Forse è l’ultima occasione, a quanto resta del vecchio e a quanto ambisce a rappresentare il nuovo, per iniziare la costruzione di uno stato che rappresenti la società nel suo volto migliore.
Il manifesto online, 15 aprile2013
Un nome che potrebbe raccogliere il consenso della maggioranza dei grandi elettori, dal Pd ai 5 Stelle, e così rappresentare finalmente quella condivisione che tanto abbonda nelle parole quanto scarseggia nei significati che sottintende. E che, proprio per questo spirito gattopardesco delle liste dei papabili, pescati nella nomenklatura, è il petalo che ancora manca dal tavolo della trattativa dei partiti. Il nome è quello di Stefano Rodotà. Un'assenza che certo non stupisce.
Nella convulsa, seppure lentissima, marcia di avvicinamento alla prima votazione per il Quirinale, molte carte sono ancora coperte. E sarà difficile che se ne possa scoprire una diversa dal mazzo usurato in mano ai politici. La carta di un difensore, senza se e senza ma, della Costituzione, di un militante della migliore tradizione della sinistra libertaria e garantista, di uno studioso impegnato nella religione civile del pensiero laico, di un teorico della democrazia partecipativa e dei beni comuni.
Stefano Rodotà è invece tra i più citati dai sondaggi della rete e, da oggi, è anche il nome che i firmatari di una petizione recapitano ai grandi elettori del prossimo presidente della repubblica. A parte l'unico difetto di non essere una donna, Rodotà sarebbe il primo, forte segnale dell'arrivo a destinazione del messaggio di cambiamento espresso dal voto.
Citando l'articolo 50 della Carta, la petizione si riferisce a una «comune necessità» e chiama i parlamentari a raccogliere la richiesta di eleggere un presidente con un «altissimo profilo di etica pubblica», un capo dello stato che sia espressione «del popolo e dell'accademia», un uomo delle istituzioni in cui possono convergere «sia chi si riconosce nel sistema dei partiti, che quelli che non ci riconoscono più». Una figura forte di collegamento tra la società e la politica, una personalità capace di ricostruire un legame robusto tra la democrazia rappresentativa e quella diretta, tra il populismo e i partiti. Un lavoro che Rodotà proseguirà al teatro Valle di Roma dove oggi si discute del diritto dei beni comuni. Contro i poteri forti, contro le diseguaglianze, per una nuova idea di cittadinanza. Come spiega nella riflessione raccolta nel suo ultimo libro, Il diritto di avere diritti. Un bel titolo e anche un ottimo viatico per il prossimo settennato.