Titolo originale: Ray Bradbury brought literary respect to science fiction – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
"Avevano una casa a colonne di cristallo sul pianeta Marte ai margini di un mare vuoto…"
Saggio, sferzante, meraviglioso, così Ray Bradbury iniziava uno dei primi capitolo del suo Cronache Marziane, opera sulla paranoia da era spaziale, meraviglia lirica che negli anni ’50 rese finalmente rispettabile la fantascienza.
La scomparsa di Bradbury a 91anni è stata annunciata oggi dalla figlia a Los Angeles: uno scrittore americano nella scia della tradizione da Edgar Allan Poe a Hawthorne a Hemingway. Al tempo stesso pacato poeta e riluttante profeta, dagli scritti di Bradbury emerge uno stile che è una cascata di immagini e fondamentali verità: il potere nemico della creatività ( ), la paura dell’oscurità ( Paese d’ottobre), i robot non sono sempre nostri amici ( Il corpo elettrico), le cose più spaventose possono essere pagliacci, fiere, giochi ( Qualcosa di sinistro sta per accadere).
Nel 1956, il famoso regista John Huston chiese a Bradbury un adattamento cinematografico di Moby Dick. Alla domanda del giovane e poco pratico Bradbury, “Perché io? Dopo tutto scrivo quasi solo su riviste popolari”. E Huston rispose, “È per via di quella sua storia sul dinosauro e il faro, credo do averci annusato il fantasma di Melville”.
Diffidava della tecnologia — era famoso per non guidare e non salire sugli aerei — ma dotato di un “ottimismo guercio” Bradbury credeva nel futuro, anche se i suoi marziani complottavano di nascosto, e i pompieri fascisti di incendiavano istericamente tutti i libri e i personaggi che ci stavano dentro. “Fahrenheit 451 non l’ho scritto per prevedere il futuro – dichiarò una volta – ma per prevenirlo”. Incanutito, impacciato dopo un ictus nel 1999 e cieco da un occhio, Bradbury ha trascorso i suoi ultimi giorni nella casa a Cheviot Hills, Los Angeles, un paio di chilometri scarsi dagli studi 20th Century Fox. “Stava quasi sempre a letto” racconta Terry Pace, 49 anni, amico e collaboratore che ha passato una settimana con Bradbury in aprile. “Ma era sempre lo stesso dodicenne. Pieno di voglia di vivere, sempre interessato al futuro anche ripercorrendo il passato. In qualche modo sapeva che grazie alla sua opera avrebbe vissuto per sempre”.
Per una intervista al periodico Monsters from the Vault, Bradbury ha raccontato a Pace l’influenza dei film muti di Lon Chaney e dell’horror sulla sua scrittura. E nel corso della visita insieme ai bambini di Pace storpiava le canzoncine di Cantando sotto la Pioggia. “In quegli ultimi tempi la vita gli ripassava davanti” ricorda Pace. Davanti a un vecchio film di Chaney a un’edizione rara dell’Uomo che faceva miracoli, storia non molto nota di Wells, Bradbury poteva scoppiare in lacrime: “Grazie per avermi restituito il mio passato”. Secondo Pace Bradbury “valutava il suo lavoro. Magari prendeva un suo libro dallo scaffale, e chiedeva di leggerne un brano a caso. Piangeva come un bambino: ma chi l’ha scritto? Ottimo, davvero un buon lavoro!”
Nato a Waukegan, Illinois, le sue storie sono impregnate di cultura popolare del Midwest, pubblicate prima su rivistine economiche come Super Space Stories o Thrilling Wonder Stories, ma presto si impongono al pubblico nazionale sulle pagine più prestigiose di Colliers, The Saturday Evening Post e The New Yorker (c’è un suo racconto anche sull’ultimo numero). Il suo punto di forza non sono tanto le idee — qui dopo tutto la concorrenza è numerosa e agguerrita, da Arthur C. Clarke, a Isaac Asimov a Robert Heinlein che percorrono le medesime rotte della fantascienza — ma la qualità della scrittura, che colpisce la sensibilità letteraria.
“Mi pare di sentire ancora i brividi di quella giostra misteriosa e raggelante … Era la qualità della scrittura, fantastica ma al tempo stesso realistica: il mio genere preferito di fantastico” ricorda la scrittrice Erin Morgenstern, che confessa quanto il suo grande successo del 2011,The Night Circus, sia influenzato dall’incontro quando aveva undici anni con Qualcosa di sinistro sta per accadere scritto da Bradbury nel 1962. Lo spirito infantile di Bradbury era equilibrato da una certa scontrosità culturale, specie nei confronti della tecnologia. “Ci sono troppi telefoni cellulari” disse in occasione dell’uscita del primo e-book delle sue storie. “Tutti su internet. Bisogna sbarazzarsi di quelle macchine. Adesso ce ne sono troppe”.
Quando gli scienziati annunciarono di ver trovato prove della possibile esistenza della vita in forma microscopica su Marte nel 1996, Bradbury se ne fece beffe in una intervista sul nostro giornale, era così convinto che si sbagliassero da rifiutare di comparire alla trasmissione Nightline del canale ABC quella sera, nonostante avessero già mandato l’auto a prenderlo. Il più elegante sognatore della fantascienza era politicamente conservatore, al punto da essere turbato quando Michael Moore intitolò il suo lavoro anti-Bush Fahrenheit 9/11. In una introduzione alla raccolta di racconti Shadow Show, tributi all’opera di Bradbury, che uscirà a breve, l’ex first lady ed ex bibliotecaria Laura Bush chiama Bradbury “amico” aggiungendo che “Ray è un eroe delle biblioteche, nonché uno dei più inventivi scrittori di storie d’America”.
Come accade a gran parte degli autori di fantascienza, anche le previsioni di Bradbury non si sono avverate. Ma c’è un racconto del 1951,The Pedestrian, che riecheggia tristemente qualcosa nel nostro mondo post-11 settembre. È sera e un uomo cammina da solo nel suo quartiere. Viene fermato dalla polizia, e quando non riesce a spiegare perché esattamente stava camminando — “tanto per camminare” non basta ai poliziotti — viene portato al Centro Psichiatrico di Ricerche sulle Tendenze Regressive. La storia si conclude: “L’auto ripartì lungo le vie vuote come il letto di un fiume in secca, allontanandosi dal marciapiede vuoto, e non restò nessun suono, nessun movimento, in quella fredda sera di novembre”