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Sandro Roggio
Referendum locali, un rischio
7 Marzo 2012
Articoli del 2012
La ricerca di un corretto equilibrio tra volontà locali e volontà degli altri livelli di responsabilità è un tema nodale del governo del territorio. Utile ricordarlo anche oggi. Il manifesto, 7 marzo 2012

Adriano Sofri (La Repubblica del 3 marzo) solleva una questione che va al di là del caso Tav. Riflette su chi debba decidere in casi come questo. Ma la tesi secondo cui serve fare valere l'opinione locale attraverso qualcosa di simile a una consultazione referendaria ha il suo pericoloso rovescio. Rischia, senza precisazioni, di dare argomenti a chi non ha a cuore il bene comune: a chi fa speculazione sul paesaggio e ha fondate ragioni per preferire che sia assegnata l'esclusiva del governo del territorio a chi lo abita.

Agli abitanti della Val di Susa mi sento vicinissimo. Non solo giudico le loro ragioni fondate, ma penso che con un po' più di tempo potrebbero convincere tanti altri che non stanno da quelle parti. Sono anche portato a credere che un sondaggio tra i residenti avrebbe possibilità di sconfiggere la Tav (non ricordo che un referendum in loco sia stato evocato dai contrari al ponte tra Scilla e Cariddi).

Devo insomma notare, ed è questo il punto, che ci sono intollerabili trasformazioni di luoghi bellissimi che si compiono con il gradimento pressoché totale e decisivo delle popolazioni residenti. Si pensi al solido consenso di cui godono localmente i villaggi turistici che passano per fortunate occasioni di crescita economica (ignobili speculazioni nella maggior parte dei casi, vantaggio di pochissimi e a discapito di risorse naturali e delle generazioni future).

Lo constatiamo da tempo in Sardegna. Da mezzo secolo il territorio dell'isola è eroso soprattutto per scelte dei comuni, a volte di comuni molto piccoli che rivendicano il diritto a scegliere in casa loro e che non sopportano le intromissioni. Non sono mancate manifestazioni per CostaSmeralda2 con il sindaco in testa al corteo. Così chilometri e chilometri di coste e campagne sono stati compromessi per il deliberato di amministratori eletti da qualche centinaio di persone. Troppo pochi, si converrà, rispetto al valore di beni che appartengono ad una comunità assai più vasta.

Le case al mare non hanno l'impatto duro di una discarica o di una montagna che ti si spacca sotto gli occhi. Il danno è subdolo e progressivo, avvertito oltre una certa soglia, quando è irreversibile. L'Italia brutta e inquinata e dissestata è soprattutto il prodotto di questo consenso locale (vogliamo considerare le complicità, luogo per luogo, data a schiere di abusivi?)

Il dibattito sul piano paesaggistico ha evidenziato in Sardegna molte contrarietà perché sottrae potere decisionale ai comuni su beni appartenenti a un più ampio sodalizio. Ecco, la necessità richiamata da Sofri di conoscere il parere dei valligiani («un elemento in più, e non dei minori, per regolarsi»), ha una sua logica. Ma senza il pregiudizio in agguato che lo sguardo da vicino sia quello più utile a capire. Perché sempre di più abbiamo bisogno di sguardi da diversa distanza: solo attenzioni molteplici e concorrenti ci possono aiutare nella battaglia per la difesa di ciò che resta del paesaggio italiano.

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