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Francesca Borri
“Regeni sacrificato dal regime dei ricatti. E l’Italia sta zitta”
11 Giugno 2016
2016 Giulio Regeni assassinio di stato
«Amr Darrag. Il leader in esilio dei Fratelli Musulmani torna sul caso del ricercatore ucciso e aggiunge: “Lo Stato in Egitto è già crollato”».

Il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2016 (p.d.)

Non so, onestamente, se mi colpisce di più la ferocia con cui Regeni è stato ucciso, e soprattutto, la normalità di questa ferocia, o il silenzio dell'Italia. Da una parte, alti funzionari che discutono di come sbarazzarsi di un cadavere come se stessero sbrigando una pratica qualsiasi: ma dall'altra, niente. Se Giulio Regeni fosse stato un turista, uno di quelli che si ruba la tartaruga protetta, il pezzetto di piramide, saremmo stati tempestati di telefonate del console. E invece no. Dall'Italia silenzio totale”.

La ricomparsa dell’Anonimo

Nelle indagini sull'omicidio di Regeni, il ricercatore friulano ritrovato morto al Cairo il 3 febbraio, è comparso un nuovo Anonimo: e il suo racconto coincide con quanto ricostruito al Fatto Quotidiano da Amr Darrag, leader dei Fratelli Musulmani in esilio a Istanbul, che per primo aveva ipotizzato una faida tra Servizi segreti. Se il primo Anonimo, infatti, aveva rivelato che Regeni era stato ucciso perché ritenuto una spia, e non certo rapinato, come maldestramente sostenuto dalle autorità egiziane, il nuovo Anonimo spiega ora più in dettaglio come Regeni sia stato rimpallato tra National Security e Military Intelligence, e infine torturato a morte da quest'ultima. Con la National Security, però, che incaricata di disfarsi del corpo, gli lascia intenzionalmente accanto una coperta di quelle in uso all'esercito: una sorta di firma. Per trasformare quel corpo in un mezzo di ricatto.

“Non immaginavo che Regeni fosse stato seguito dal giorno del suo arrivo al Cairo”, dice adesso Amr Darrag. “D’istinto ho pensato: questo è un regime che non lascia scampo. Ma invece è il contrario. Questo omicidio non è il segno di un regime forte, saldo, ma di un regime che pedina tutti. Che ha paura di chiunque”.

Il regime di Mubarak, dice, non era affatto così. “Molti sono convinti che in Medio Oriente uomini come Al-Sisi, o peggio, come Assad, siano l'unica garanzia possibile di stabilità. Sono convinti che qui lo Stato, altrimenti, crolla. Ma poi leggi l'Anonimo e scopri che Abbas Kamil, che è come dire Al-Sisi, perché è il suo capo di gabinetto, convoca il ministro dell'Interno per sostituirlo e si sente rispondere che se solo ci prova, finisce anche lui in carcere per l'assassinio di Regeni. E questa sarebbe la stabilità? Questo groviglio in cui sono uno sotto il ricatto dell'altro? A leggere l'Anonimo, lo Stato in Egitto è già crollato. Quali che siano gli interessi che volete tutelare difendendo Al-Sisi, e che certo non sono i nostri di egiziani, questo non è un regime: questo non è il fascismo, con i treni che arrivavano in orario, questa è Gomorra”.

Solo affari, niente critiche

E però niente, dice: l'Italia tace. Tra i Paesi europei è il primo partner economico dell'Egitto, terzo al mondo dopo Stati Uniti e Cina, potrebbe mettere in riga Al-Sisi subito: e invece tace. “E infatti l'Anonimo è riapparso. Evidentemente pensavano che se vi avessero fornito un po' di indizi, se vi avessero un minimo instradato, non avreste avuto più scuse per non agire. Ma niente. Persino l'Anonimo non si aspettava tanto cinismo. E credo non sia propriamente uno stinco di santo”.

La sensazione, dice Amr Darrag, è che gli investigatori italiani siano stati lasciati soli nel ginepraio del Cairo. A scapito di quella che definisce la verità politica. “Perché questo non è un semplice omicidio, qui non è questione di trovare l'assassino. L'esecutore materiale. Quello che conta, qui, è la catena di comando. Qui non c'è solo un movente, c'è una prassi”, dice. “E limitarsi a cercare un assassino che probabilmente non si troverà mai è un modo molto sottile di insabbiare tutto”. Lasciare, cioè, gli investigatori a inseguire un obiettivo irraggiungibile.

L’Eni e la scommessa del giacimento Zohr

Nelle ultime settimane, la repressione al Cairo si è ulteriormente intensificata. Ormai quasi la metà della popolazione è sotto la soglia di povertà, gli egiziani sono tornati a imbarcarsi verso l'Europa e a morire in mare. Il regime ha risposto alle manifestazioni con retate preventive. Ma per la prima volta, segmenti significativi degli apparati di sicurezza non sono intervenuti, schierandosi, di fatto, contro Al-Sisi. In questo, in effetti, il suo regime somiglia a quello di Mubarak: nei giorni della sua fine. Tutto questo, tuttavia, non sembra impensierire l'Eni, che continua a pompare gas. Il giacimento Zohr, scoperto pochi mesi fa al largo di Alessandria, è uno dei più vasti al mondo. La presenza di gas nell'area era nota da anni ma nessuno si era avventurato a estrarlo. Forse un errore di valutazione. O forse, il timore di un rapporto con l'Egitto, un paese a corto di energia: e che al momento, non paga le sue bollette.

“Avevamo un debito di 9 miliardi di dollari con i nostri fornitori di gas, ridotto negli ultimi mesi a tre”, dice Amr Darrag, che con Mohamed Morsi al potere è stato ministro proprio dello Sviluppo economico. “Ma è stata l'Arabia Saudita a pagare per noi, e ora l'Arabia Saudita è in crisi per via del crollo del prezzo del petrolio. Non può più aiutarci. La nostra economia è ferma: non siamo strutturalmente in condizione di pagare. Né il gas né nient'altro. E a sentire Khaled Abdel Badie, l'amministratore delegato di Egas, tutto il gas sarà venduto al
l'Egitto”.

Si tiene al potere Al-Sisi per farci affari? O forse, al contrario, si fanno affari con Al-Sisi per tenerlo al potere? “Quello che è certo, per ora, è che Al-Sisi si aspetta il gas. E per quella che è la nostra esperienza, non ama essere contraddetto”.

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