha favorito solo le speculazioni edilizie e le rendite finanziarie». Che è esattamente lo stesso obiettivo che, su più larga scala, si è proposta la destra al governo del paese, con l’altrettanto famigerata legge Lupi. E vanno fermate l’una e l’altra.
s. b.
Nell’articolo si afferma, riportando un’opinione corrente, che i proprietari vincolati “potrebbero però vantare dei diritti a costruire” se il precedente PRG glielo avesse consentito. E’ una balla, diffusa dai redattori e dai propagandisti del PRG. Qualunque giurista serio (o solo informato) sa che non è vero. A meno che non siano stati rilasciati atti abilitativi (concessioni edilizie o simili) nessuna previsione di edificabilità prevista da un piano regolatore generale, e perfino da un piaino di lottizzazione già convenzionato, comporta oneri per il comune in caso che, motivatamente, la modifichi con un piano successivo. Proprio in occasione del PRG di Roma feci una piccola ricerca, che autorevoli giuristi hano convalidato e che nessuno ha contestato: eccola qui.
Qui il documento che ha aperto le critiche (e le correzioni) al PRG di Roma. E qui altri documenti sul recente PRG di Roma