il manifesto, 18 novembre 2016
Non mancano, apparsi negli ultimi mesi, studi seri che affrontano, in punto di diritto e nella loro rilevanza politica, le questioni sollevate dalla attuale proposta di riforma costituzionale che interviene su quasi cinquanta articoli della Carta.
Si tratta di contributi ai quali può opportunamente far ricorso chi voglia acquisire i termini e gli argomenti sui quali è impostata e viene articolandosi la discussione in corso e intenda farsi, pertanto, un’opinione ponderata in vista dell’imminente referendum. Quegli studi seri mettono bene in luce gli intendimenti che orientano le correzioni che si vogliono apportare al dettato e allo spirito della Costituzione. Detto in estrema sintesi: depotenziare il ruolo centrale del parlamento e conferire poteri accresciuti all’esecutivo.
Tale il nucleo della riforma. Che poi, nella fattispecie, questa opzione di principio si affermi in un articolato denso di idiotismi giuridici, quindi foriero di complicanze facilmente prevedibili (si pensi solo al nuovo Senato: modalità della sua composizione; funzioni; competenze; sue relazioni con la Camera dei deputati) è da imputare alla scarsa e difettiva qualità della cultura del legislatore, ovvero alla rozzezza di un ceto politico ampiamente espresso da clientele corrotte e per lo più selezionato in virtù di legami personali (non per caso si tratta di un parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale).
Sta di fatto che la scelta che opera al rafforzamento della funzione esecutiva è, nella torsione che muta la figura costituzionale del presidente del Consiglio dei ministri (Art. 95) in capo del Governo, bene interpretata dal primo ministro in carica. Si dirà che, nel caso di Matteo Renzi, non mancano elementi caricaturali, nella mimica e nei gesti e più nell’eloquio e nella fraseologia. Ma sarebbe un errore attribuirli ad un tratto solo caratteriale. Molti osservano in lui l’esercizio di doti brillanti, se virtù sono l’astuzia e la spregiudicatezza, ma di poco momento e di un costrutto illusionistico che rasenta l’irresponsabilità.
Anche la qualità dei capi è varia e diversa la loro durata. Si vuol dire che la figura del Capo, in politica, vive di sottolineature e di accentuazioni. Esse debbono connotare in modo riconoscibile prese di posizione e decisioni espresse secondo un tratto personale che, di necessità, pur se a varie gradazioni e a intensità diverse, si afferma e cresce da una retrostante radice apodittica. Il capo interpreta.
In politica più che attore è autore. E anche la qualità degli autori varia. Valga il vero. Nella quotidiana discussione che agita in gran crescendo la campagna referendaria in corso, uno dei cavalli di battaglia prediletti di Renzi è il seguente: da oltre trent’anni si ammette che è necessario intervenire sulla Costituzione.
Dopo tanta inconcludenza oggi, grazie a un Capo del Governo che non si fa intimidire dai cacadubbi, ecco, la riforma si fa. Un taglio definitivo col passato di un’aula parlamentare tanto ciarliera quanto inetta. Una riforma che apre al futuro. Questa ricostruzione è – coerentemente, va detto – una caricatura operata da Renzi in veste di autore di storia. Dicevamo di contributi seri che val la pena leggere. Mi sia permesso consigliarne uno che si deve a Giuseppe Cotturri, pubblicato da Ediesse. Alludo a “Declino di partito. Il Pci negli anni Ottanta visto da un suo centro studi”, prefazione di Maria Luisa Boccia. Si può apprezzare qui, illustrato nel corso di un quindicennio, il ricchissimo, esemplare lavoro di ricerca analitica, di elaborazione teorica e giuridica e di coinvolgimento di soggetti politici e sociali svolto sulla riforma della Costituzione dal “Centro studi e iniziative per la Riforma dello Stato” presieduto da Pietro Ingrao.