Il manifesto, 20 settembre 2015
Da questo punto di vista i troppo buoni direbbero che la montagna ha partorito il topolino, i pacati e gli equanimi che siamo di fronte a una truffa volgare.
A quel che si trae da notizie di stampa, l’accordo prevede che la durata del mandato dei senatori coincida con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, su indicazione degli elettori in base alle leggi elettorali regionali. Quanto alla coincidenza del mandato senatoriale con la durata di organi territoriali regionali o locali, nulla quaestio. È un principio che potrebbe essere reso compatibile anche con l’elezione popolare diretta dei senatori. I problemi vengono dopo.
Si rileva infatti che i senatori sono eletti dagli «organi delle istituzioni territoriali». Dunque, non dai cittadini nell’ambito territoriale di riferimento. Con questo si ribadisce il no all’elezione popolare diretta dei senatori, e si affida al consiglio regionale il potere di scegliere i rappresentanti in senato. Una conferma si trae dal fatto che agli elettori si attribuisce «l’indicazione». E, secondo il dizionario, con tale termine si intende una designazione, una proposta, una segnalazione, un suggerimento, non una decisione e tanto meno una scelta. I cittadini «indicano», il consiglio regionale «elegge». Una bella prova di democrazia mettere il popolo sovrano in una posizione di indiscutibile subalternità.
Si aggiunga che il tutto è rinviato alla disciplina posta con legge regionale, senza alcuna indicazione di principi di legge statale o comunque limiti da osservare. Tanto che sarebbe del tutto possibile una legge per cui il consiglio regionale scelga i senatori in una rosa più ampia formata dai candidati alla carica di consigliere regionale più votati, giungendo in concreto all’elezione dei senatori da parte dei consigli regionali al proprio interno, senza che la volontà espressa dal voto popolare sia in ultimo decisiva. Volendo evitare questo, e concedere al popolo sovrano di scegliere i propri rappresentanti, sarebbe quanto meno necessario prevedere in Costituzione un listino votato separatamente e la incompatibilità tra le cariche di consigliere regionale e senatore.
Per questo, siamo alla truffa volgare. Chi legge nel testo il ripristino della elezione popolare diretta dei senatori mente sapendo di mentire. L’essenza del senato voluto da Renzi non è toccata, e rimangono tutte le censure già argomentate su queste pagine. Ne gioirà Moody’s, che plaude alla riforma (e potremo ricordare che aveva già applaudito all’Italicum, e criticato la sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni). E abbiamo dimenticato J.P. Morgan, che già nel 2013 sollecitava ad abbandonare le costituzioni antifasciste del dopoguerra, inquinate da elementi di socialismo? I poteri forti della finanza internazionale non si curano della salute democratica del paese. Ma il governo della Repubblica dovrebbe.
Per le riforme eterodirette della Costituzione abbiamo già dato, con l’art. 81 e il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio. Ma qui vediamo una vicenda di piccole miserie. Può solo interessare che, se la proposta si tradurrà in un emendamento all’art. 2, questo potrà aprire la via anche ad altri emendamenti e a nuovi scenari di confronto parlamentare. Non è infatti pensabile che la modificabilità dell’art. 2 venga limitata al solo emendamento risultante dall’accordo interno Pd.
Capiamo, ma non apprezziamo, le ambasce della minoranza Pd. Se si piega ha fatto molto rumore per nulla. La mediazione rimane sotto la soglia della decenza. Questi coraggiosi — si fa per dire — alfieri della verità e della giustizia devono pur chiedersi se accettare, magari per il miraggio di un piatto di lenticchie, sia nel loro interesse collettivo e individuale. È davvero dubbio lo sia, per la perdita di faccia e di credibilità. Di sicuro, non è nell’interesse del paese.