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Rivolta nella Banlieu Padana
14 Febbraio 2010
Dal Corriere della Sera e la Repubblica, 14 febbraio 2010, il disastro sociale (e urbanistico) delle nostre città, che esplode. Siamo solo all’inizio? (f.b.)

la Repubblica ed. Milano

Via Padova, rivolta nella banlieu

di Oriana Liso e Franco Vanni

L´omicidio di un giovane egiziano di 20 anni scatena la rivolta nella banlieue di via Padova. Gli africani sono scesi in strada, hanno rovesciato auto, spaccato vetrine e scatenato una vera e propria caccia ai sudamericani, ritenuti autori del delitto. E l´estrema periferia di Milano ha vissuto una serata di guerriglia, con polizia e vigili che hanno faticato a placare la rabbia degli egiziani e, a un certo punto, anche delle famiglie italiane che hanno cominciato a lanciare oggetti dalle finestre per invitare gli extracomunitari ad andarsene. I residenti accusano: «Avevamo segnalato lo stato di tensione tra i diversi gruppi etnici, ma nessuno è intervenuto».

Aveva trovato casa proprio ieri in via Arquà, a pochi passi da dove è morto. Ahmed Abdel Aziz el Sayed Abdou, nato nel ‘90 ad Al Sharkia, in Egitto, era arrivato in Italia da clandestino quattro anni fa. Lavorava come pizzaiolo e venerdì aveva finalmente ottenuto il permesso di soggiorno. I suoi amici, ma anche centinaia di nordafricani, ieri sera in via Padova, hanno deciso che rivolevano il suo corpo, non volevano lasciarlo agli italiani. Volevano quello e volevano vendetta, una vendetta cieca, contro tutto e tutti: così è partito l´incendio di via Padova, ieri sera. Con i nordafricani contro i sudamericani, gli italiani contro gli stranieri, tutti. Per quattro ore, tra via Padova e via Porpora - dove ha sede il consolato egiziano - le strade sono diventate terreno di caccia, i negozi sono stati devastati, i passanti costretti a fughe precipitose per non trovarsi tra lanci di bottiglie e manganelli. E l´odio per gli extracomunitari di una parte dei residenti della zona - che denuncia di sentirsi ostaggio degli stranieri - è esploso in risposta alla devastazione.

Mentre la polizia e i carabinieri erano impegnati con la scena del delitto, la polizia locale - che, tra le forze dell´ordine, qualcuno accusa di non aver agito seguendo le procedure necessarie in una situazione così tesa - ha bloccato il traffico nella zona, fermando con i manganelli in aria anche le decine di nordafricani che, chiamandosi l´un l´altro, stavano arrivando in via Padova per capire cosa stesse succedendo. Ma quasi subito la rabbia per la morte di Ahmed si è trasformata in furia cieca quando alcuni hanno saputo della rissa sull´autobus con il gruppo di peruviani, gli assassini del ragazzo. A farne le spese, per primo, il bar ristorante "Machu Pichu" al numero 80, ma poi è stata una rapida sequenza. I testimoni raccontano di orde di ragazzi urlanti che si avventavano soprattutto contro i negozi sudamericani, ma senza risparmiare gli altri nonostante i gestori cercassero di chiudere velocemente le saracinesche, di automobilisti che tentavano disperate retromarce e inversioni a U per evitare di trovarsi tra gli scontri.

Un gruppo di nordafricani si è diretto verso la metropolitana, altri hanno continuato a tenere in scacco le traverse di via Padova mentre la polizia cercava di ristabilire la calma. Ma la seconda fase della rivolta è andata in scena tra via Lulli e via Porpora. Qui una settantina di nordafricani - tutti molto giovani, egiziani ma non solo - ha tentato di raggiungere il consolato egiziano. Lungo il percorso, però, mentre loro ribaltavano auto e distruggevano i cartelli stradali tra via Leoncavallo e via Predabissi, è partita la rivolta degli italiani. Dalle finestre sono volate anche sedie, oltre alle urla contro gli stranieri. Raccontavano, a tarda sera, i residenti del quartiere: «Combattiamo da anni, ma senza risultati: ci sono palazzi trasformati dagli stranieri in fortini, in ghetti dove non si può entrare.

E la polizia, che pure cerca di fare il possibile, non basta». In quelle strade i problemi si sommano: scarsa integrazione tra le tante etnie presenti, lo spaccio - «che ora è un po´ diminuito, da quando ci sono i militari» - le aggressioni per rapina a tarda sera, quando le strade diventano terra di nessuno. Il timore, ora, è che le quattro ore di rivolta di ieri sera siano l´anteprima di una nuova fase di tensione, come già era successo due anni fa dopo l´omicidio di Abba, il giovane originario del Burkina Faso ucciso da un negoziante per un pacco di biscotti. La polizia ha lavorato febbrilmente per tentare di parlare con qualcuno, tra i rivoltosi, che avesse la capacità di fermare gli altri.

Il Corriere della Sera

Scontri tra immigrati Un morto, poi la rivolta La Lega: espelliamoli

di Michele Focarete

L’omicidio di un ragazzo di 20 anni, egiziano, dopo una rissa tra stranieri in strada ha scatenato la rivolta degli immigrati in via Padova, centro di uno dei quartieri multietnici di Milano. Il giovane è stato ucciso con una coltellata in pieno petto da sudamericani. A quel punto, per vendicarsi, gruppi di nordafricani si sono riversati in strada spaccando auto, danneggiando negozi e rompendo vetrine. Bloccati i mezzi pubblici. Il caos nella zona è durato per ore. Il vicesindaco De Corato: «Inaccettabile Far West». Già programmato un consiglio straordinario sulla sicurezza. Lega all’attacco: chiede «espulsioni casa per casa».

Milano sotto choc. Ferita e spaventata. Per oltre 5 ore un intero quartiere, da via Padova a Loreto, è stato messo a ferro e fuoco da gruppi di nordafricani che, per vendicare l’uccisione di un connazionale, hanno scatenato l’inferno. Auto distrutte e ribaltate, negozi assaltati, vetrine infrante. Mezzi pubblici bloccati. Con la polizia in assetto di guerra che a fatica è riuscita a tamponare situazioni di vera caccia all’uomo. Cinque ore nelle quali è accaduto di tutto: un morto, un ferito e la protesta che ha rischiato di degenerare in tragedia. Solo verso tarda sera la situazione è ritornata sotto controllo, con i carri attrezzi che hanno rimosso le decine e decine di macchine ribaltate nelle strade. Momenti di tensione che hanno alimentato la polemica sugli stranieri in città. La Lega: «In zona viale Monza, via Padova è emergenza».

Una emergenza che il partito di Umberto Bossi ha già segnalato al ministro dell’Interno Roberto Maroni per pretendere «controlli e espulsioni, casa per casa, piano per piano». Ed è stato chiesto al sindaco, Letizia Moratti, di convocare un consiglio straordinario il prossimo venerdì in via Padova. La Lega si muoverà con manifestazioni dei comitati di zona e dei cittadini. Ma anche dal Pd sono arrivate le richieste: «Chiederemo al ministro Maroni di riferire in Parlamento circa i gravi episodi di ieri». Lo ha dichiarato in una nota Emanuele Fiano, responsabile della Sicurezza del Pd. «La guerriglia urbana in corso a Milano in via Padova — continua — preoccupa moltissimo, sia per la violenza degli scontri sia per la gravità del fatto che una parte della città sia in questo momento fuori dal controllo delle autorità. I problemi dell’integrazione e della sicurezza urbana necessitano di capacità di governo che evidentemente sono mancate».

La polveriera via Padova, una tra le arterie più lunghe e multietniche di Milano, è esplosa verso le 17.30. All’altezza del civico 80, in mezzo alla strada, litigano per acredini maturate nel tempo, un egiziano di 20 anni, Amed Mamoud Abdel Aziz El Sayed Abdou, in compagnia del suo amico della Costa d’Avorio, 21 anni, con il quale divide un appartamento al terzo piano di via Arquà 45. I due litigano con un gruppetto di sudamericani, sei o sette: uomini e donne. Qualche parola di troppo, alcuni insulti ed altri sudamericani che arrivano a dare manforte. Spuntano i coltelli e Aziz El Sayed viene colpito più volte al petto. Anche l’amico viene ferito. A terra, in un pozza di sangue, resta il giovane egiziano. Quando le ambulanze arrivano sul posto, per lui non c’è più niente da fare. Mentre l’africano viene trasportato all’Istituto Città Studi (ex Santa Rita»: medicato e dimesso.

E quella morte causata da sudamericani, scatena in un attimo la guerriglia. Donne magrebine che urlano vendetta dalle finestre e connazionali della vittima che, a gruppi di dieci, venti, prendono di mira negozi, ristoranti e tutto ciò che ha scritte in spagnolo. Il primo ristorante ad essere preso di mira è il Machu Picchu di via Fanfulla. Poi se la prendono con le auto in sosta, i cassonetti dei rifiuti, i cartelli stradali: da via Leoncavallo a via Predabissi, ad Arquà. Una ventina di magrebini sono arrivati fino al consolato egiziano di via Porpora per proteste: «Dovevate intervenire, hanno ucciso un giovane di 20 anni».

Alle 21.30, l’ultimo locale ad essere preso d’assalto è il ristorante boliviano di via Lulli 32: una decina di egiziani hanno ribaltato tavoli e sedie, tra una decina di clienti terrorizzati. Poi la rabbia e il racconto di un amico della vittima, un giovane che dice di chiamarsi Moustafà: «Ha visto Aziz colpito da una macete. Sono arrivati all’improvviso, sono quelli della bande latino americane, che qui in zona si comportano fuori dalla legge. Lo hanno ucciso e poi sono scappati».

Il Corriere della Sera

Lo spaccio e le gang La casbah di Milano cresciuta senza freni

di Andrea Galli, Gianni Santucci



MILANO — Quando vedono la polizia, ingoiano. Pallette di pellicola trasparente, le tengono sotto la lingua. Costano da 30 a 50 euro. Contengono cocaina, a volte sono «pacchi»: solo gesso. La vendono nei cortili, negli androni. La mattina invece svolazzano sui marciapiedi rettangolini di Domopak d’alluminio, bruciacchiati al centro. Servono per scaldare l’eroina e fumarla. La droga muove un bel pezzo dell’economia di queste strade disperate. Strade di balordi e poveri cristi. Centinaia di spacciatori lavorano in via Padova e traverse, da piazzale Loreto al primo ponte, prima periferia di Milano. Meno di un chilometro. E decine di palazzi andati in malora. Da ieri sembra finita in cancrena pure la convivenza, che non è mai stata un granché. Dice in serata Mahmoud Asfa, imam della moschea di via Padova: «Faccio un appello alla mia comunità perché non cerchi la vendetta».



Storica zona di immigrazione dal Sud, questo quartiere di Milano. Palazzi di ringhiera, dove si ammassava la forza lavoro del boom economico, famiglie siciliane, pugliesi, calabresi. Case senza bagno (all’epoca) e ragazzini nei cortili. Padri in fabbrica. Falck, Breda. Erano gli anni Cinquanta e Sessanta: di quell’epoca, oggi, rimangono gli anziani, le vedove e i pochi cittadini che dicono «usciamo solo per fare la spesa e poi rimaniamo in casa». Gente che si è ritirata di fronte allo spaccio, la prostituzione, l’abusivismo.

Via Crespi, Arquà, Clitumno, Marco Aurelio: potrebbero essere il posto ideale per un seminario di studio sulla totale assenza di governo dell’immigrazione. Spiega il parroco di San Giovanni Crisostomo, don Piero Cecchi: «La gente non era pronta a un’immigrazione così veloce e numerosa». Ora ci sono troppe fratture da ricucire. E questo aMilano lo sanno tutti, da almeno dieci anni. L’ultimo rischio è che la conflittualità latente esploda in una legge del taglione, eccitata dal sangue di quel ragazzo morto ieri sull’asfalto.

Sulla deriva criminale di questa zona si muovono in molti. Romeni e albanesi, che lavorano di più con la cocaina; maghrebini, che smerciano soprattutto il fumo; sudamericani. Ogni gruppo per anni ha lavorato da solo. Con le mazze e i coltelli si sono contesi portoni, sottotetti occupati per gli «imboschi», pezzi di strada per lo spaccio. Oggi pare che si stiano mischiando. E le alleanze che si stringono e si sciolgono si portano dietro il rischio di intrighi, traditori, vendette. Poi c’è la prostituzione, quella di livello più basso, ed è un altro giro criminale che s’intreccia agli altri. L’anno scorso i poliziotti del commissariato Villa San Giovanni, solo loro, hanno fatto oltre 150 arresti.

Anche se poi a rovinare l’esistenza di chi vive in queste strade c’è la crisi di convivenza sulle cose più semplici. I gruppetti che si ubriacano per strada, litigano, urlano. Gli inquilini di via Crespi hanno affisso centinaia di fogli A4 ai muri con un semplice avviso: «Non sporcare, non buttare bottiglie, non strillare di notte, non mangiare sui marciapiedi». In questa stessa via otto vetrine su dieci sono di market e ristoranti etnici (Bangladesh, Egitto, Marocco). Sugli autobus, un passeggero su sette non paga. È la media peggiore della città: quasi 7 mila multe negli ultimi sei mesi. Per la Camera di commercio, via Padova è la strada più straniera di Milano: 1.311 imprese intestate a immigrati, più di una su tre.



E questo, di per sé, non sarebbe un male. Se non fosse che in queste comunità, isolate e compresse in uno spazio ridotto, le leggi della strada contano più del resto. E le liti finiscono spesso a coltellate, a cocci di bottiglia spaccati. Gli adolescenti sono la fascia più esposta e più pericolosa. Più a rischio per la droga e l’alcol. Sono i più sradicati e i più isolati, esclusi da una città che a quattro fermate di metrò sfoggia il lusso di via Montenapoleone, ma che per loro resta inaccessibile. Il gruppo è la risposta più immediata: per i giovani sudamericani assume la forma più strutturata della pandilla, della gang; per gli arabi non ha codici, né segni di riconoscimento. Ma la rabbia è identica. La scintilla per picchiarsi, spesso, è una parola o un’occhiata. Ora c’è anche un morto da vendicare.

Il Corriere della Sera

La città e quel muro invisibile fra gli stranieri e noi

di Giangiacomo Schiavi

Si pensa a Rosarno, a un’altra banlieue, a una terra di nessuno abbruttita dal degrado e dalle vite di scarto di un esercito di immigrati fuori controllo: e invece via Padova è Milano, non una periferia ma una nuova frontiera, il luogo di un’integrazione difficile e forse fallita dove cresce un muro invisibile tra gli stranieri e noi. Marocchini, tunisini, arabi, turchi, cinesi, filippini, slavi, peruviani, colombiani, o latin king, come i rissosi assassini di ieri, si incrociano ogni giorno in una strada che nel giro di pochi anni è diventata l’enclave malata di una multietnicità che nessuno ha governato.

In via Padova non bastano le risposte di pochi generosi cittadini a far fronte al concentrato di problemi che l’immigrazione spesso clandestina ha rovesciato sul quartiere: anno dopo anno sono cresciuti lo spaccio, il degrado, l’abusivismo, la povertà, lo sfruttamento, la prostituzione, e sono aumentati gruppi che i sociologi chiamano «deprivati», senza niente, disposti a tutto, immigrati destinati a crescere in una situazione di esclusione sociale.

Vivono in dieci o dodici in osceni tuguri che non si possono chiamare case, due stanze squallide in affitto o in subaffitto, clandestini anche per gli amministratori di condominio che danno continuamente disdette dall’incarico perché non sanno a chi intestare le spese. E si trovano all’alba in piazzale Loreto, dove quando va bene ci sono i caporali che reclutano la manodopera in nero per i cantieri, mentre in via Padova si alzano le saracinesche dei pochi negozi italiani che ogni giorno raccolgono firme contro la sporcizia, i furti, la violenza che alimenta paura.

Ci sono assenze istituzionali di riferimento e c’è anche un oscuramento di alcuni valori umani in questo quartiere dove Milano non sembra Milano: è lontano il sindaco, è lontana la giunta, sono lontani da anni gli amministratori e per molti cittadini la paura è diventata un sentimento dominante, come il rancore, il senso di abbandono, la sensazione di non essere ascoltati. Via Padova è diventata un rifugio, un porto franco per un esercito di immigrati, e qualcuno ha anche comprato casa, ha cercato l’integrazione con una comunità che ha cercato di favorire l’accoglienza attraverso gli oratori, i campi sportivi, le attività per i bambini.

Ma non è bastato, non basta la buona volontà di un parroco o dei comitati di quartiere a fermare un’ondata di illegalità che nel tempo ha avuto partita vinta sui controlli, si è annessa stradine laterali, ha occupato palazzi. C’è poca polizia in strada, si lamentano i residenti, e i vigili hanno alzato bandiera bianca: «Non siamo in grado di effettuare controlli notturni per mancanza di risorse straordinarie» è stata la risposta di un comandante di zona ad un recente appello, nell’ottobre 2007.

Era già finita l’illusione di una riconquista del territorio propagandata da una fiaccolata contro lo spaccio e il degrado voluta dal sindaco Moratti, contro l’«abbandono delle politiche di sicurezza del governo Prodi», finita con un corteo al quale aveva partecipato anche il leader Silvio Berlusconi. Su via Padova è calato il solito silenzio fino a questa notte di guerriglia, di morte e di furia selvaggia: rimbombano le voci della politica, adesso,si parla di rastrellamenti a pettine, casa per casa, come in tempo di guerra. Ma le urla non servono: in via Padova con la legalità da ripristinare c’è un tessuto sociale da ricostruire. Qui c’è lo specchio esasperato di una Milano futura: una città nella città da governare e non da subire.

Il Corriere della Sera

“Qui gli italiani sono stati cacciati: vorrei scappare anch’io”

intervista a Sveva Casati Modignani, di Armando Stella



MILANO— «Io me ne sarei andata da quel dì, sarei scappata, se non mi sentissi dire dalle varie agenzie immobiliari che "la sua casa è bellissima, signora, vale tot, ma se è fortunata trova qualcuno che le dà la metà». La scrittrice Sveva Casati Modignani è in salotto, a cinquanta metri dalla guerriglia, in una villetta d’inizio Novecento affacciata su una stradina parallela a via Padova: «Questo era un quartiere di piccola borghesia, ci si conosceva tutti quanti, gente tranquilla. La situazione è peggiorata negli ultimi dieci, quindici anni. Improvvisamente i milanesi sono stati cacciati, gli stranieri sono diventati maggioranza. Oggi, in questa periferia, non si può più vivere». L’immigrazione ha cambiato... «Un attimo. Io mi ricordo bene una lettera di Letizia Moratti al Corriere. Ha scritto, più o meno, che noi siamo i primi, Milano è una grande capitale, una città stupenda, fatta di persone straordinarie, dopodiché sappiamo che ci sono "pezzi di città" degradati, da migliorare... Il sindaco ha definito i quartieri e gli abitanti di Milano "pezzi di città", è incredibile... Il problema, in via Padova come altrove, è che manca la volontà politica di risolvere i problemi. Così le cose non possono che peggiorare».

Parliamo dei problemi, allora: cosa avvelena la vita di via Padova?

«I milanesi, che hanno fatto molto per questa città, sono stati espulsi. Sono arrivati gli immigrati senza nessuna regolamentazione e nessuna possibilità abitativa. Ci sono padroni di casa, italiani, che affittano una stanza con cesso su ringhiera a dodici persone e ne traggono vantaggio, speculano sugli ultimi. Non si può continuamente spingere questi miserabili, questi disgraziati, nelle periferie. Perché non scoppiano rivolte in via Bigli, in via Montenapoleone, nel Quadrilatero della Moda?»

Pensa che l’amministrazione dimentichi le periferie?

«Penso che nessun sindaco, negli ultimi anni, abbia avuto il coraggio di dirmi: "Signora, scusi, il danno che ha subito la sua casa lo rimborsiamo noi, visto che non siamo in grado di governare"». Nessuna speranza? «Io sono una vecchia sognatrice, spero sempre che accada qualcosa di buona: ma la Moratti si preoccupa per lo più dell’Expo e di tirare a lucido il centro della città. Sugli autobus di questa periferia disgraziata c’è una specie di nastro registrato che annuncia le fermate e dice: "Padova-Loredo". Proprio così: "Loredo". S’immagini per un milanese sentire storpiare il nome di piazzale Loreto! Va tutto allo sfascio, guardi. Le nostre tradizioni, la nostra cultura, la nostra modesta voglia di vivere il quartiere».

Si aspettava che la situazione degenerasse al punto da finire in rivolta?

«È nell’aria tutti i giorni, la rivolta. Basta prendere un autobus per rendersi conto di quello che succede. Ieri mattina ero sulla 56, seduta, leggevo il giornale, quando ho avvertito un movimento in grembo. C’era un extracomunitario con la mano nella mia borsetta. Ho urlato: "Come ti permetti? Scendi immediatamente dall’autobus!". E nessuno ha fatto una piega. Non il conducente e non i passeggeri, che erano tutti stranieri. Queste piccole e grandi malandrinate le respiri ovunque, in via Padova, e nessuno fa più niente. I milanesi sono pochi, soprattutto anziani. I giovani sono marocchini, peruviani, filippini, brasiliani... Via Padova è un "pezzo di città" cosmopolita. Meglio di così si muore». L’integrazione è impossibile? «Non solo è possibile, ma è una necessità». E da dove si comincia? «La polizia entri a vedere che cosa c’è in certe palazzine: venti persone ammassate in una stanza. Il venerdì è un viavai di musulmani nella moschea: è tutto in regola? Ci sono tratti di strada in cui l’odore di hashish fa spavento. In via Padova non solo si auspica un intervento delle forze dell’ordine e del Comune, ma quelle presenze sono vitali. Deve scapparci il morto perché per qualche giorno se ne parli? E poi, che altro dire? Tra qualche giorno, lo so, tutto sarà peggio di prima. Ci risentiremo, lo so».

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