Emilio Vedova moriva dieci anni fa, nell’ottobre del 2006. E per il decennale la Fondazione intitolata a lui e a sua moglie Annabianca, scomparsa appena un mese prima del marito, ha organizzato una serie di iniziative che tendono a raccordare diverse sue esperienze.
In primo luogo, ovviamente, la pittura e, a seguire, la musica e l’architettura. Il cuore dell’esposizione è nei Magazzini del sale, lungo la Fondamenta delle Zattere, all’inizio del canale della Giudecca, dove Vedova aveva il suo studio. Qui, su un grande pannello che occupa buona parte di una parete è allestito un complesso collage di opere su carta, che nella loro sequenza compongono quasi un lavoro a sé. Come a voler documentare un’unitarietà di fondo della produzione di Vedova al di là della successione cronologica.
Il collage è il fulcro della mostra Emilio Vedova Disegni, curata da Germano Celant e Fabrizio Gazzarri (fino al primo novembre. Catalogo Lineadacqua), che raccoglie materiali perlopiù inediti di Vedova appartenenti alla Fondazione. Essi abbracciano l’intera carriera del pittore veneziano, dal 1935 fino al 2006 e si dividono in due segmenti, uno dal ’35 al ’40, l’altro dal ’40 al 2006.
Lo squilibrio temporale è determinato dal fatto che la prima sezione documenta il lavoro iniziale di Vedova, compresi i suoi studi sulle chiese veneziane, Sant’Agnese e San Salvatore in specie, mentre la seconda spazia in tutte le successive fasi della pittura di Vedova, dalle suggestioni cubiste e futuriste degli anni immediatamente seguenti la guerra, all’esplosione di segni e di forme che in vario modo caratterizzano il suo linguaggio nei decenni a venire.
Il decennale della morte è anche l’occasione per rievocare la stretta relazione fra Vedova e Renzo Piano. Negli archivi della fondazione sono visibili le lettere che il pittore inviava all’architetto. In una di queste gli annuncia l’intenzione di creare una propria fondazione, fondazione che poi avrà sede in alcuni locali dei quattrocenteschi Magazzini del Sale. Sarà poi lo studio di Piano a progettare l’allestimento della sede espositiva realizzando quel formidabile meccanismo che consente di far scivolare le gigantesche opere di Vedova lungo un binario e di sistemarle a diverse altezze, quasi fosse una macchina scenica che trasforma l’esposizione in una rappresentazione teatrale. I carrelli scorrono nella navata, agganciano i quadri, li sollevano e poi li depositano: tutto è comandato elettronicamente.
Le lettere di Vedova a Piano documentano un sodalizio che conobbe un intenso passaggio creativo nel 1984. Entrambi collaborarono al Prometeo, l’opera di Luigi Nono con i testi che Massimo Cacciari aveva tratto da Eschilo, Euripide, fino a Hölderlin, a Walter Benjamin e ad Arnold Schönberg. Direttore d’orchestra era Claudio Abbado. Piano ideò l’Arca, ossia lo spazio scenico in cui si svolgeva l’opera, e Vedova curò la scenografia, in particolare le luci.
Dall’architettura alla musica. Un’altra iniziativa della Fondazione s’intitola Euroamerica ed è un ciclo di concerti che si apre il 15 luglio, sempre al Magazzino del sale, con il pianista Chick Corea.
La rassegna, curata da Mario Messinis, fa riferimento al De America un ciclo di circa cinquanta dipinti su tela che Vedova realizzò nella seconda metà degli anni Settanta, avendo negli occhi le impressioni suscitate da diversi viaggi oltreoceano, attraverso «deserti, canyons, riserve indiane, ghetti nei e bianchi delle immense metropoli».