Bologna per molti anni è stata un esempio di buona amministrazione, capace di produrre modelli urbanistici di eco internazionale (come il PRU del centro storico), tanto da diventare la città simbolo della qualità della vita.
Questa tradizione, amministrativa e sociale, ad un certo punto si è interrotta . Da allora la città stessa ha subito un declino che si misura di anno in anno, di giorno in giorno, nella sempre più dominante “fatica urbana” che chi vive la città subisce.
Il processo è frutto di una serie complessa di mutamenti sociali, economici, politici ed anche urbanistici. Per questi ultimi il momento spartiacque si può individuare nella approvazione del PRG del 1989. Costruito con una sostanziale coerenza di strategie nel passaggio tra l’adozione e l’approvazione il PRG subisce una frettolosa e sostanziale modifica nei suoi aspetti tecnici che gonfia spropositatamente il dimensionamento e ne inficia di fatto l’attuazione. Le grandi aree strategiche di ampliamento faticano ad attivarsi, mentre il mercato si concentra su altre occasioni e di più modesta dimensione e marginali rispetto alla progettualità del piano. La mancanza di fondi blocca la realizzazione delle infrastrutture e larga parte delle aree destinate a standard è minacciata dalla prospettiva della scadenza dei vincoli preordinati all’esproprio.
In linea con la tendenza nazionale, la risposta che le amministrazioni successive forniscono purtroppo aggrava anziché risolvere il problema: si abbandona l’idea del piano – della pianificazione – e si procede per programmi “di riqualificazione”, quasi sempre in variante. La trasformazione della città si polverizza in una serie di piccoli interventi di per sé non impattanti quanto quelli di altre grandi città come Milano e Roma, ma nel loro complesso rilevanti rispetto al contesto urbano bolognese e alla sua tradizione di buon governo.
Gli interventi promossi seguono la logica della “valorizzazione”, come la conversione delle aree a standard non attuate in edificabili, mentre l’obiettivo della riqualificazione si perde in astratte valutazioni. Nonostante le dichiarazioni d’intenti, le contropartite pubbliche ottenute sono scarse ma soprattutto “casuali” ed incoerenti rispetto alle reali esigenze delle parti di città in cui si inseriscono gli interventi. La saturazione dei preziosi spazi liberi nel territorio urbanizzato di fatto non contribuisce al miglioramento della costruzione della città pubblica, favorisce invece il lievitare della rendita.
Il bilancio di questa esperienza documenta il fallimento dell’urbanistica “caso per caso”. Solo una visione completa della città permette infatti di comprenderne le reali necessità: le carenze strutturali, le problematiche emergenti, le opportunità di miglioramento. Quindi solo all’interno di un disegno unitario possono essere formulari obiettivi coerenti e rispondenti alle necessità, e strumenti adeguati per attuarli tenendo conto di tutti i possibili effetti, anche inattesi.
Il ritorno al piano ed alla pianificazione è quindi una condizione necessaria, ma non sufficiente per il buon governo della città. Affinché le strategie del piano possano efficacemente dispiegarsi è necessario che il piano sia attuato e gestito correttamente. La sempre maggiore complessità e velocità di cambiamento delle dinamiche socio-spaziali delle nostra società, impongono inoltre oggi un coinvolgimento diretto dei cittadini per la condivisione degli interventi e dei loro esiti attesi.
E’ questa la sfida che si apre oggi nella nostra città con la formazione del nuovo piano urbanistico comunale. Cogliendo le opportunità del nuovo sistema di pianificazione dettato dalla legge regionale urbanistica 20/2000, l’amministrazione ha delineato nel Piano Strutturale Comunale (approvato nel mese di luglio) le strategie di trasformazione urbana, integrandovi in un insieme coerente quelle di riqualificazione. E’ ora impegnata nella elaborazione del Piano Operativo in cui definirà la prima fase di attuazione del piano.