Titolo originale: Rebuilding New Orleans, One Appeal at a Time – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini
NEW ORLEANS, 4 febbraio – Ogni giorno la fila si snoda lungo uno spartano corridoio qui all’ottavo piano del Municipio, con centinaia di persone che stringono un pezzo di carta con scritta una fatale percentuale, che potrebbe obbligarli ad abbandonare la propria casa.
Quella cifra è sempre superiore a 50, e ciò significa che la casa era tanto danneggiata dall’alluvione dell’uragano Katrina – più di metà rovinata – che deve essere demolita, ameno che il proprietario possa spendere le decine di migliaia di dollari necessari a sollevarla qualche metro sopra il terreno, e sopra il livello di qualunque futura inondazione.
Ma c’è un modo per uscirne, ed è il motivo per cui tante persone fanno la fila ogni giorno, trasformando collettivamente questa città a pezzi. “Quello che dovete fare è rivolgervi a un ispettore edilizio, per far abbassare la percentuale sotto il 50” spiega un impiegato comunale alla folla. Ed è esattamente quello che succede alla fine della fila, in una grande sala aperta giù in fondo, in quasi il 90 per cento dei casi, raccontano i funzionari di New Orleans.
Accettando tanto spesso queste richieste – più di 6.000 negli scorsi mesi – i funzionari comunali essenzialmente stanno consentendo una ricostruzione a caso in tutta la città, minando alla base l’idea della commissione nominata dal sindaco C. Ray Nagin per la ricostruzione, di non rilasciare permessi di ricostruzione nelle zone colpite per molti mesi, finché non fosse possibile redigere un piano più accurato. Quel piano, già accolto da una diffusa opposizione, compreso il sindaco, ora è sostanzialmente morto.
Casa per casa, nei quartieri devastati di tutta la città, i proprietari tornano coi loro nuovi permessi di costruzione rivisti e ricostruiscono New Orleans. Si rilasciano 500 permessi del genere ogni giorno, dice Greg Meffert, funzionario comunale incaricato per la ricostruzione.
E non c’è nessun criterio particolare riguardo a chi ottiene un permesso, o considerazioni sulla possibilità del quartiere di contenere tanti abitanti quanti prima. Un ispettore edilizio della città, Devra Goldstein, ha definito le procedure dell’ottavo piano “davvero un salto nel buio, caotiche, Selvaggio West, prendetevi quel che volete”.
Quello che accade a quel piano, dice, rappresenta “un intero progetto del tutto casuale”.
Rappresenta anche la testimonianza del pervicace desiderio di molti abitanti di New Orleans di ritornare a casa, non importa con quali incertezze.
”Ci hanno detto, che controllando meglio ci sono possibilità di avere una valutazione di danni abbassata sotto il 50%, così potremo iniziare a ricostruire” dice George Aguillard, 65 anni, scaricatore di porto in pensione, mentre aspetta pazientemente tra la folla composta in gran parte da afroamericani al municipio.
”Alla mia età, non si può ricominciare di nuovo una nuova casa” racconta il signor Aguillard, che abita nel quartiere allagato di Pontchartrain Park. La sua valutazione di danno è stata del 52,13%.
Ma ci può essere un alto prezzo da pagare per questa elasticità dell’amministrazione nel lasciare che tanta gente rientri nelle zone alluvionate senza dover sopraelevare le proprie case. I responsabili delle assicurazioni federali antialluvione sostengono che questa pratica viola la procedura, che stabilisce come regola quel 50% per orientare verso un’edilizia sicura nelle zone a rischio. La gran parte delle città l’hanno adottata come criterio minimo, dicono i funzionari della Federal Emergency Management Agency, che gestisce il programma.
In cambio dei forti sussidi per l’assicurazione degli abitanti, il programma prevede che le città impongano un’edificazione in grado di resistere agli allagamenti. Alcune municipalità che violavano queste regole sono state escluse dai programmi assicurativi, mettendo a grave rischio migliaia di residenti.
”Si devono fermare, assolutamente”, dice J. Robert Hunter, ex capo del programma assicurativo federale per le alluvioni e ora direttore per il settore alla Consumer Federation of America. “Si può falsificare” sostiene. “Capisco queste persone. Ma non si può dire: va bene, sei povero, quindi puoi costruire in un posto pericoloso dove ci può essere un’alluvione, e dove puoi rimanere ucciso”.
Aggiunge “Non si può distruggere il programma assicurativo per ottenere un obiettivo di breve termine”.
Un altro ex direttore delle assicurazioni federali antialluvione, George K. Bernstein, è egualmente critico, e sostiene che la pratica di ridurre la percentuale di danno è “solo uno scippo ai contribuenti”.
”Se New Orleans sta falsificando le rilevazioni dei danni per consentire una ricostruzione inadeguata, deve essere buttata fuori dal programma” dice.
I funzionari della FEMA sostengono di osservare da vicino il caso di New Orleans ma di giudicare che la città stia rispettando le regole.
”So che stanno gestendo queste pratiche” dice Michael Buckley, vicedirettore per la riduzione degli impatti alla FEMA. “Non lo chiamerei un modo per modificare le regole”. Buckley dice di “non essere a conoscenza” di un processo di riduzione su grande scala delle valutazioni di danno.
Ma su all’ottavo piano, le revisioni al ribasso si concludono in pochi minuti. “È stato tutto molto semplice” racconta Charles Harris, vicesceriffo che ha avuto un metro e mezzo d’acqua nella sua casa nella zona orientale di New Orleans, e la cui percentuale di danni è stata portata al 47% dal 52% che era. “Sono stati davvero collaborativi. Credevo dovesse essere una cosa più combattiva. Ero pronto a mettermi in guardia. Non è stato niente del genere”.
Kevin François, manutentore di apparecchi ad aria condizionata con l’abitazione classificata al 52% di danni, dice “È stato fondamentalmente un entrare e uscire”. Lui, è uscito dal municipio con una cifra di parecchi punti inferiore al 50.
Meffert, il funzionario municipale, dice che le prime valutazioni qualche volta contengono degli errori. I proprietari devono giustificare qualunque modifica di queste quote, sostiene, e mettere a disposizione i particolari dei progetti di ricostruzione. “Quello che cambia il punteggio è: ‘Farò in questo modo’” dice.
Ma qualcuno se ne va dal municipio ancora di umore pugnace, nonostante l’accoglienza amichevole. “Non gli ho lasciato scelta” racconta fiera Florestine Jalvia, che ha fatto ribassare la propria valutazione fino al 47% di danni, dal 52,5%. Un atteggiamento più rigido sulla ricostruzione probabilmente avrebbe innescato il medesimo tipo di reazione dell’ora defunta idea della moratoria di quattro mesi. “Credo che la città stia cercando di evitare un grosso conflitto coi cittadini” dice la signora Goldstein, ispettrice edilizia.
Fuori, nei quartieri che si erano allagati, c’è un’attività febbrile, intermittente. Quelli che stanno lavorando duro escludono nettamente l’idea di aspettare finché sarà chiaro quali aree avranno la possibilità di ripresa.
”Beh, io non li ascolto” dice Kristopher Winder, mentre finisce di sventrare la casa di sua madre nel quartiere di Gentilly. L’ha ridotta alla sola struttura portante. Più giù lungo la stessa via, cartelli di fronte alle case lanciano messaggi di sfida: “ Stiamo ricostruendo, e non cercate di fermarci!” recita uno, e “ Non c’è nessun altro posto come casa tua”, un altro.
”Ci ho pensato, quando hanno detto quella cosa dei quattro mesi, e ho pensato che fosse pazzesco” dice il signor Winder. “Ero furioso. Non aveva senso”.
”Sto lavorando su questa casa” racconta. “Sarà di nuovo in piedi e funzionante in tre o quattro mesi”.