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Alfio Mastropaolo
Quelle parzialità dalle radici profonde
3 Luglio 2011
Recensioni e segnalazioni
Un libro del sociologo Loris Caruso indaga sulle forme nuove (e sui limiti) della politica che nasce dai conflitti sul territorio. Il manifesto, 2 luglio 2011

«Dai NoTav ai NoDalMolin, il Territorio della politica» Una forma specifica della politica che unisce l'uso accorto di saperi specialistici a inediti modelli organizzativi in antitesi a quelli dei partiti politici

Un ultimo esempio dei paradossi insolubili in cui la democrazia s'imbatte è la vicenda valsusina. Che la violenza poliziesca contrasti con la democrazia, in quanto risoluzione pacifica dei conflitti, è scontato. Ed è scontato, in un regime politico democratico, che la violenza sia vietata pure a chi si oppone. Ma c'è un'altra questione ben più complicata. Può una minoranza porre un veto su una decisione assunta da chi legittimamente esercita l'autorità di governo? Si obietterà che la costruzione suddetta avrà un impatto devastante sul territorio della valle e che non sono state fatte tutte le necessarie valutazioni: di costi, d'impatto ambientale, sulla necessità di potenziare quel tratto di rete ferroviaria. Ma se chi governa sostiene l'incontrario, e pretende d'aver a sufficienza ascoltato le popolazioni locali, offrendo loro adeguati risarcimenti per l'incomodo, e se gli elettori gli credono (e nessuna autorità di controllo lo smentisce), è democraticamente legittimo che un interesse locale prevalga su un interesse legittimamente riconosciuto come superiore? Come s'istituisce insomma in democrazia una gerarchia di interessi?

Da un pezzo, le situazioni aggrovigliate come quella valsusina si sono moltiplicate a dismisura. Ha provveduto ad approfondirne i dilemmi un sociologo di scuola torinese, Loris Caruso, che, inerpicatosi dapprima su per la Valle, è poi andato a Vicenza a osservare una vicenda non meno complicata, dedicandovi un libro di pregio (Il territorio della politica. La nuova partecipazione di massa nei movimenti No Tav e No Dal Molin, FrancoAngeli, pp. 223, euro 25). Il confronto è interessante, anche perché qualcuno potrebbe sostenere che simili questioni si risolvano entrando nel merito: se è dubbio che la Tav possa recare un beneficio a tutti gli italiani, come sostengono i suoi fautori, è più difficile contestare l'inutilità della manomissione del territorio prevista per ampliare l'aeroporto Dal Molin. In realtà, pure questo è un argomento fragile: a chi tocca dettare in ultima istanza i giudizi di merito?

In entrambi i casi, Caruso ha sviscerato gli aspetti tecnici della decisione - che sono invero soprattutto politici, giacché, lo sappiamo, decisioni tecnicamente inattaccabili non ne esistono più - e ha quindi investigato le reazioni delle popolazioni locali: come hanno accolto le decisioni, come han dato forma al dissenso, come le autorità di governo hanno provato a tacitarlo, o, quantomeno, a minimizzarlo. Fondata su un'intensa osservazione partecipante, la ricerca ricostruisce il fai-da-te della protesta, le competenze interne e esterne di cui s'è avvalsa, i suoi momenti collettivi, ampi e ristretti, gli umori e i sentimenti degli attori coinvolti. Un movimento è un'istituzione peculiare, la cui fondamentale risorsa è l'opposizione strenua a ogni formalizzazione organizzativa e a ogni leadership consolidata. Se i partiti hanno storicamente assunto a modello lo Stato, i movimenti si avvalgono talora di figure (e know-how) provenienti dalla politica ufficiale e magari interessate di tornarvi, ma rigettano tale modello per ricalcarlo in negativo. É già questo un ostacolo per chi fa ricerca, da Caruso superato stendendo uno scrupoloso resoconto, coronato da un'affilata riflessione teorica.

Come e perché nascono i movimenti? Perché si moltiplicano quelli su base locale? Quale ne è l'impatto sul sistema politico e perché suscitano conflitti così ardui da governare? Tra le tante cose che dice, il libro anzitutto rassicura sui destini della politica. Non è vero che uomini e donne la spregiano. Anzi, avanza una pressante domanda di politica; settori ampi della popolazione sono ben disposti a partecipare e a sostenerne i costi, i quali - intesi come impegno per una causa comune - sono più che costi, incentivi. A essere rifiutata è la politica ufficiale, in compenso però restringendo il raggio stesso della politica. Le nuove identità si fabbricano a contatto col territorio, divenuto principio sostitutivo dei principi identificanti tradizionali: destra, sinistra, classe. Tanto costituisce l'effetto sì di alcuni cambiamenti strutturali, ma anche d'altri cambiamenti occorsi al modo d'essere della politica. Perché se sullo sfondo troviamo la globalizzazione, in primo piano c'è una sbrigativa concezione managerial-decisionista della democrazia, accoppiata a una generalizzata sconfessione degli interessi diffusi a beneficio di quelli circoscritti.

Come la mettiamo con la democrazia? Partecipare al movimento, nelle forme che narra Caruso, fa bene a chi partecipa e gli offre gratificanti orizzonti di senso. Il rischio è che il beneficio sia effimero e confinato alla dimensione locale. Figlie d'una globalità segmentata all'estremo, le rivendicazioni hanno poche chance di «ascendere in generalità», di convergere con altre, e sorge perfino il sospetto che siano tollerate come sfogo della democrazia (pseudo)decisionista, la quale alla fine, quando più le converrà, infliggerà una sconfitta frustrante a chi era stato gratificato dal movimento, non senza riservarsi la possibilità pure di scoprire che i quattrini per pagarsi la Tav non ci sono e che quel tunnel non sarà mai scavato. Ma così purtroppo le cose vanno in democrazia di questi tempi. Salvo che - è forse il suo pregio fondamentale - i suoi equilibri sono sempre instabili. Pertanto, ha forse ragione Caruso quando conclude riponendo qualche speranza nella possibilità che i movimenti prima o poi apprendano a ritrovarsi.

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