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Loris Campetti
Ricostruire la città Ora tocca a Zedda
2 Giugno 2011
Articoli del 2011
Intervista a Massimo Zedda sulla terza vittoria significativa delle elezioni: una novità e una speranza non solo per Cagliari. il manifesto, 2 giugno 2011

L'anatra zoppa? «Non esiste», risponde con la serenità che lo accompagnerà durante tutta l'intervista. Massimo Zedda è convinto che il centrosinistra avrà, oltre al sindaco, anche la maggioranza del consiglio comunale nonostante al primo turno le destre abbiano raccolto più voti. Del resto i precedenti gli danno ragione. Né anatra zoppa né pulcino bagnato: il trentacinquenne primo cittadino di Cagliari nasconde, dietro quell'aria un po' così, una solidità che gli è data da tre doti che mi colpiscono: passione politica, fiducia e, appunto, serenità. Adesso che ha superato con i massimi voti gli scogli delle primarie, del primo e del secondo turno dovrà recuperare almeno un po' dei chili persi battendo strada per strada la sua città. Si è appena comprato un vestito nuovo perché quello vecchio è diventato troppo largo.

Cagliari città di destra, in mano ai costruttori, ai commercianti, a una borghesia conservatrice. La sinistra e poi il centrosinistra non hanno mai creduto di poter vincere, al massimo si preoccupavano di scegliere uomini e politiche moderate, diciamo pure con qualche complicità per vivere in una realtà segnata dal destino. Cos'è successo? Come è stato possibile il miracolo?

Nessun miracolo, semplicemente ci abbiamo creduto fin dall'inizio, ci abbiamo messo passione e abbiamo raccolto i frutti di uno straordinario lavoro collettivo. Mi hanno avvicinato centinaia di persone, di giovani che si sono messi a disposizione nella campagna elettorale. Mica si limitavano a distribuire volantini, li facevano loro, si inventavano iniziative, incontri, coinvolgevano altre persone. Chi l'ha detto che Cagliari è una città di destra? Dovremmo chiederci piuttosto che cosa offriva il centrosinistra, quale diversa idea della città e dei beni comuni aveva. Noi abbiamo proposto un'alternativa, nel metodo - la partecipazione, la trasparenza, l'onestà - e nel contenuto.

Ti hanno votato i giovani, ma anche i padri e i nonni dei giovani. Anche quelli che hanno sempre pensato che per la sinistra non ci fosse nulla da fare se non riproporre politiche moderate, puntate al centro e incentrate su un ceto politico immodificabile.



Questo è il punto. Dire che non c'è nulla da fare è una giustificazione che nasconde impotenza e pigrizia. Invece bisogna osare, provarci, basta con l'introiezione della sconfitta. Già alle primarie qualche compagno mi chiedeva di ritirarmi per non oscurare o ridimensionare la vittoria del candidato doc data per certa. Io ho semplicemente risposto che non avrei oscurato nessuno, semplicemente avrei vinto, lo capivo parlando con le persone di cose concrete.

Quali sono le cose concrete?



Mica mi chiedevano dei guai giudiziari di Berlusconi, volevano discutere del lavoro che non c'è e quando c'è è precario, dei servizi, della scuola, dell'ambiente. Io ho sempre detto che non ho ricette miracolistiche e che le risposte vanno costruite insieme, con il contributo e la partecipazione di tutti. Per questo bisogna coinvolgere il mondo del lavoro, delle professioni, della cultura, della ricerca. Ma con ottimismo: se un secolo fa chi ha costruito le prime esperienze di cooperative, le associazioni, i sindacati, avesse avuto l'atteggiamento di chi pensa che di fronte ha un mondo troppo ostile e complicato, non avrebbero costruito un bel niente.

Vuoi dire che ti saresti immaginato un esito straordinario come quello che oggi fa interrogare tutti? Vincere le primarie, e infine sbaragliare l'avversario lasciandolo indietro di venti lunghezze?



E mica sono così presuntuoso, però, ripento, pensavo che ce l'avrei fatta quando ho visto esplodere l'entusiasmo delle magliette rosse. Anche rosse e blu che sono i colori di Cagliari con quel «2011» che ricorda il numero 11 della maglietta di Gigi Riva. È vero, sono di più le magliette tutte rosse: e allora?

Ti aspetta un compito molto difficile. Come pensi di affrontarlo?



Sto rinunciando a molti spazi privati, persino ai soldi che prendevo da consigliere regionale. Faccio sacrifici ma con soddisfazione cercando di restituire alla politica contenuti e etica che sono i motori della partecipazione. La politica non è interesse personale. Con questo spirito e in tanti si possono spostare macigni, e l'occupazione da queste parti è un macigno. Un sindaco non può fare da solo, deve stimolare le persone, i giovani ma non solo, deve aiutare questa città e la sua parte migliore a scollarsi di dosso sfiducia e passività, favorire una presa di coscienza collettiva che è l'unico modo per cambiare. Non basta dire come fanno tutti che serve il confronto: serve il lavoro e l'impegno comune, serve la condivisione. Vorrei coinvolgere movimenti, associazioni, categorie. Voglio che il sindacato mi tracci dei profili, non che mi dicano dei nomi, per affrontare il nodo del lavoro.

Poi però dovrai fare una giunta, e le pressioni dei partiti, forse anche dei vecchi ceti politici, non mancheranno.



Anche per fare la giunta non ho bisogno di nomi. Ho visto in questi giorni vecchi compagni piangere dalla gioia per aver scoperto che era vero, si poteva fare. Conta più questo, una grande motivazione, o un assessorato? A volte si racconta la politica peggio di come è. A volte si trovano insormontabili problemi che non lo sono: sai che stiamo spendendo solo il 17% dei fondi europei? E allora quando dico che bisogna mettere mano alla piaga del precariato, anche tra centinaia di dipendenti del Comune, non sono pazzo. Del resto, se un'azienda o un'amministrazione per vent'anni rinnova alle stesse persone contratti precari e a termine vuol dire che di quelle persone ha bisogno.

Cosa ha più contribuito alla tua vittoria?



Quando si vince o si perde le ragioni sono sempre molte. Il vento del cambiamento generale, l'assunzione di responsabilità di nuove generazioni, le proteste sociali di questi mesi che hanno assediato Cagliari e la Regione, studenti, pastori, partite Iva, precari, operai.

La personalizzazione spinta da una riforma elettorale che riduce il potere dei consigli ed esalta quello dei sindaci può cambiare anche le persone migliori

Nelle magliette rosse abbiamo scritto «Ora tocca a noi», il mio nome non compare neppure. Io dovrò avere uno stile, un comportamento adeguati al ruolo, ma voglio essere sempre quello che sono.

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