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Mario Pianta
Quelle piccole realtà in movimento che parlano un linguaggio comune
26 Aprile 2008
Recensioni e segnalazioni
Recensione al recente «Le ragioni del no»: i movimenti locali legati al territorio, e costruzione di nuove reti e soggettività. Dal manifesto, 25 aprile 2008 (f.b.)

Nel programma elettorale del Partito democratico si poteva leggere: «basta con l’ambientalismo dei no». Subito dopo, un ricco elenco di grandi opere contestate dalle comunità locali, dal treno ad alta velocità (Tav) in Val Susa agli inceneritori, da nuove centrali elettriche ai rigassificatori. Nell’emergente bipartitismo del paese, le resistenze locali sono presentate come egoismi e miopie, conservatorismo e sindrome « nimby» (non nel mio giardino). Si tratta di una rappresentazione che non regge appena si guardano le cose più da vicino. L’hanno fatto gli studiosi Donatella della Porta e Gianni Piazza, nel nuovo libro Le ragioni del no. Le campagne contro la Tav in Val Susa e il Ponte sullo Stretto (Feltrinelli, 187 pp., 11 euro). Ripercorrendo le Alpi attraversate dal progetto di supertreno e lo Stretto di Messina attraversato dal superponte, il volume offre una ricostruzione delle proteste parallele, ma soprattutto mette ordine concettuale nei conflitti legati alle grandi opere.

L’analisi di della Porta e Piazza - usando come fonti interviste, documenti e giornali - affronta tre dimensioni chiave; la prima riguarda le risorse della protesta: come nascono e si sviluppano le reti di comitati locali, le alleanze con altri gruppi della società civile, i centri sociali, il sindacato. La «costruzione simbolica del conflitto» è la seconda questione, in cui si mostra il complesso processo di elaborazione di identità comuni che si verifica in queste lotte, ereditando identità tradizionali (sia politiche che locali) e producendone di nuove, che disegnano i contorni di nuove comunità solidali. Infine la molteplicità delle forme di protesta è il terzo aspetto affrontato: qui il sapere diventa contropotere, l’azione diretta si intreccia alle pressioni sulle istituzioni, le manifestazioni di massa sono costruite attraverso un’informazione capillare. Le periodizzazioni proposte mostrano che in tutte queste dimensioni si è registrata una sequenza in crescita: si estendono le reti e le alleanze, si definisce l’identità della protesta, se ne diversificano le forme, riuscendo a coinvolgere pezzi più ampi della società e a pesare di più sulle decisioni dei politici.

Concentrandosi sulla dinamica delle mobilitazioni, il volume non affronta la natura specifica delle questioni «Tav» e «Ponte sullo Stretto», non discute le argomentazioni a favore o contro, non segue l’evoluzione dei due progetti, non scommette su come andrà a finire. Allo stesso modo, l’attenzione sui meccanismi di fondo che muovono la protesta porta ad evitare un’analisi più individualizzata delle diverse oganizzazioni e soggettività coinvolte, dei contrasti tra i diversi soggetti (tra associazionismo e centri sociali, dentro i comitati locali, con le istituzioni locali), e delle possibili contraddizioni interne al fronte del no, la presenza di interessi consolidati, le diverse motivazioni materiali e ideali che stanno dietro alla protesta. Con queste delimitazioni dell’analisi, tre sono i principali risultati sulla dinamica delle mobilitazioni contro le grandi opere.

Il primo elemento che l’indagine mette in luce è la natura non localistica delle mobilitazioni. In breve tempo queste mobilitazioni hanno saputo fare un salto dalla protesta locale alla messa in discussione di un modello di «sviluppo» - distruzione dell’ambiente inclusa - che richiede quelle grandi opere, realizzate in quel modo. È questo, secondo gli autori, che sottrae la Val Susa e lo Stretto alla sindrome « nimby», e ne fa invece un fronte locale di un conflitto più generale sui temi della giustizia, dell’ambiente, e della democrazia che lo avvicina all’arcipelago dei dei movimenti globali che si sono sviluppati negli stessi anni.

Il secondo risultato del volume è che reti, identità e capacità di protesta non esistono «prima» delle mobilitazioni; esiste un’eredità di relazioni, culture politiche (ad esempio la tradizione antifascista e militante della Val Susa) e forme di lotta (i campeggi e i blocchi dei lavori come forma di protesta) conservate da esperienze precedenti e diffuse da una società ricca di «capitale sociale». Uno dei risultati più originali del lavoro è l’importanza di queste proteste come fabbriche di democrazia.

Da qui il terzo nodo messo in luce dal volume: il rapporto tra le spinte di partecipazione democratica, i processi deliberativi che sono tipici di decisioni complesse come quelle sulle grandi opere, e il ruolo della democrazia rapprsentativa e dei politici eletti, sia a livello locale che regionale e nazionale (con un ulteriore livello europeo sullo sfondo). Dalle Alpi allo Stretto quello che emerge è la vitalità dei processi di partecipazione, l’affermarsi di un nuovo terreno di scontro sull’informazione e le conoscenze (anche specialistiche) e la geometria variabile dei rapporti con le istituzioni. In Val Susa i sindaci e le comunità montane stanno con i movimenti, e il risultato è la capacità di rinnovare la democrazia - come spiega l’intervista ad Antonio Ferrentino, presidente della Comunità montana della Bassa Val Susa. È questo un raro caso di innovazioni introdotte «dal basso» nel sistema di rappresentanza politica, capaci di avvicinare società civile e politica istituzionale.

Tra Val Susa e Stretto di Messina non mancano poi le differenze; il conflitto si è aggravato nella prima quando si è tentato di far partire i lavori, intensificando i processi di mobilitazione. Nello Stretto c’è un’assai minore partecipazione popolare, più delega e un contesto di società civile più fragile, con le istituzioni locali divise sul progetto del Ponte.

Degli altri conflitti locali in corso, dalla base militare americana all’aeroporto Dal Molin a Vicenza, alle discariche di rifiuti in Campania, il libro non parla, ma il quadro analitico che propone può essere facilmente applicato: quanto è localistica e monotematica la protesta? Quanto riesce a unire temi diversi, a costruire una visione d’insieme, con proposte di cambiamento praticabili? Quanto sono ampie le reti che riesce a costruire, i saperi che sa mettere in campo, le azioni che riesce a realizzare? Sembrano questi i criteri di fondo che potrebbero aiutare anche i leader e militanti del Pd a comprendere la centralità di questi movimenti sociali che alimentano la democrazia.

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