Ormai è chiaro il gioco che l'Europa, seguendo l'esempio di Renzi, sta seguendo con il Pinochet egiziano. «Ma con Al Sisi, Netanyahu, Abu Abbas, l’Italia e l'Europa hanno scelto di appiattirsi sul vecchio ordine, ormai incapace di produrre altro che repressione brutale». Il Fatto quotidiano, 17 marzo 2016
Dall’assassinio di Giulio Regeni soltanto al Cairo èaccaduto quanto segue: sono spariti nel nulla due studenti turchi (eprobabilmente altri egiziani, dei quali però mai si parla); la polizia hachiuso con un pretesto l’unico centro che curava le ferite fisiche e psicologicheinflitte a migliaia di torturati; sono stati arrestati per aver bestemmiato ilCorano tre ragazzini cristiani; 17 organizzazioni umanitarie hanno denunciatoil progressivo attacco ai diritti delle donne e alle libertà religiose, sommatoalla crescente ferocia della repressione.
Cinque giorni fa il Parlamento europeo si èfinalmente accorto che il regime egiziano ha costruito “un contesto di tortura,morte in custodia e sparizioni (di arrestati)”, così come è scritto nella mozioneapprovata a larghissima maggioranza, anche su impulso italiano (come sollecitavada tempo questo giornale). Poiché il testo apre la strada a temutissime sanzioniad personam contro alti dignitari del regime, in un’intervista a Repubblicaieri il maresciallo Al Sisi ha promesso piena collaborazione agli inquirentiitaliani per scovare gli assassini di Regeni. Su questo risultato non scommetteremmouna svalutata lira egiziana, tanto più perché il generalissimo precostituiscel’esito delle indagini: Regeni ucciso per sabotare le ottime relazioni traItalia ed Egitto, ovvero il rapporto tra lui e Renzi, “un buon amico mio”.
Però mettiamo che il generalissimo cismentisca, che insomma la magistratura cairota offra una versione nonsgangherata come le precedenti, perfino qualche indizio per arrivare allafeccia che materialmente torturò e uccise: cosa dovremmo fare a quel punto?Torneremmo ad affratellarci con il Pinochet egiziano fingendo di non sapere deisuoi centri di “ interrogatori” , delle migliaia di desparecidos e morti sottotortura? Oppure ci tratterrebbe quel che finora è mancato, un residuo dipudore, un principio di intelligenza?
È sufficiente questo dubbio per capire che laterribile vicenda Regeni ormai investe la nostra politica estera in unoscacchiere, il Mediterraneo, per l’Italia decisivo; e mette in gioco l’identitàe i valori di ciascuno tra i nostri partiti, a cominciare dal Pd. Dunque cosafaremmo? Stando agli editorialisti che hanno sfiorato l’argomento dovremmoconfermare la nostra alleanza con Al Sisi: il generale sarebbe un baluardo contro il terrorismo (così i vari Battistasulla scia di Renzi, che ad Al Sisi disse: “La tua guerra è la nostra guerra”).
Questo modo di ragionaresi richiama a un principio ispiratore della nostra politica estera, ilcosiddetto realismo. Che nella circostanza suona così: noi veneriamo i dirittiumani, fondamento della nostra civiltà; ma se c’è una convenienza ci facciamoamici di qualsiasi sterminatore (purché non tocchi la nostra gente). Applicatoall’Egitto (e ad altri Egitti della nostra politica estera), un realismo checonduce ad un esito così paradossale sembra ribaltarsi nell’irrealtà. Qui non si tratta di opporgli i buonisentimenti o di ignorare il nostro interesse nazionale: però dobbiamo capire seè limpido il percorso di quel rovesciamento. L’Europa che si pretende realistaha deciso di ignorare il nucleo di società civile all’origine delle ‘primaverearabe’ ed ha accettato l’alternativa che proponeva Al Sisi o il despota ol’orda terrorista, nient’altro sulla scena. È una rappresentazione clamorosamentefalsa ma fonda uno schema conveniente per tutti.
Potremmo chiamarlo lo schema-Renzi perché è l’italiano
che lo inaugura
due anni fa,
quando, primo
tra gli europei a
far visita ad Al Sisi, aiuta l’egiziano ad usciredall’isolamento.
Il baratto a quel
punto è chiaro: il
golpista Al Sisi
otterrà dagli occidentali rispettabilità e legittimazione (con l’omertà che ne consegue),gli occidentali (i più furbi) ricche commesse e la disponibilità di Al Sisi adassecondare alcuni loro piani. Parigi ne ha ricavato 4,6 miliardi di euro inforniture militari e il sostegno egiziano a varie iniziative nella regione.Anche Roma ha trovato il suo vantaggio, però forse minore di quanto Renziavesse meritato eccedendo nelle lodi del grande statista’ egiziano. Inoltre AlSisi collabora attivamente col governo Netanyahu, e questo coincide con lapolitica estera renziana, che mantiene con Israele un rapporto profondo.
Ma un realista cheguardasse oltre il proprio naso farebbe un bilancio meno entusiasta. Con AlSisi, Netanyahu, Abu Abbas, l’Italia ha scelto di appiattirsi sul vecchioordine, ormai incapace di produrre altro che repressione brutale. Un pensatoioamericano, Foreign policy, si chiedeva se Al Sisi sarebbe arrivato al 2017ancora in sella. Per sopravvivere inventa complotti e spinge sul nazionalismo,tigre rischiosa da cavalcare in tempi di dura crisi economica (e il peggio staarrivando). Di recente ha lasciato di sasso una platea di funzionari con un discorsomelodrammatico nel quale ha ripetuto, commosso fino alla lacrime, che pur digiovare alla patria avrebbe venduto anche se stesso. Chi comprebbe oggi unPinochet egiziano? Pochi tra i 40 milioni di musulmani sotto i 25 anni. Ilgiornalismo renziano, tutto. E i giovani del Pd, nessun dubbio, nessun disagio,nessun valore?