Nella Napoli che oggi brucia con i suoi rifiuti si svolge una storia diversa, quella dei "ragazzi del piano", che inizia sui banchi dell’Università intorno al ‘68 e che prosegue per i decenni successivi, fin quasi ai giorni nostri. I "ragazzi del piano" sono architetti, urbanisti e sociologi che per un lungo periodo, alcuni ancora adesso, hanno lavorato negli uffici del Comune di Napoli per invertire il destino che sembrava iscritto nella città e che riemerge dai roghi di Pianura: quello di essere il paradigma della disfatta di ogni prospettiva urbana. La vicenda dei "ragazzi del piano" è narrata nel libro di una storica, Gabriella Corona (I ragazzi del piano. Napoli e le ragioni dell’ambientalismo urbano, Donzelli, pagg. 219, euro 25, con prefazione di Piero Bevilacqua: il volume viene presentato lunedì a Napoli).
I "ragazzi del piano" rintracciano nel gruppo un elemento di identità intellettuale (alcuni nomi: Elena Camerlingo, Rosanna Costagliola, Giovanni Dispoto, Maria Franca de Forgellinis, Roberto Giannì, Mario Moraca e Laura Travaglini). Appena laureati, decidono di lavorare nel settore pubblico. E non in un settore pubblico qualsiasi, bensì al Comune di Napoli, una delle macchine burocratiche più clientelari, inefficienti e diaboliche che si possano immaginare.
Il gruppo si fa forte delle idealità collettive. Il suo collante è l’idea che l’urbanistica vada praticata dentro le strutture pubbliche, perché è qui il motore della pianificazione di un territorio, e la pianificazione è l’unico modo che consente a una città di armonizzare il suo sviluppo fisico con i bisogni sociali e la qualità del vivere.
Napoli è un caso esemplare nella letteratura del disastro urbanistico. Ma non è al capolinea della sua storia. Nel 1975, quando si insedia un’amministrazione di sinistra, il convincimento che le cose possano cambiare si appoggia sia su una politica che riacquista l’orgoglio di servire interessi pubblici, sia su un bagaglio di conoscenze in campo urbanistico che si va arricchendo. Nasce in questi anni, per esempio, il Piano delle periferie, uno strumento che vuol dare dignità a quartieri che non ce l’hanno. Una tappa cruciale, poi, è quella del terremoto (1980). La città è sull’orlo della disperazione. I "ragazzi del piano", supportati dall’esperienza di Vezio De Lucia, forniscono tutte le condizioni tecniche perché si utilizzi il Piano delle periferie per ridare un alloggio ai senzatetto. L’emergenza viene fronteggiata con strumenti ordinari. Quella prima fase della ricostruzione viene poi seguita da una seconda fase, concentrata sulle infrastrutture e sullo spreco di danaro pubblico. Ed è questa fase, con i suoi dissennati effetti, che è rimasta impressa nella memoria, ma uno dei meriti di Gabriella Corona (e prima di lei di Francesco Barbagallo) è proprio quello di ripristinare la giusta misura degli avvenimenti.
Superato il tunnel degli anni Ottanta, ritroviamo i "ragazzi del piano" al lavoro sul Piano regolatore di Napoli (assessore De Lucia). Un Piano che raccoglie le elaborazioni politiche e culturali precedenti - la città che arresta la sua espansione, la difesa del verde agricolo e del centro storico. Un’impresa durata un decennio, condotta mentre in Italia spiravano forti venti contrari alla pianificazione, considerata una specie di Moloch sovietico. Dall’approvazione di quel documento (2004) sembra trascorso molto tempo. Lo strumento urbanistico resiste. Ma la politica ha più volte tentato di piegarlo a interessi diversi.
In questi giorni, che sembrano segnare il collasso di un’intera classe dirigente, il libro di Gabriella Corona fa emergere una specie di controstoria napoletana, una storia di come si elaborano conoscenze e di come si propongono soluzioni in un luogo dove la razionalità pare a volte bandita.