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Andrea Nurcis
Ricordi di classe a Tuvixeddu
9 Febbraio 2010
Beni culturali
Vent'anni del passato, una famiglia proletaria ai piedi di Tuvixeddu. Scritto per eddyburg

Qui dove i segni della dea lunare

vegliano i morti e parlano d'amore,

Qui dove i fiori esangui e senza odore

Vestono l'aspra roccia di calcare,

Qui nel cospetto dell'azzurro mare

Sotto i raggi del dio divoratore,

Piccola sfinge, esotico mio fiore,

Sopra la bocca ti vorrei baciare.

Mentre punica, immobile, infinita

Del meriggio l'arsura in alto tace,

La necropoli invita ai suoi recessi.

Stretta al mio cuore io vorrei trarti in essi:

Io vorrei trarti dove è fresco e pace

Soli tra i morti ad eternar la vita.

Francesco Tauro, "Tuvixeddu", Cagliari, 1 maggio inizio sec. XX

Ho vissuto per tutta la mia infanzia e l’adolescenza sulla collina di Tuvixeddu a Cagliari, proprio ai piedi della nota necropoli fenicio punica. Mi riferisco al periodo tra gli anni 60 e primi anni 80, quando Tuvixeddu era una sorta di villaggio composto prevalentemente dalle famiglie di operai che lavoravano nel cementificio che sfruttava la collina per l’estrazione di cava, e da quelle degli ultimi pescatori dello stagno di Santa Gilla, che si trova proprio davanti al colle; nonché da una umanità di poveri, diseredati e rifiutati dalla società, alla quale quel colle, con le sue millenarie “grotte”, ha sempre dato rifugio.

Ritengo di essere stato un privilegiato per aver potuto passare una importante parte della mia esistenza a Tuvixeddu e di aver fatto parte, insieme alla mia famiglia, a quel sottoproletariato estremo che con dignità ha abitato le povere case del colle. Noi sottoproletari di Tuvixeddu non sapevamo nulla dell’importanza storica e archeologica del luogo in cui abitavamo. Ma sapevamo che quello era un antichissimo cimitero in cui erano sepolti i nostri antenati e nella nostra quotidiana sopravvivenza cercavamo di instaurare con quelle millenarie tombe una forma pratica di convivenza. Le usavamo per coltivarci i fiori o allevarci le galline, per arrostire la carne e il pesce o per gettarci l’immondezza. Mai a nessuno è venuta l’idea di cancellarle con colate di cemento per creare il parcheggio alla propria utilitaria.

Bande di bambini scorrazzavano per Tuvixeddu, luogo prediletto per i giochi, le avventure e le esplorazioni; ogni mattina poi tutti i bambini del quartiere, amavano usare la strada della necropoli come scorciatoia per andare alla scuola elementare che si trovava al di là del colle. Eravamo consapevoli della bellezza di quelle bianche rocce di calcare traforate e ricoperte da folti cespugli di capperi selvatici e di quella campagna così sobria, aspra e silenziosa. Nel punto più alto del colle, immersa in un boschetto di pini e cipressi, quasi a strapiombo sulle rocce scavate dalle antiche tombe, dominava misteriosa una villa in stile liberty.

In seguito, come studente d’arte, ho capito quanto quello scorcio di paesaggio fosse simile alla famosissima opera “L’isola dei morti” di Arnold Böcklin e come a Tuvixeddu, nonostante le ferite del cementificio e il degrado dell’urbanizzazione che avanzava, continuasse a sopravvivere una dimensione paesaggistica fortemente romantica. Ogni tanto un pastore col suo gregge di pecore attraversava la necropoli e percorreva tutto il colle. I rumori della città sembravano lontani e ovattati.

Prima dell’imbrunire le ruspe del cementificio che divorava una parte della collina, coi loro lamentosi cigolii rientravano nel cantiere e appena faceva buio Tuvixeddu diventava il luogo appartato in cui arrivavano le prostitute coi loro clienti. Tuvixeddu era un altro pianeta: bastava salire il centinaio di scalini del vico 2 del viale Sant’Avendrace per trovarsi improvvisamente catapultati in un’altra dimensione spazio-temporale, lontana dalla grigia urbanizzazione che cresceva schizofrenicamente intorno al colle. Tutti avevamo giardini molto belli ed orti rigogliosi che fungevano anche da barriera ai palazzi del quartiere che inesorabilmente, negli anni, avanzavano nel loro assedio.

Agli inizi degli anni 80, con la chiusura del cementificio, le famiglie degli operai che abitavano le casupole di Tuvixeddu vennero sfrattate. Quella già fragile dimensione popolare che viveva sulla collina, scomparve definitivamente, così come definitivamente avanzò il degrado in cui Tuvixeddu venne abbandonato. I cosiddetti “abitatori delle grotte” di Tuvixeddu, nel corso degli anni, si susseguirono scandendo anche quelli che erano i cambiamenti antropologici e sociali di una città che nel bene e nel male mutava nella sua crescita. Da rifugio per sfollati di guerra, quelle “grotte”, ovvero quelle grandi tombe a parete di epoca romana, ospitarono man mano persone sempre più povere, barboni e disperati, gente in preda all’alcolismo, rifiutata dalla società, e poi giovani freakkettoni, tossici, punkabbestia…

Interrotta l’aggressione già devastante del cementificio, è cresciuta una incivile urbanizzazione proseguita senza pausa sino ad oggi e che ha finito per nascondere quasi completamente Tuvixeddu al resto della città, come se il colle fosse qualcosa di cui la stessa città si vergognasse. EppureTuvixeddu rappresenta il luogo da cui ha origine l’identità storica, culturale e antropologica della città di Cagliari ed è una delle più importanti testimonianze archeologiche del mediterraneo.

Forse questo “Tuvixeddu” che conservo e coltivo nei ricordi potrebbe risultare un pò idilliaco per chi non ci ha mai vissuto o messo piede. E forse questo “Tuvixeddu” non ha mai trovato spazio nelle ambizioni di una città provinciale e piccolo borghese come Cagliari, che ha sempre aspirato ad uno sviluppo urbanistico in grado di darle l’illusione di diventare una grande metropoli e in cui gli speculatori e i palazzinari di alto livello hanno sempre trovato un ambiente estremamente favorevole e particolarmente accondiscendente sia nella politica che nell’opinione pubblica.

Soprattutto non ha mai trovato abbastanza spazio negli interessi nazionali di un’Italia che nel bene e nel male ha sempre considerato i beni culturali e paesaggistici da tutelare all’interno di un atteggiamento “centralista”, in base al valore “turistico” di ciò che va salvaguardato e ciò che può essere anche lasciato andare in rovina. Così in Italia si grida allo scandalo se un turista ubriaco si fa un bagno in una delle fontane delle nostre cosiddette città d’arte, ma è passato in secondo piano o è stato del tutto ignorato lo scempio e i progetti nefasti di cementificazione su Tuvixeddu, a ridosso della necropoli fenicio punica più importante del mediterraneo, e in un ambiente unico, ricco di specie faunistiche e botaniche addirittura protette.

“(...)Non si riesce a intravedere nessun panorama né alcuno spettacolo di particolare bellezza.(…) la zona si presenta brulla e ha l'aspetto di una cava abbandonata circondata da alti edifici residenziali sorti in oggettivo disordine (…) appare priva di qualunque pregio paesistico visivamente apprezzabile(…).”

Queste furono le considerazioni dei giudici del Tar dopo un sopralluogo effettuato per decidere se bloccare o meno la colata di 300.000 metri cubi di cemento sul colle. La burocrazia sostituì il parere autorevole di associazioni ed esperti dell’ambiente, del paesaggio, dell’urbanistica e dell’archeologia di livello internazionale che hanno sempre chiesto di fermare ogni forma di cementificazione e una tutela integrale del colle. E quando si chiese un intervento dello stato, dei beni culturali e addirittura del Presidente della Repubblica, in sostanza la risposta fu che si trattava di un problema “regionale” quindi da risolvere “in casa”.

(…)Abbiamo di fronte al mondo, la responsabilità di salvaguardare questo grande patrimonio comune. E d'altronde a ciò ci chiama l'articolo 9 della nostra Costituzione, che è uno dei suoi principi fondamentali :"La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione" tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico è responsabilità che dobbiamo, sì, sollecitare i poteri pubblici ad assolvere pienamente ; ma è anche responsabilità che dobbiamo assumerci noi cittadini, ciascuno di noi, dovunque viviamo e operiamo, specie se in luoghi di inestimabile valore per l'umanità intera. Contano i comportamenti di ciascuno, che debbono essere rivolti non al cieco soddisfacimento di interessi particolari, ma alla salvaguardia della ricchezza comune, anche nell'interesse dei nostri figli e delle generazioni future.(…)

Queste furono alcune frasi del discorso che il Presidente della Repubblica Napolitano pronunciò durante la cerimonia celebrativa delle Dolomiti come patrimonio dell’umanità. Purtroppo pare che l’articolo 9 della Costituzione Italiana citato dal Presidente, e il suo auspicio affinchè in Italia conti la salvaguardia della ricchezza comune e non il “cieco soddisfacimento di interessi particolari”, abbiano faticato non poco per essere presi in considerazione anche nei confronti di Tuvixeddu, che è sempre stato una periferia in tutti i sensi, un luogo “sporco”, frequentato da una umanità ai margini della società, importante solo per quegli enormi interessi economici e speculativi di palazzinari e politici che definivano i loro affari col titolo di “Progetto di Riqualificazione Urbana ed Ambientale dei Colli di San Avendrace”.

E solo oggi, dopo le indagini della Procura della Repubblica di Cagliari e una serie di intercettazioni telefoniche rese pubbliche dai quotidiani sardi, viene alla luce la reale spazzatura che ricopriva le candide rocce di Tuvixeddu deturpandone tutta la bellezza.

Tra l’imprenditore del progetto immobiliare sul colle e una serie di personaggi facenti parte dell’humus politico, amministrativo e giuridico della città, personaggi che avrebbero dovuto applicare tutte quelle forme possibili di tutela in nome del bene comune, vi erano invece rapporti impostati proprio su quel “cieco soddisfacimento di interessi particolari”, di cui parlava il Presidente Napolitano.

Così in questi giorni arriva una sentenza del Consiglio di Stato che accogliendo il ricorso della Sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, si oppone alla costruzione degli edifici privati su una parte significativa di Tuvixeddu. Possiamo solo augurarci che i cittadini di Cagliari siano sempre vigili, non dimentichino questa vicenda e che siano più accorti nello scegliere i loro amministratori e che su Tuvixeddu venga applicata definitivamente una tutela integrale affinchè torni ad essere il luogo del silenzio, della pace e della poesia.

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